28 Febbraio 2025

Energie rinnovabili e diritto di superficie

A cura di Domenico Garofalo e Sabrina Chibbaro

L’art. 5, comma 2-bis, del decreto legge 15 maggio 2024, n. 63 (introdotto dall’art. 1, comma 1 dalla legge 12 luglio 2024, n. 101 in sede di conversione) ha introdotto nuove disposizioni in materia di concessione del diritto di superficie su terreni per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, fattispecie nella quale il diritto di superficie trova diffusa applicazione nella prassi.

Si riporta di seguito il testo delle nuove disposizioni:

La durata dei contratti, anche preliminari, di concessione del diritto di superficie su terreni ricadenti nelle aree di cui all’articolo 20, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, per l’installazione e l’esercizio di impianti da fonti rinnovabili non può essere inferiore a sei anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di ulteriori sei anni. Alla seconda scadenza del contratto, salva diversa pattuizione delle parti, ciascuna parte ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo lettera raccomandata entro sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata di cui al secondo periodo. In mancanza di risposta o di accordo, il contratto si intende scaduto alla data di cessazione. In mancanza della comunicazione di cui al secondo periodo, il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni. Se le parti hanno determinato una durata inferiore o hanno convenuto il diritto di superficie senza determinazione di tempo, la durata si intende convenuta per sei anni. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai contratti non ancora scaduti, fatta salva la facoltà di recesso da esercitare con le modalità previste dal secondo periodo nel termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Le disposizioni si applicano non solo ai contratti di concessione del diritto di superficie, ma anche ai preliminari aventi a oggetto la conclusione di tali contratti, in entrambi i casi a condizione che il diritto di superficie sia concesso su terreni ricadenti in determinate aree (da individuarsi secondo quanto ivi previsto[1]) per l’installazione e l’esercizio di impianti (di produzione di energia elettrica) da fonti rinnovabili.

La norma, scritta con una certa approssimazione, da un lato pone seri problemi interpretativi, anche per la difficoltà di individuarne una ratio, e dall’altro presta il fianco a varie critiche.

Ma cominciamo dall’aspetto più rilevante: la compatibilità della norma con l’ordinamento giuridico nel suo complesso, precisando che qui si tratterà, senza pretesa di esaustività, soltanto di talune questioni ritenute di maggiore rilevanza, tralasciando altri aspetti (quali il trattamento fiscale di tali contratti e dei loro “rinnovi”).

Contratti a esecuzione istantanea e contratti di durata

La norma disciplina “la durata dei contratti, anche preliminari, di concessione del diritto di superficie. E qui iniziano le perplessità. Perché nei manuali di diritto privato si insegna la distinzione fra contratti a esecuzione istantanea, che esauriscono i propri effetti in un solo momento, e contratti di durata, la cui esecuzione è protratta nel tempo per soddisfare bisogni destinati appunto a sussistere per un certo intervallo temporale.[2]

Fra i contratti a esecuzione istantanea si ricomprendono quelli che costituiscono o trasferiscono diritti reali, che, in virtù del principio consensualistico (art. 1376 codice civile), producono ed esauriscono i propri effetti con il mero consenso delle parti. Alla categoria dei contratti a esecuzione istantanea appartengono altresì i contratti preliminari: anche in tal caso, infatti, l’esecuzione della prestazione dedotta in contratto si esaurisce nel momento stesso in cui viene concluso il contratto definitivo, sebbene tale momento sia successivo a quello della stipula del preliminare.[3]

I contratti a esecuzione istantanea possono quindi essere a esecuzione immediata, se tutte le obbligazioni in esso previste si esauriscono contestualmente alla stipula del contratto (come nei contratti che costituiscono o trasferiscono diritti reali) oppure a esecuzione differita, se qualcuna delle obbligazioni va eseguita entro un dato termine futuro (come nei contratti preliminari).

I contratti di durata si distinguono invece in contratti a esecuzione continuata, in cui la prestazione è unica ma protratta nel tempo (per esempio, il contratto di locazione) e contratti a esecuzione periodica, in cui vi sono più prestazioni, da eseguirsi in date prestabilite (es. rendita vitalizia) oppure saltuariamente, su richiesta di una delle parti (es. contratto di conto corrente).

