“Fiscalizzazione” degli abusi edilizi, tolleranze esecutive e regolare circolazione degli immobili
Relazione svolta al convegno organizzato da Federnotai dal titolo La conformità edilizia nelle vendite immobiliari e lo status giuridico delle proprietà. Garanzie del venditore e responsabilità del notaio fra norme di legge e disciplina contrattuale, tenutosi a Bologna il 23 maggio 2025.
1. Categorie rilevanti per l’apparato sanzionatorio del testo unico dell’edilizia
Il regime della c.d. fiscalizzazione degli abusi edilizi è previsto dagli artt. 33, 34 e 37 del testo unico dell’edilizia di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (di seguito TUE)[1]. Tali disposizioni si ritrovano nel Capo II del Titolo IV del TUE, titolo dedicato alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia e alle sanzioni; in particolare, il Capo II è specificamente dedicato alle sanzioni e rappresenta la parte del TUE che i notai frequentiamo maggiormente, poiché comprende gli artt. 30 e 46, che prevedono note fattispecie di nullità degli atti di trasferimento di beni immobili.
Peraltro, prima di analizzare le citate disposizioni, occorre intendersi sul significato del sintagma “fiscalizzazione”, che è estraneo al linguaggio tecnico-giuridico e richiede pertanto qualche precisazione. In particolare, l’espressione si presta ad essere utilizzata:
- in un senso più lato, per riferirsi al pagamento di una sanzione pecuniaria a fronte di un abuso edilizio;
- in un senso più stretto, per intendere la “trasformazione” – o, se si preferisce, la “conversione” – della sanzione della demolizione, prevista in via generale per gli abusi edilizi, in una sanzione pecuniaria.
Nel primo senso, può parlarsi di fiscalizzazione anche con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 37 TUE (interventi “eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività”), laddove la demolizione non è neppure contemplata dalla legge come possibile sanzione.
Nel secondo senso, invece, la fiscalizzazione è regolata dagli artt. 33 e 34 TUE, ossia per i casi – da un lato – di interventi di ristrutturazione eseguiti “in assenza di permesso di costruire o in totale difformità” e – dall’altro lato – di interventi “eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”. In questi due casi, il meccanismo della fiscalizzazione si atteggia – almeno nell’intenzione del legislatore – alla stregua di una regola di chiusura del sistema sanzionatorio relativo ad alcune tipologie di abuso.
Il sistema sanzionatorio previsto dal TUE per gli abusi edilizi non è particolarmente articolato, essendo imperniato – da un lato – sulla demolizione/rimozione dell’intervento illegittimo e – dall’altro lato – sulla sanzione pecuniaria, variamente graduata a seconda del tipo di intervento sanzionato, oltre naturalmente all’eventuale responsabilità penale al ricorrere delle fattispecie di reato di cui all’art. 44 TUE.
Le categorie di interventi rilevanti, ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dal TUE, sono principalmente quattro:
- gli interventi di costruzione “eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”, cui sono dedicati gli artt. 31-32 TUE;
- gli interventi di ristrutturazione eseguiti “in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”, cui è dedicato l’art. 33 TUE;
- gli interventi “eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, cui è dedicato in via principale l’art. 34 TUE;
- gli interventi “eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività”, di cui all’art. 37 TUE (parliamo ovviamente di SCIA non alternativa al permesso di costruire).
Vi sono poi gli interventi “eseguiti in base a permesso annullato”, di cui all’art. 38 TUE, ma si tratta di una categoria assai peculiare, in quanto presuppone l’originaria conformità delle opere ad un titolo successivamente caducato, e per la quale è prevista una vera e propria efficacia sanante del pagamento della sanzione pecuniaria. Tralasciamo quindi, per ora, la peculiare ipotesi dell’art. 38 TUE.
2. Sanzioni e loro presupposti. Sulla possibilità di autodichiarare i presupposti della fiscalizzazione nei casi di cui all’art. 34 TUE
Sotto il profilo sanzionatorio, le quattro fattispecie appena ricordate conoscono un trattamento differenziato:
- per le opere eseguite in assenza di permesso di costruire, in totale difformità dallo stesso o con variazioni essenziali rispetto ad esso, sono previste la demolizione e il ripristino, a pena – in caso di inottemperanza alla relativa ingiunzione – dell’acquisizione gratuita dell’opera al Comune e di una sanzione pecuniaria, oltre alla responsabilità penale per il reato previsto dall’art. 44, comma 1, lett. b, TUE;
- per gli interventi di ristrutturazione in assenza di permesso o in totale difformità dallo stesso, sono previste la rimozione o, in alternativa, la sanzione pecuniaria, irrogata nel caso in cui, “sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”; oltre alla responsabilità penale per il reato ex art. 44, comma 1, lett. a, TUE;
- per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, è prevista la rimozione o, in alternativa, la sanzione pecuniaria, irrogata “[q]uando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”; rimane sempre ferma la responsabilità penale per il reato ex art. 44, comma 1, lett. a, TUE;
- per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA (non alternativa al permesso), è prevista soltanto l’irrogazione della sanzione pecuniaria in via principale e non subordinatamente all’ordine di demolizione, salvo casi particolari[2]; è inoltre esclusa ogni responsabilità penale.
