23 Dicembre 2022

Lealtà fiscale e decoro della professione

“In tema di responsabilità disciplinare dei notai, la fattispecie di cui all’art. 147, 1° co., lett. a), della L. n. 89 del 1913 è integrata ogni qual volta il notaio pone in essere una condotta idonea a ledere la propria dignità e reputazione all’interno della collettività in cui opera e a compromettere il decoro e il prestigio della classe notarile, senza che rilevi la sfera privata o pubblica nella quale tale condotta si è estrinsecata, dal momento che egli non è solo un libero professionista, ma riveste anche la qualità di pubblico ufficiale a cui sono delegate funzioni pubbliche. (Costituisce quindi) illecito disciplinare, ai sensi della predetta disposizione, l’omesso versamento da parte del notaio delle imposte e dei contributi previdenziali ricadenti nell’ambito della propria sfera personale, trattandosi di condotta anomala per un pubblico ufficiale avente il compito di riscuotere le imposte indirette”.

Cass. 27-9-2022, n. 28133 (.PDF)

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Un altro intervento eccessivamente severo della Cassazione? Davvero ogni omissione contributiva od ogni definitivo accertamento di un’evasione fiscale da parte del contribuente notaio costituisce illecito disciplinare? Oppure è la massima che “dice troppo” ? Una risposta può essere tentata solo dopo aver definito la portata di questa pronuncia ricostruendo la concreta fattispecie alla quale si riferisce.

Consentite, infatti, in premessa, un’apparente digressione. I precedenti, anche nel nostro sistema di civil law, sono elementi fondamentali per l’applicazione del diritto, “scienza pratica” per eccellenza, perché, a ben vedere, non è vero che una norma prima la si comprende e poi la si applica: la si comprende solo se ed in quanto la si applica. Di qui, appunto, l’importanza dei precedenti, quali casi di già avvenuta applicazione della norma e quindi elementi costitutivi della sua comprensione (d’altra parte una norma senza precedenti, cioè mai applicata, è solo un enunciato prescrittivo astratto). In questo senso, dunque, i precedenti (se non formalmente, tuttavia) nella realtà costituiscono una fonte viva del diritto, ancorché, nel nostro ordinamento, una fonte non vincolante. Ora, il maggiore, più accessibile e più autorevole “fornitore” di precedenti è certamente la Cassazione, con la sua intensa produzione di “massime”; ma solo ben poche di queste esprimono un “principio generale dell’ordinamento” in senso proprio (ex art. 12, 2° co., delle Preleggi): normalmente indicano semplicemente la corretta regola di giudizio di quel caso concreto. Non bisogna dunque fermarsi alle massime nella loro formulazione in termini generali e astratti, che induce a “modificarle geneticamente” in ulteriori, più dettagliate, norme di legge. Il nostro compito di interpreti è piuttosto quello di valutare (anche criticamente) la portata del criterio di decisione espresso dal precedente: e valutarla precisamente in ragione del fatto cui la massima si riferisce e della sua eventuale analogia con i casi successivi nei quali ci imbattiamo.

Il fatto, dunque. Posto che la sentenza della Cassazione in commento – non essendo il fatto più in discussione – si limita a richiamare  sommariamente quanto riferiva la decisione d’appello impugnata, è a quest’ultima che bisogna risalire laddove dichiara “pacifiche le seguenti circostanze: 1) nei confronti del Notaio era stata iscritta ipoteca da Equitalia in virtù di avvisi di addebito per imposte non pagate relative agli anni 2012, 2013 e 2015; 2) il Notaio ha versato l’IVA dovuta nei mesi di ottobre e novembre 2018 in ritardo e precisamente il giorno prima di quello fissato per l’incontro con il consiglio notarile distrettuale; 3) il Notaio ha versato in ritardo l’IVA relativa ai mesi di luglio e agosto 2018 e per l’IVA dovuta per il periodo gennaio-giugno 2018 nonché per il mese di settembre 2018 in data 3 giugno 2019 ha presentato istanza di rateizzazione che è stata concessa; 4) in data 27-3-2019 ha presentato la richiesta di adesione alla definizione agevolata (rottamazione ter) per i ruoli emessi dal 2012; 5) ha versato in ritardo i contributi INPS relativi ai mesi di ottobre, novembre e dicembre e per i contributi relativi al periodo gennaio–agosto 2018 ha presentato in data 3-6-2019 istanza di rateizzazione accolta con un provvedimento che prevede il pagamento in 72 rate” (ancora in corso).