Riferibilità del concetto di “durata” al diritto di superficie e non al contratto. Irrilevanza delle nuove disposizioni per il termine di efficacia della trascrizione del preliminare

Da questo ripasso, che avrebbe fatto bene anche al legislatore, emerge con tutta la sua evidenza la necessità di ricercare un’interpretazione “sistematica”, che sia cioè coerente con l’ordinamento: si ritiene che la disposizione debba quindi essere intesa nel senso che la durata si riferisca non al contratto (definitivo o preliminare), ma al diritto di superficie da costituire. E in effetti tale interpretazione si sposa con il penultimo periodo della disposizione ai sensi del quale “se le parti hanno determinato una durata inferiore o hanno convenuto il diritto di superficie senza determinazione di tempo, la durata si intende convenuta per sei anni”: qui l’assenza di “determinazione di tempo” è – correttamente – riferita al diritto di superficie.

Nel caso del contratto preliminare, il termine fissato per la stipula del definitivo è un termine per l’adempimento:[4] esso stabilisce, quindi, il momento di esecuzione delle obbligazioni dedotte nel contratto e non un termine di durata dello stesso, posto che anche i contratti preliminari, come si è visto, non sono contratti di durata. Dalla formulazione della disposizione, che pone sullo stesso piano contratti preliminari e definitivi, sembra potersi escludere che, nel caso dei contratti preliminari, la “durata” cui si fa riferimento indichi il termine per l’adempimento.

Anche in tal caso la norma deve intendersi riferita alla durata del diritto di superficie che le parti si obbligano a costituire e che, insieme agli altri elementi essenziali del definitivo, deve essere predeterminata nel preliminare.

Nel caso in cui il preliminare sia trascritto, come noto, dal termine convenuto per la stipula del definitivo può dipendere il termine finale di efficacia della trascrizione di cui all’art. 2645-bis (decorso il quale viene meno l’efficacia prenotativa della trascrizione se nel frattempo non è trascritto il definitivo), fermo il limite di tre anni dalla trascrizione del preliminare.

Alla luce di tutto ciò appare surreale il testo della risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 4/2025 del 13 gennaio 2025 nel quale si chiede “se il citato comma 2-bis dell’articolo 5 del D.L. n. 63/2024, derogando all’articolo 2645 bis, comma 3, del Codice Civile, consenta, per i contratti preliminari che riguardano diritti di superficie su aree idonee per l’installazione e l’esercizio di impianti a fonte rinnovabile, la trascrizione alla quale riconoscere efficacia per almeno sei anni e se e con quali modalità possa procedersi alla trascrizione nei registri immobiliari delle proroghe disposte dalla norma sopra menzionata per i contratti non ancora scaduti all’entrata in vigore della stessa.

La risposta che scaturisce dai principi di diritto sopra enunciati sarebbe: la norma si limita a stabilire un termine di durata minimo del diritto di superficie e ciò non incide in alcun modo sull’efficacia della trascrizione del contratto preliminare. E in ogni caso la previsione di un termine per l’adempimento del preliminare superiore ai tre anni (senz’altro lecita) non consente di estendere il limite temporale dell’efficacia prenotativa della sua trascrizione: tale limite si giustifica in considerazione dell’esigenza di impedire che si protragga troppo a lungo una situazione di incertezza sulla conclusione della sequenza procedimentale instaurata col preliminare, eliminando nel contempo gli ostacoli alla libera disponibilità del bene (e alla sua possibilità di aggressione da parte dei creditori del promittente) che altrimenti permarrebbero per effetto della trascrizione.[5]

Il rinnovo come istituto tipico dei contratti di durata: compatibilità con i contratti a effetti reali

L’imbarazzo dell’interprete nei confronti di una disposizione, che sembra trattare i contratti (anche preliminari) di costituzione di diritti di superficie come contratti di durata, diventa puro sconcerto quando ci si rende conto che il legislatore ha addirittura disciplinato il rinnovo di tali contratti, richiamando una categoria (quella del rinnovo o rinnovazione) tipica dei contratti di durata e che poco si addice ai contratti a esecuzione istantanea.[6]

La disposizione in questione prevede che “la durata dei contratti, anche preliminari, di concessione del diritto di superficie … non può essere inferiore a sei anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di ulteriori sei anni. Alla seconda scadenza del contratto, salva diversa pattuizione delle parti, ciascuna parte ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto…”.

Assodato che la durata di sei anni non può che essere riferita al diritto di superficie e che i contratti a effetti reali (e i loro preliminari) non “scadono”, occorre esaminare brevemente le disposizioni relative al “rinnovo” per poi tentare di individuare il significato da attribuire al termine “rinnovo” quando esso è riferito al contratto di costituzione del diritto di superficie.