Ne risulta un quadro in cui, agli estremi opposti, abbiamo:
- l’intervento in assenza di permesso di costruire o in totale difformità o con variazioni essenziali (art. 31 TUE), per cui la sanzione della demolizione non conosce alternative;
- l’intervento in assenza o in difformità dalla SCIA (art. 37 TUE), per cui non è prevista altra sanzione che quella pecuniaria.
Al centro del quadro, invece, abbiamo due ipotesi intermedie – la ristrutturazione abusiva (art. 33 TUE) e gli interventi in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34 TUE) – per le quali la sanzione pecuniaria è prevista come alternativa alla demolizione, ma con presupposti diversi:
- nel caso della ristrutturazione abusiva, essa è irrogata quando “il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”;
- nel caso degli interventi parzialmente difformi, la sanzione pecuniaria è irrogata “[q]uando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”.
La diversità di presupposti delle sanzioni pecuniarie discende dal diverso carattere delle violazioni:
- una, più radicale, consistente nello svolgimento di una ristrutturazione in mancanza di provvedimento autorizzativo, sicché l’intervento deve qualificarsi come interamente abusivo;
- una, meno grave, consistente nell’esecuzione di un intervento previo rilascio del permesso di costruire, ancorché in parziale difformità da esso, sicché l’intervento deve qualificarsi come parzialmente abusivo: in tal caso, l’abuso convive con una parte di intervento che invece è conforme al permesso di costruire e che, proprio in quanto coesistente con altra parte abusiva, non può essere pregiudicata dall’operare della sanzione nei confronti di quest’ultima.
Vi è poi l’ipotesi già ricordata di cui all’art. 37 TUE, ossia l’intervento realizzato in assenza o in difformità dalla SCIA, per il quale non si pone neppure il problema della rimessione in pristino, stante la più scarsa rilevanza delle opere abusivamente realizzate[3].
Nei due casi in cui la sanzione pecuniaria è alternativa a quella demolitoria, cioè nei due casi di fiscalizzazione in senso stretto, diversi sono i presupposti della “concedibilità” di tale sanzione (si ricordi infatti che la sanzione pecuniaria, nelle ipotesi di cui agli artt. 33 e 34 TUE, è sempre un posterius rispetto all’irrogazione in via principale della sanzione demolitoria). Infatti, mentre nel caso della ristrutturazione abusiva l’applicazione della sanzione pecuniaria è rimessa alle risultanze di un “motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, [attestante che] il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile”, nel caso di interventi parzialmente difformi la sanzione pecuniaria è prevista per il semplice caso in cui “la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”.
Si tratta, in quest’ultimo caso, di una circostanza di fatto che certamente dev’essere legalmente accertata, ma non necessariamente – come nel caso, invece, della ristrutturazione abusiva – accertata da parte di un’autorità o, comunque, di soggetti terzi. Si tratta, dunque, di una circostanza che potrebbe forse essere attestata… dallo stesso autore dell’intervento parzialmente abusivo, quindi autodichiarata, nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa ai sensi dell’art. 47 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Quest’ultima disposizione, com’è noto, consente di presentare alla p.a. una dichiarazione – resa con l’osservanza delle modalità di cui all’art. 38 del medesimo D.P.R. – riguardante fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato e diversi dagli stati e qualità personali di cui all’art. 46 del medesimo D.P.R.: fatti tra i quali potrebbe farsi rientrare anche l’impossibilità di demolire la parte abusiva del fabbricato senza pregiudizio della parte conforme al titolo edilizio.
È dunque vero che – fatta eccezione per il caso di cui all’art. 37 TUE – la fiscalizzazione rappresenta un’eccezione rispetto alla sanzione demolitoria, che invece rappresenta la regola: la fiscalizzazione, per prendere in prestito un’espressione cara ai processualisti, costituisce un incidente all’interno di un procedimento sanzionatorio che ha già visto l’emanazione di un ordine di demolizione[4]. Tuttavia, se si arriva a sostenere che – quantomeno nel caso di cui all’art. 34 TUE – l’impossibilità della demolizione può essere fatta constare con una dichiarazione di parte, è altrettanto vero che la fiscalizzazione diventa uno strumento nella disponibilità dei privati per “regolarizzare”, in sostanza, un immobile parzialmente difforme dal titolo edilizio. E potrebbe addirittura ipotizzarsi che sia lo stesso autore dell’abuso a promuovere il procedimento sanzionatorio per poi accedere alla misura della fiscalizzazione mediante autodichiarazione del relativo presupposto, quantomeno nelle ipotesi di cui all’art. 34 TUE.