Nulla di più, in verità, si ricava dalla sintetica decisione di archiviazione resa in primo grado dalla Coredi, che, opportunamente, per quel che interessa, premette che “con l’atto d’incolpazione del consiglio notarile distrettuale. non veniva mossa alcuna censura circa l’attività notarile propriamente detta, né in relazione agli adempimenti fiscali imposti dalla funzione di sostituto d’imposta, né alla corretta gestione del fondo dedicato a tale scopo, né ai depositi di prezzi e altre somme variamente destinate” e correttamente poi precisa che “al Notaio, in quanto tale, non può in linea di principio essere negato il ricorso ai mezzi consentiti a qualunque altro contribuente dalla normativa fiscale e previdenziale per la regolarizzazione del debito” tributario, non essendo dunque in questione la legittimità delle istanze di rateizzazione. La conclusione, però, secondo cui non sussistevano “i presupposti oggettivi dell’applicazione dell’art. 147, 1° co. lett. a), L. N.” era affidata tout court, senza altra illustrazione, alla motivazione (ben fragile, come subito si percepisce) per cui “né nell’atto d’incolpazione, né dalla documentazione prodotta dal C.N. distrettuale si rinviene alcun elemento che comprovi non solo una pubblica riprovazione dei comportamenti addebitati al Notaio da parte della collettività di riferimento, ma neppure una semplice notorietà”. Nessun dato ulteriore emerge infine dalla lettura dell’atto d’incolpazione.

In relazione ai fatti così accertati, la sentenza in commento della S. C. ha confermato, con la concessione delle attenuanti generiche, ma non di quella specifica dell’eliminazione del danno, la sanzione dell’avvertimento, giudicando infondati i tre motivi di ricorso del Notaio, che sosteneva che la previsione della lett. a) non era applicabile ad ogni infedeltà fiscale “personale”, ma solo a quelle relative alle imposte che il notaio è tenuto a versare quale pubblico ufficiale rogante, che non è disdicevole usufruire delle norme che, per tutti i contribuenti, favoriscono il ravvedimento e che comunque la conoscenza delle condotte ascritte, casualmente accertata nell’ambito di un’ispezione, si era limitata solo a un funzionario dell’AdE e ad uno della Conservatoria.

Di contro, la Cassazione ha ribadito, in primo luogo, che l’art. 147, lett. a) della L. N. costituisce una “norma di chiusura” di un sistema fondato sul complesso ed articolato rapporto tra l’ordinamento statuale ed il notaio, il quale è non solo un libero professionista, ma anche un pubblico ufficiale” (per la verità la proposizione andrebbe invertita: il notaio è anzitutto un pubblico ufficiale, ancorché non pubblico dipendente); “si tratta di una clausola generale che non descrive un catalogo di ipotesi tipiche di condotte lesive, ma affida agli organi di disciplina la valutazione concreta del suo contenuto (spettando al giudice poi solo – ma pur sempre – di verificare la ragionevolezza della sussunzione del fatto concreto nella clausola generale). Questa strategia normativa, che il Legislatore prevede anche per altre categorie professionali, è legittima, perché la “tipizzazione” delle condotte, cioè la loro rigorosa descrizione nella lettera della legge, è necessaria solo per le norme incriminatrici penali e non viola quindi gli artt. 3, 25 e 117 della Costituzione e neppure l’art. 7 CEDU. Non solo è una strategia legittima, ma – aggiunge la S.C. – è anche opportuna per “evitare che violazioni dei doveri anche gravi possano sfuggire alla sanzione disciplinare”. E dunque – corollario importante già affermato da Cass. n. 4720 del 2012 – il perimetro della nostra clausola generale non è esaurito dalle fattispecie tipiche lesive previste dal Codice deontologico professionale in vigore, che in effetti non contempla la personale infedeltà fiscale del notaio quale contribuente, ma solo la sua infedeltà nel versamento delle imposte d’atto fornitegli dalla parte e dei diversi contributi e tasse consiliari dovute, nonché le evasioni generate dai cd. “scolonnamenti”. E, ad esser precisi, neppure il mancato versamento dei contributi previdenziali è espressamente indicato tra gli obblighi deontologici, potendosi al più desumere dalla generica prescrizione dell’art. 28 di “assicurare ai collaboratori e dipendenti condizioni di lavoro moralmente ed economicamente soddisfacenti”. Ora, vero è che tutte le indicazioni deontologiche si rivolgono ad una platea di soggetti “perfettamente in grado, per qualificata professionalità, di coglierne perimetro e valenza”, ma non è forse il caso che nella prevista riforma (ancor sempre in cantiere?) dei principi di deontologia questi obblighi vengano chiaramente indicati, anche per meglio precisarne e delimitarne la rilevanza disciplinare?