La disposizione prevede in sintesi:

  1. che alla sua prima scadenza il contratto sia rinnovato per un periodo di ulteriori sei anni;
  2. che, prima della seconda scadenza, ciascuna parte possa attivare una procedura per il rinnovo a nuove condizioni o la rinuncia al rinnovo mediante comunicazione da inviare all’altra almeno sei mesi prima di tale scadenza e che:
    1. in mancanza (i) di risposta dell’altra parte entro il termine previsto o (ii) di accordo, il contratto “si intende scaduto alla data di cessazione”;
    2. in mancanza della comunicazione per l’attivazione della procedura, “il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.

Se il rinnovo dopo la prima scadenza (che chiameremo nel prosieguo “primo rinnovo”) sembrerebbe operare ex lege e indipendentemente dalla volontà delle parti, il rinnovo alla seconda scadenza (“secondo rinnovo”) può derivare:

  • da un accordo delle parti a seguito della procedura di cui sopra (chiameremo questa fattispecie “secondo rinnovo convenzionale”); oppure
  • dall’inerzia delle parti, qualora nessuna di esse attivi la predetta procedura (parleremo in tal caso di “secondo rinnovo automatico”), operando anche in tal caso ex lege (salvo che tale effetto sia escluso dalle stesse parti, come si vedrà oltre).

È inoltre utile evidenziare sin d’ora alcune lacune nella già stringatissima (se non pressoché inesistente) disciplina del primo rinnovo e del secondo rinovo automatico (nel secondo rinnovo convenzionale potrà esplicarsi pienamente l’autonomia privata, per cui non si rende necessaria alcuna disciplina di legge in merito agli effetti che da esso possono derivare):

  • mentre il legislatore si è premurato di precisare che il primo rinnovo è “di ulteriori sei anni”, nulla è previsto per il secondo rinnovo automatico: potrebbe forse ipotizzarsi che anche in tal caso la “durata” sia di ulteriori sei anni;
  • il secondo rinnovo automatico è “alle medesime condizioni”, mentre nulla è previsto per il primo rinnovo: anche qui è difficile giustificare una diversa disciplina fra le due fattispecie.

Passiamo ora a esaminare la natura del “rinnovo” del contratto di concessione del diritto di superficie.

Se il rinnovo o la rinnovazione di un contratto di durata indica la conclusione di un nuovo contratto (spesso per fatti concludenti) o comunque la nascita di un nuovo rapporto di contenuto uguale ad altro preesistente[7] ma con diversi termini temporali[8], il rinnovo del contratto di concessione del diritto di superficie cui fa riferimento la disposizione che si commenta potrebbe consistere: (i) nella modifica del diritto di superficie (e, in particolare, nell’estensione della sua durata, sempre che se ne ammetta la possibilità)[9] oppure (ii) nella costituzione di un nuovo diritto di superficie e/o nel trasferimento della proprietà superficiaria dell’impianto medio tempore realizzato con termine iniziale dalla data di scadenza del precedente diritto.[10]

Nel secondo rinnovo convenzionale, l’effetto della modifica del diritto di superficie o della costituzione di un nuovo diritto/del trasferimento della proprietà superficiaria è voluto dalle parti nel relativo accordo,[11] che deve essere trascritto ai sensi dell’art. 2643 n. 2) codice civile e che può stabilire, fra l’altro, la maggior durata del diritto di superficie e l’eventuale integrazione del corrispettivo dovuto dal superficiario al proprietario del suolo. Tale accordo dovrebbe inoltre essere concluso prima della seconda scadenza, onde evitare che torni a operare il principio dell’accessione[12] e, quindi, il proprietario del suolo acquisti anche la proprietà dell’impianto.

Lo scenario è assai più complesso per il primo rinnovo e il secondo rinnovo automatico.[13]

In tali casi, infatti, il rinnovo avviene per effetto di legge e pertanto in assenza di un titolo, per cui non potrà procedersi alla trascrizione del rinnovo né pare sostenibile che esso sia comunque opponibile ai terzi, perlomeno in tutti quei casi in cui dalla nota di trascrizione dell’originaria concessione del diritto di superficie non possa desumersi l’applicabilità della disciplina in oggetto.

Inoltre, mancando un accordo tra le parti, ci si chiede, nel silenzio della legge, quali siano le condizioni economiche del prolungamento o del nuovo diritto per i successivi sei anni.

Sembra poco ragionevole ritenere che la disposizione abbia inteso alterare il sinallagma contrattuale a favore del superficiario (che beneficia di una maggior durata del suo diritto) e a danno del proprietario del suolo (che subisce invece un’ulteriore compressione del suo diritto di proprietà) o comunque arricchire il primo e depauperare il secondo.