3. (Segue) In particolare, le sanzioni pecuniarie
Mette conto, a questo punto, di soffermarsi brevemente anche sull’entità economica delle sanzioni pecuniarie previste dagli artt. 33 e 34 TUE, che oltre ad essere diverse – come abbiamo appena visto – per quanto attiene all’accertamento dei relativi presupposti, lo sono anche per la loro misura.
Nel caso della ristrutturazione abusiva (art. 33 TUE), la sanzione è irrogata:
- per i fabbricati abitativi, in misura “pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 [legge sull’equo canone] e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all’applicazione della legge medesima, del parametro relativo all’ubicazione e con l’equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell’articolo 16 della medesima legge”;
- per i fabbricati non abitativi, in misura “pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile, determinato a cura dell’agenzia del territorio” (art. 33, comma 2, TUE).
Nel caso degli interventi parzialmente abusivi (art. 34 TUE), invece, la sanzione è irrogata:
- per i fabbricati abitativi, in misura “pari al triplo del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392 [legge sull’equo canone], della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire”;
- per i fabbricati non abitativi, in misura “pari al triplo del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio” (art. 34, comma 2, TUE).
Il sistema potrebbe apparire irrazionale, se si pensa che un intervento di ristrutturazione totalmente abusivo è punito con una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore del bene ristrutturato, mentre un intervento solo parzialmente abusivo è punito oggi[5] con una sanzione pari al triplo del costo o del valore (a seconda della natura del bene) della parte di opera abusiva. L’irrazionalità è però solo apparente, in quanto il sistema sanzionatorio appare conforme al principio di adeguatezza della sanzione: nell’ipotesi di cui all’art. 34 TUE, infatti, la parte di opera realizzata abusivamente potrebbe essere anche molto esigua e, quindi, la triplicazione del relativo valore ai fini sanzionatori risponde alla generale esigenza di irrogare una sanzione che realizzi, in concreto, una funzione di deterrenza.
A tale principio sembra ispirarsi anche l’art. 37 TUE, relativo agli interventi in assenza o in difformità dalla SCIA, per i quali è prevista – ricordiamolo: in via esclusiva – l’irrogazione della sanzione pecuniaria in misura “pari al triplo dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 1.032 euro”.
4. Sull’efficacia sanante della fiscalizzazione
Il discorso sin qui svolto in ordine ai presupposti delle sanzioni pecuniarie è propedeutico alla posizione della fondamentale domanda: esiste una portata sostanziale della fiscalizzazione degli abusi, tale da poterla accostare ad una sorta di sanatoria “a regime”, quantomeno quoad effectum? Si tratta di una domanda, cui parte della dottrina ha già risposto positivamente[6], che potrebbe suscitare un rinnovato interesse alla luce della conclusione, più sopra ventilata, che la sanzione demolitoria possa essere evitata, almeno nel caso di difformità parziali dal permesso di costruire, attraverso una semplice dichiarazione di parte, senza bisogno di un accertamento tecnico da parte della p.a.
L’esame della questione deve prendere le mosse dal richiamo a tre disposizioni del TUE:
- da un lato, l’art. 38, dedicato agli interventi eseguiti in base a permesso annullato, norma che abbiamo già evocato per distinguerla dalle ipotesi di fiscalizzazione di cui agli artt. 33, 34 e 37;
- dall’altro lato, gli artt. 36 e 36-bis, in tema di “[a]ccertamento di conformità nelle ipotesi di parziali difformità e di variazioni essenziali”.
L’art. 38 TUE prevede che, in caso di annullamento del permesso di costruire in base al quale sono state eseguite opere edilizie, qualora non siano possibili né la sanatoria del titolo né la rimessione in pristino, venga irrogata “una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale”. Al pagamento di tale sanzione – ed è questo, ai nostri fini, il vero elemento d’interesse della disposizione in esame – è ricollegata una vera e propria efficacia sanante: infatti, “[l]’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36”.