In secondo luogo, la nostra sentenza riafferma che l’art. 147, lett. a) integra un “illecito di pericolo” che, come tale, “non implica “la percezione della riprovevolezza ambientale dell’operato ascritto al notaio, poiché ciò che rileva” – e lo aveva insegnato già Cass. n. 17266 del 2015 – “è il concreto accertamento di specifici comportamenti idonei a ledere i valori tutelati dalla norma, a prescindere, quindi, dal verificarsi di un’eco negativa nella comunità” (e, per fortuna, non si è neppure insinuato, anche perché sarebbe più difficile in materia di IVA e non di IRPEF, che nell’odierno sentire della nostra comunità l’evasione fiscale non sia davvero percepita come un disvalore che marchia negativamente la reputazione del suo autore…).

Si aggiunge a mo’ di chiarimento che “la prova della notorietà non assurge ad elemento costitutivo dell’illecito disciplinare” sulla scia di Cass. n. 10872 del 2018 che aveva forse detto meglio che non è elemento costitutivo “il clamore nella comunità”, del quale non occorre quindi la prova. Nel caso di specie, risulta comunque accertata in concreto quella necessaria “notorietà” (intesa quale conoscenza all’esterno) dei fatti, appunto noti quanto meno al concessionario che ha provveduto all’iscrizione dell’ipoteca e al personale dell’Agenzia del territorio e dell’INPS. E, d’altra parte, anche qualora le parti di un atto o l’opinione pubblica non abbiano potuto percepire la condotta del notaio, è forse irrilevante che questa condotta sia stata conosciuta dall’Amministrazione finanziaria? Non è anche dalla fiducia in loro riposta dall’Amministrazione che i notai traggono la legittimazione sociale per quel ruolo di gestori del denaro pubblico che la legge gli affida? Francamente ininfluente, quindi, che le omissioni tributarie e contributive siano state “casualmente” accertate da un’ispezione e non segnalate da un esposto proveniente dall’esterno: la dimensione della risonanza esterna della condotta può aver rilievo per la determinazione dell’entità della sanzione, non quanto alla sussistenza dell’illecito. E così deve dirsi anche della pur valorizzata “reiterazione della condotta per un consistente arco temporale di diversi anni”, requisito non necessario, come si sa, per integrare la violazione della lett. a).

Egualmente irrilevanti sono poi anche tutti gli argomenti spesi in tema di soglie di punibilità penale e di conseguita estinzione dei contenziosi tributari: l’illecito non è nell’aver superato una soglia o nell’essersi avvalso delle facoltà di ravvedimento, dal momento che i beni giuridici qui tutelati non sono gli interessi dell’Erario. Si tratta invece – conclude la sentenza – di “tutelare la stima e la considerazione di cui il notaio deve godere anche all’esterno”; e poiché “i comportamenti individuali si riflettono sull’autorevolezza dell’intera classe notarile” e l’art. 147, co. 1, lett. a), non distingue le condotte attuate nell’attività professionale da quelle “tenute nella vita privata”, ecco che “non è irragionevole e contraria alla ratio e all’interpretazione letterale della norma sanzionare il notaio per il mancato versamento delle imposte e dei contributi previdenziali ricadenti nell’ambito della propria sfera personale”.

Possiamo allora finalmente rispondere alla nostra perplessità iniziale: alla massima mancano due precisazioni essenziali che si ricavano dall’esame dei fatti. Che, per come accertati, descrivono scelte volontarie e non obbligate, nel senso che non viene invocato dall’interessato un qualche inconsapevole “disguido” od una difficoltà economica (ed anzi la Corte d’appello ha osservato ad altro proposito che i suoi redditi degli anni in questione non erano “modesti”): le infedeltà tributarie e contributive non erano dunque nel nostro caso incolpevoli (la colpa, se non il dolo, costituendo l’imprescindibile elemento soggettivo dell’illecito disciplinare). E neppure risulta evocato un qualsiasi plausibile argomento di contestazione delle riprese degli Uffici, posto che la violazione disciplinare di certo non sarebbe integrata per la mera ricezione di un accertamento in rettifica e neppure per la soccombenza in una non pretestuosa controversia tributaria. Per la Cassazione gli omessi versamenti tributari e previdenziali sono quindi disciplinarmente punibili solo se colpevoli ed incontestabili.

Insomma, la minaccia disciplinare non riguarda i notai contribuenti sfortunati e neppure quelli ragionevolmente combattivi nei riguardi del Fisco.

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