Si tratta di una previsione che rappresenta un unicum all’interno del TUE, nella misura in cui riconosce efficacia di sanatoria al pagamento di una sanzione pecuniaria: in tutte le altre ipotesi di sanzioni pecuniarie, previste dagli artt. 33, 34 e 37 TUE, manca una previsione analoga a quella, appena citata, dell’art. 38, comma 2, TUE. L’eventuale riconoscimento di un’efficacia sanante al pagamento delle sanzioni di cui agli artt. 33, 34 e 37 TUE non può quindi argomentarsi a partire dal dato normativo, che anzi suggerisce l’impiego dell’argomento a contrario[7], in base al quale, ove il legislatore non ha riconosciuto efficacia sanante al pagamento della sanzione pecuniaria, come ha fatto invece all’art. 38 TUE, tale riconoscimento deve intendersi escluso.
Tuttavia, qualche elemento interpretativo di segno diverso può ricavarsi dal sistema degli artt. 36 e 36-bis TUE, a norma dei quali, in caso di interventi ex artt. 33, 34 e 37 TUE (ossia – lo ricordiamo – ristrutturazioni abusive, interventi in parziale difformità dal permesso di costruire, o in assenza o difformità dalla SCIA), il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono ottenere il permesso di costruire in sanatoria o presentare una SCIA in sanatoria. Tale facoltà è concessa purché si sia in presenza di una doppia conformità: l’intervento deve cioè risultare “conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, nonché ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione”. Ma soprattutto, per quanto qui interessa, tale facoltà è concessa fino alla scadenza del termine per la demolizione o “fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”: irrogate, cioè, le sanzioni amministrative, la legge preclude il ricorso ai titoli in sanatoria.
Gli artt. 36 e 36-bis TUB, a ben vedere, sembrano configurare un’alternativa tra l’ottenimento di un titolo in sanatoria e l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie di cui agli artt. 33, 34 e 37 TUE, al punto che la richiesta del titolo in sanatoria deve necessariamente farsi prima di tale irrogazione, dopodiché rimane preclusa. Ma come spiegare tale alternatività, se non in base a una sorta di equipollenza sostanziale tra sanzione pecuniaria e titolo in sanatoria?
Lasciamo però da parte questo spunto interpretativo, evocato solo al fine di far constare un certo contrasto tra i dati normativi (l’art. 38 TUE da un lato, gli artt. 36 e 36-bis TUE dall’altro) e, dunque, la non decisività degli stessi per rispondere alla domanda iniziale, se la fiscalizzazione degli abusi abbia un’efficacia sanante dal punto di vista edilizio, o se, pagata la sanzione, l’immobile permanga abusivo. Da parte sua, la giurisprudenza appare attraversata da un netto contrasto circa gli effetti derivanti dal pagamento della sanzione pecuniaria:
- secondo un consistente orientamento[8], la differenza sostanziale tra le varie ipotesi di “monetizzazione” degli abusi andrebbe ravvisata proprio negli effetti della stessa sulla regolarità dell’opera, che è sanata per espressa previsione di legge nel caso dell’art. 38 TUE, e solo “tollerata” negli altri casi[9];
- secondo un orientamento minoritario, invece, il pagamento della sanzione produrrebbe effetti analoghi all’ottenimento del titolo in sanatoria[10].
Tale contrasto sembra perdurare anche a seguito del d.l. 29 maggio 2024, n. 69 (c.d. decreto salva casa). Infatti, da un esame della prima giurisprudenza sulla nuova nozione di stato legittimo in relazione alla fiscalizzazione, emerge come alcuni tribunali siano rimasti ancorati al dato testuale dell’art. 38 TUE e, quindi, alla differenziazione dell’ipotesi ivi prevista rispetto alle altre ipotesi di fiscalizzazione[11].
Il d.l. 69/2024, tuttavia, intervenendo sul testo dell’art. 9-bis, comma 1-bis, TUE in materia di stato legittimo dell’immobile, ha oggettivamente mutato il contesto normativo, attribuendo un ruolo nuovo alla fiscalizzazione degli abusi, la quale ora concorre alla dimostrazione dello stato legittimo[12]. Ciò significa che le difformità oggetto di fiscalizzazione (o rientranti nella disciplina sulle tolleranze, di cui diremo a breve) possono considerarsi “regolarizzate”, ai fini della dimostrazione dello stato legittimo, attraverso la prova del pagamento della sanzione (o la dichiarazione del tecnico).
Tuttavia, il mero pagamento delle sanzioni, non costituendo un titolo abilitativo, non potrà essere evocato per dimostrare, a monte, la legittimità dei titoli pregressi, secondo quanto previsto dal meccanismo di semplificazione formale di cui all’art. 9-bis, comma 1-bis, primo periodo, TUE[13]. Ai fini della dimostrazione dello stato legittimo, i pagamenti potranno quindi soltanto affiancare, in funzione integrativa, il titolo originario ovvero l’ultimo titolo, che sono i soli da cui può essere avviata la dimostrazione dello stato legittimo. In altre parole, gli obiettivi di semplificazione formale previsti dall’art. 9-bis TUE non possono essere automaticamente associati al pagamento delle sanzioni di cui agli artt. 33, 34 e 37 TUE, fatta eccezione per il caso del pagamento della sanzione ex art. 38 TUE, che produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria.
In questo contesto, peraltro, occorre considerare che lo stato legittimo dell’immobile si riverbera anche sulla situazione giuridica del proprietario pro tempore del bene che ha formato oggetto dell’intervento abusivo e, in particolare, sulle obbligazioni che possono nascere in capo a lui. Si tratta di un profilo che non può certo essere ignorato dallo stesso notaio, il quale, oltre a considerare – sotto il profilo oggettivo – il regime edilizio dell’immobile, deve anche considerare – sotto il profilo soggettivo – i rischi e le conseguenze cui può andare incontro colui che quell’immobile acquista.
Giova ricordare, a questo proposito, che l’art. 29 TUE non indica, tra i responsabili dell’abuso, il proprietario del bene o i titolari di altri diritti reali sul medesimo. Tuttavia, è pur sempre evidente che la sanzione demolitoria dispiegherà pur sempre i propri effetti a carico di costoro, secondo il noto principio (logico prima che giuridico) res perit domino. Ciò in quanto la misura repressiva che consegue all’accertamento del carattere illegittimo di un manufatto, realizzato senza titolo o in difformità dal titolo, ha carattere reale in quanto è volta non già a sanzionare il comportamento, ma principalmente a ripristinare l’ordine materiale (prima ancora che giuridico) alterato a mezzo della sopravvenienza oggettiva del manufatto privo di un giusto titolo[14]. In altri termini, siccome non si tratta di punire una condotta, bensì di adottare una misura di ricomposizione dell’ordine urbanistico che ha di mira l’eliminazione degli effetti materiali della sua illecita alterazione, la conseguenza demolitoria è opponibile anche a soggetti estranei all’attuazione del comportamento illecito[15].
Il proprietario, quindi, può essere sottoposto al procedimento repressivo dell’abuso anche senza che si sia configurato alcun suo coinvolgimento nei fatti, solo in qualità di soggetto che ha una relazione diretta col bene, per il principio di inerenza passiva della sanzione al bene stesso. Sul piano dei principi, infatti, scopo del controllo pubblico – rectius, della “[v]igilanza sull’attività urbanistico-edilizia”, per citare la rubrica dell’art. 27 TUE – è la verifica di conformità del progetto alla disciplina territoriale di riferimento: attività pubblicistica che è destinata ad incidere, per poter essere effettiva, sulla stessa conformazione del diritto di proprietà.
Ricordiamo, inoltre, che il proprietario, oltre ad essere soggetto alle misure repressive, è tenuto a fornire la prova dello stato legittimo ogniqualvolta intenda eseguire nuovi interventi sull’immobile. Lo stato legittimo è una condizione necessaria per avviare qualsiasi intervento sull’immobile che, in assenza di legittimità, comporterebbe la ripresa dell’attività illegittima, integrante un nuovo abuso edilizio.
Dalla corretta considerazione di questi elementi discende una conseguenza assai rilevante dal punto di vista pratico: che, seppur non si possa riconoscere efficacia sanante alla fiscalizzazione degli abusi, il pagamento della sanzione pecuniaria è comunque idoneo:
- da un lato, a inibire la potestà repressiva dello Stato e, in particolare, il potere di ottenere la demolizione o comunque la rimessione in pristino dell’immobile;
- dall’altro lato, a corroborare una verifica positiva dello stato legittimo dell’immobile ai fini del rilascio di un nuovo titolo edilizio, ferma restando la necessità di un titolo precedente[16].
Dalla fiscalizzazione discendono quindi due effetti – l’immunità dalla sanzione demolitoria e la legittimità dell’immobile – sono tipici della sanatoria, la cui produzione rende pressoché irrilevante – nella maggior parte dei casi e sempre sotto il profilo pratico – il problema se l’immobile permanga abusivo a seguito della fiscalizzazione dell’abuso. Di talché la questione della regolarità dell’immobile “fiscalizzato” assumerà, in molti casi, un carattere quasi metafisico e una funzione eminentemente qualificatoria, una volta disinnescati per il proprietario i profili di rischio normalmente connessi all’abusivismo edilizio. Al punto che si potrebbe quasi parlare, in relazione alla fiscalizzazione, di “sanatoria minore” o anche – con licenza – di sanatoria “cheap”, poiché consente di affrancare l’immobile dalle sanzioni reali e di corroborarne lo stato legittimo senza dover sopportare gli oneri – ulteriori rispetto alle sanzioni – previsti dagli artt. 36 e 36-bis TUE per l’ottenimento del titolo in sanatoria.
Dal punto di vista pratico, sarà sicuramente opportuno dare conto, negli atti di trasferimento immobiliare, dell’avvenuta fiscalizzazione, benché non vi sia alcun obbligo di farlo[17]: l’art. 46 TUE, infatti, impone soltanto la dichiarazione negli atti traslativi degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, mentre, per quanto riguarda il pagamento delle sanzioni pecuniarie, soltanto quella ex art. 38 TUE è contemplata dall’art. 46, comma 2, TUE, che impone altresì di allegare all’atto “la prova dell’integrale pagamento” della stessa. Si tratterà, quindi, di un’indicazione facoltativa, rientrante nel più ampio novero delle clausole praeter legem in materia edilizia, tra cui possono menzionarsi, ad es., quelle dichiarative di irregolarità da sanare ancorché non ostative della commerciabilità dell’immobile: menzioni che discendono direttamente dal dovere di buona fede in contrahendo (art. 1337 cod. civ.), che impone all’alienante di rendere edotto l’acquirente circa l’irregolarità dell’immobile negoziato, e che – almeno a far tempo dal 2019[18] – non possono più rappresentare un tabù per la classe notarile.
5. Tolleranze costruttive
Il riferimento, fatto più sopra, al d.l. 69/2024 suggerisce di accennare in chiusura a un tema nuovo, strettamente collegato a quello della fiscalizzazione e, in particolare, alla fattispecie degli interventi parzialmente difformi dal titolo, di cui all’art. 34 TUE. Proprio con riferimento a tale fattispecie, infatti, bisogna oggi ricordare che non qualsiasi difformità rispetto al titolo edilizio comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 34 TUE, poiché il successivo art. 34-bis prevede una serie di tolleranze costruttive (così la rubrica della disposizione), ossia delle soglie di rilevanza dell’abuso ai fini sanzionatori, al disotto delle quali l’abuso è considerato irrilevante in quanto, appunto, tollerabile[19].
L’art. 34-bis del TUE, introdotto nel 2020 al dichiarato scopo “di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini” (così l’incipit dell’art. 1, comma 1, d.l. 16 luglio 2020, n. 76), è stato riscritto e notevolmente ampliato dal d.l. 69/2024. Esso prevede, in via generale, un limite di tolleranza del 2% rispetto alle previsioni del titolo abilitativo (in merito all’altezza, ai distacchi, alla cubatura, alla superficie coperta e ad “ogni altro parametro delle singole unità immobiliari”): entro questo limite di tolleranza, il mancato rispetto del titolo autorizzativo “non costituisce violazione edilizia” (così il comma 1 della disposizione)[20]. Accanto a questo generale limite di tolleranza, l’art. 34-bis TUE prevede[21] che “costituiscono […] tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile” (comma 2).
Queste recenti disposizioni realizzano una sorta di condono gratuito di alcune difformità realizzate entro il 24 maggio 2024 (commi 1-bis, 1-ter e 2-bis) e, a regime, delle lievi difformità individuate ai commi 1 e 2. Infatti, il comma 3 dell’art. 34-bis stabilisce che le predette “tolleranze esecutive […], non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti [!] aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali”.
Si tratta di una norma intimamente contraddittoria, perché da un lato considera regolari le difformità rientranti nelle soglie di tolleranza; dall’altro lato, non le considera comunque irrilevanti, al punto di imporne la dichiarazione da parte di un tecnico abilitato. Ciò che potrebbe anche avere un senso, guardando all’esigenza di rendere documentalmente chiara e trasparente la storia dell’immobile mediante, appunto, la dichiarazione che le discrasie tra il titolo edilizio e lo stato di fatto sono tollerabili e quindi regolari, così da evitare che debba intervenire un nuovo accertamento di regolarità in relazione a un intervento già realizzato.
Senonché, questa dichiarazione viene fatta assurgere dalla legge a onere formale: un onere di cui, però, non sono ben chiari la portata normativa e, in definitiva, la stessa ratio. Infatti, non si comprende se, nel richiedere l’allegazione della dichiarazione asseverata, il legislatore abbia inteso imporre un requisito formale di validità di tali atti, alla stregua degli oneri di allegazione e dichiarazione (ben noti alla classe notarile) di cui agli artt. 30 e 46 TUE; ovvero un semplice onere di carattere informativo, a fini di mera completezza documentale, il cui mancato adempimento non ha ricadute sul regime di validità o di efficacia degli atti traslativi o di divisione.
Tra le due opzioni interpretative, quest’ultima è ovviamente da privilegiare. Non possiamo ritenere, infatti, che il legislatore abbia inteso invalidare gli atti traslativi cui non sia allegata la dichiarazione circa la tollerabilità degli interventi difformi. E ciò per diverse ragioni:
- anzitutto, per la mancanza di un’espressa comminatoria di nullità, cui il legislatore del TUE ricorre in altre norme come, appunto, i ricordati artt. 30 e 46, ove prevede altresì la possibilità di “integrare” gli atti per cui il requisito di forma-contenuto non sia stato, inopinatamente, rispettato;
- secondariamente, e soprattutto, perché l’invalidità apparirebbe, in questa ipotesi, manifestamente irrazionale in quanto sproporzionata all’interesse tutelato dall’art. 34-bis TUE, che non è certo quello di colpire fenomeni di abusivismo edilizio (come nel caso dei ricordati artt. 30 e 46), bensì – molto più semplicemente – quello di rendere completa e trasparente la “storia documentale” di un immobile bensì regolare, ma comunque lievemente difforme rispetto al titolo edilizio;
- in terzo luogo, perché l’obbligatoria allegazione verrebbe a fondare un surrettizio obbligo di garanzia in capo all’alienante della regolarità edilizia dell’immobile trasferito: un obbligo che non è imposto dalla legge in via generale e che sarebbe assurdo imporre con riferimento alle minime difformità di cui all’art. 34-bis TUE.
Nessuna conseguenza sul piano della validità e dell’efficacia dell’atto di trasferimento può quindi farsi discendere dalla mancata allegazione della dichiarazione del tecnico in merito alle tolleranze esecutive[22]. Non bisogna dimenticare, però, che tale dichiarazione concorre, al pari del pagamento delle sanzioni pecuniarie, alla determinazione dello stato legittimo dell’immobile, secondo quanto è oggi previsto dall’art. 9-bis, comma 1-bis, TUE.
Né bisogna dimenticare, infine, l’interessante previsione contenuta nell’art. 34-ter TUE, introdotto anch’esso dal d.l. 69/2024. Tale disposizione, che contiene soprattutto le “istruzioni” per sanare le varianti abusive ante legge Bucalossi, stabilisce al comma 4 che vanno soggette alla disciplina delle tolleranze costruttive, di cui all’art. 34-bis TUE, anche le parziali difformità, realizzate durante l’esecuzione dei lavori oggetto di un titolo edilizio, per le quali non siano mai stati adottati provvedimenti sanzionatori e in presenza delle quali sia intervenuta l’abitabilità o l’agibilità con provvedimento non annullabile d’ufficio. Si tratta di difformità “latenti”, di fronte alle quali la p.a. non ha mai reagito e che sono state addirittura “superate” – almeno dal punto di vista storico – dal rilascio dell’agibilità.
Ebbene, anche per queste difformità, seppur eccedenti le soglie di tolleranza di cui all’art. 34-bis TUE, il legislatore ha fatto – per così dire – un’eccezione all’art. 34 TUE e ne ha previsto la sanatoria automatica secondo la norma sulle tolleranze esecutive. Si tratta, a mio parere, di un’operazione di pulizia doverosa, anche alla luce del principio di affidamento del cittadino nei confronti della p.a., proclamato anche dalla Corte costituzionale a far tempo dagli anni 1980[23], affidamento che ben potrebbe dirsi leso nel caso in cui un procedimento sanzionatorio fosse intrapreso a seguito del rilascio di un provvedimento di agibilità non annullabile, espressione del corretto esercizio del potere amministrativo.
Note
[1] In ambito notarile, il più importante contributo sul tema è costituito dallo studio n. 70-2023/P della Commissione Studi Pubblicistici del Consiglio Nazionale del Notariato a firma di Lomonaco, La c.d. procedura di fiscalizzazione dell’illecito edilizio come prevista negli articoli 34 e 38 del testo unico dell’edilizia, ora in Studi e materiali, 2024, 83 ss., studio peraltro anteriore al d.l. 29 maggio 2024, n. 69 (c.d. decreto salva casa), ma cui si fa comunque rinvio per i numerosi ed utili riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.
[2] Solo nel caso in cui le opere realizzate in assenza di SCIA consistano in interventi di restauro e risanamento conservativo “eseguiti su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali”, l’autorità competente a vigilare sull’osservanza del vincolo “può ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile ed irroga una sanzione pecuniaria” (art. 37, comma 2, TUE). Inoltre, qualora tali interventi siano eseguiti su immobili, anche non vincolati, compresi in “agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale” (cfr. art. 2, lett. A, d.m. 2 aprile 1968), il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede al Ministero per i beni e le attività culturali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o l’irrogazione della sanzione pecuniaria.
[3] Si tratta di manutenzione straordinaria su parti strutturali, di restauro e risanamento conservativo su parti strutturali, di alcune ipotesi di ristrutturazione e di alcune varianti minori rispetto al permesso di costruire (ad es. quelle che non incidono sulle volumetrie, o quelle che non modificano la destinazione d’uso).
[4] La fiscalizzazione degli abusi assume anche nella giurisprudenza una funzione residuale e subordinata, al punto che non compete all’amministrazione procedente di valutare, d’ufficio, prima dell’emissione dell’ordine di demolizione, se la misura possa essere applicata. Al contrario, tale valutazione va fatta nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e presuppone l’impossibilità (generica per l’art. 33 TUE e qualificata per l’art. 34 TUE) di ottemperare all’ordine stesso mediante il ripristino della situazione preesistente: cfr. ex multae TAR Liguria, 19 agosto 2019, n. 589; TAR Campania – Napoli, 7 novembre 2023, n. 6089.
[5] A far tempo dal 2024, poiché si tratta di un regime modificato ad opera del d.l. 29 maggio 2024, n. 69 (c.d. decreto salva casa).
[6] V. Rizzi, La circolazione immobiliare. Profili pubblicistici e nuove figure negoziali3, Wolters Kluwer, 2025, 177 ss. Contra, Rezzonico-Rezzonico, Trasferimenti immobiliari e normative edilizie. Il ruolo del notaio, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, 266. Per ulteriori riferimenti v. Lomonaco, La c.d. procedura, cit., 88 ss.
[7] Si tratta di un argomento interpretativo di segno contrario rispetto all’interpretazione estensiva (e all’applicazione analogica della legge), il quale mira a costruire una regola di segno contrario a quella espressa dal legislatore in una determinata fattispecie analoga ad altra non espressamente disciplinata. Si tratta, in sostanza, dell’argomento ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit.
[8] Ripercorso da Cons. Stato, 15 novembre 2023, n. 9799.
[9] Cfr. Cons. Stato, 30 giugno 1984, n. 418.
[10] Cfr. TAR Emilia-Romagna – Bologna, 11 marzo 2015, n. 250.
[11] Cfr. Cons. Stato, 27 giugno 2024, n. 5666.
[12] “Alla determinazione dello stato legittimo dell’immobile […] concorrono, altresì, il pagamento delle sanzioni previste dagli articoli 33, 34, 37, commi 1, 3, 5 e 6, e 38, e la dichiarazione di cui all’articolo 34-bis”. Cfr., in giurisprudenza, TAR Campania – Salerno, 16 gennaio 2025, n. 91.
[13] “Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, a condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.
[14] Cfr. Cons. Stato, 15 aprile 2015, n. 1927.
[15] Cfr. TAR Puglia – Lecce, 20 giugno 2016, n. 995; TAR Calabria – Reggio Calabria, 20 gennaio 2017, n. 47.
[16] Evidenzia Rizzi, La circolazione3, cit., 77, che “il pagamento delle sanzioni e le dichiarazioni asseverate […] potranno solo ‘concorrere’ a determinare lo stato legittimo del fabbricato ma non a ‘dimostrare’, a monte, lo stato legittimo del fabbricato, necessitando, a tal fine, il riferimento al titolo edilizio originario o all’ultimo titolo che ha interessato l’intero immobile”.
[17] Conforme Rizzi, La circolazione3, cit., 180 s.
[18] Il riferimento è a Cass., SS.UU., 22 marzo 2019, n. 8230.
[19] V. ora Rizzi, La circolazione3, cit., 69 ss., nonché lo studio n. 62-2025/P della Commissione Studi Pubblicistici del Consiglio Nazionale del Notariato a firma di Trapani, Le tolleranze costruttive ed esecutive dopo il cd. Decreto salva casa.
[20] Limiti di tolleranza maggiori, sempre espressi in percentuale, sono previsti in via transitoria dal comma 1-bis per gli interventi realizzati fino al 24 maggio 2024.
[21] Anche in tal caso con una maggiore larghezza per gli interventi realizzati fino a un anno fa (comma 2-bis).
[22] In senso conforme, Trapani, Le tolleranze, cit., 17, secondo cui “la presenza della relazione allegata al titolo […] esclude la possibilità di azionare strumenti rimediali, quali la risoluzione o l’azione quanti minoris, in via esemplificativa; va, invece, rilevato che, senz’altro, le eventuali ipotesi di nullità fuoriescono dal perimetro normativo in questione”.
[23] Cfr. Travi, La tutela dell’affidamento del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, in Dir. pubblico, 2018, 121 ss.
L’articolo “Fiscalizzazione” degli abusi edilizi, tolleranze esecutive e regolare circolazione degli immobili sembra essere il primo su Federnotizie.