Si potrebbe, dunque, ipotizzare che:

  • il riferimento alle “medesime condizioni” previste dalla norma per il secondo rinnovo automatico (che si ritiene applicabile anche al primo rinnovo) debba interpretarsi nel senso che il proprietario del suolo abbia diritto a ricevere dal superficiario una somma a titolo di integrazione del corrispettivo originariamente pattuito o indennizzo;[14]
  • l’integrazione del corrispettivo o l’indennizzo (nonché i tempi e le modalità di pagamento) si determinino, in base al criterio della “parità delle condizioni”, in funzione del corrispettivo e della durata del diritto di superficie originariamente pattuiti, avendo riguardo alla durata della proroga del diritto di superficie per effetto del rinnovo automatico.[15]

Tale ricostruzione non è priva di inconvenienti pratici in quanto, in assenza di accordo fra le parti, la concreta determinazione dell’indennizzo o integrazione del corrispettivo nonché dei relativi tempi e modalità di pagamento potrebbe dover essere rimessa all’autorità giudiziaria.

Può quindi essere opportuno disciplinare già nell’originario contratto di costituzione del diritto di superficie l’integrazione del corrispettivo dovuto per effetto del rinnovo e l’obbligo delle parti di addivenire alla stipula di un atto ricognitivo dell’effetto (legale) del rinnovo, anche al fine dell’adempimento di tutte le formalità previste dalla legge.

Quanto al preliminare, una volta chiarito che, come si è visto nel precedente paragrafo, la durata minima di sei anni è riferita al diritto di superficie che sarà costituito con il contratto definitivo, sembrerebbe doversi concludere che le restanti disposizioni relative al rinnovo non siano applicabili al preliminare in quanto tale, ma assumano rilevanza solo nella misura in cui in esso è predeterminato il contenuto del contratto definitivo.

Derogabilità della disciplina e autonomia privata

La previsione di una durata minima (del diritto di superficie, come si è avuto modo di vedere) parrebbe, ahinoi, inderogabile. Tant’è che alla determinazione convenzionale di una durata inferiore a quella minima, la disposizione che si commenta ricollega l’effetto della sostituzione automatica della minor durata pattuita con quella minima di legge secondo il meccanismo di cui all’art. 1339 codice civile (“se le parti hanno determinato una durata inferiore … la durata si intende convenuta per sei anni”).

La stessa conseguenza è prevista altresì qualora “[le parti abbiano] convenuto il diritto di superficie senza determinazione di tempo”. Pertanto, non solo si impone una durata minima del diritto di superficie, ma parrebbe altresì vietarsi la previsione del diritto di superficie a tempo indeterminato, che è invece pacificamente ammessa in via generale (come si desume a contrario dall’art. 953 codice civile). Con riferimento al diritto di superficie perpetuo, peraltro, potrebbe sorgere il dubbio che il (pur confuso) legislatore abbia inteso non tanto porre un divieto, limitando l’autonomia privata, quanto invece dettare una norma dispositiva per l’ipotesi che le parti abbiano semplicemente omesso ogni pattuizione circa la durata (o la perpetuità) del diritto: così argomentando, le parti sarebbero quindi libere di convenire la costituzione di un diritto di superficie perpetuo, ma avrebbero l’onere di far risultare espressamente tale volontà.

L’inderogabilità non è invece espressamente prevista per il c.d. “primo rinnovo” automatico. Nel senso dell’inderogabilità, tuttavia, depongono, da un lato, la formulazione perentoria della disposizione (secondo cui dopo la prima scadenza “i contratti sono rinnovati per un periodo di ulteriori sei anni”), dall’altro, la circostanza che, come si è accennato e meglio si dirà in seguito, la derogabilità è invece prevista nel periodo immediatamente seguente con riferimento alla procedura di rinnovo o di rinuncia al rinnovo.

Se, dato il carattere inderogabile della disposizione, le parti non potrebbero quindi pattuire nel contratto di concessione del diritto di superficie l’esclusione del primo rinnovo, potrebbero tuttavia convenire successivamente di sciogliere il contratto per mutuo consenso (art. 1372, primo comma, secondo periodo codice civile). Il superficiario potrebbe poi sempre rinunciare unilateralmente al diritto di superficie.

Più discutibile, in quanto potenzialmente in frode alla legge (art. 1344 codice civile), sarebbe la pattuizione dell’obbligo delle parti di risolvere consensualmente il contratto (si tratterebbe di una sorta di preliminare di contratto risolutorio) o dell’obbligo del superficiario di rinunciare al diritto di superficie alla prima scadenza del contratto.

È invece testuale, come si è detto, la derogabilità della procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto. Sembrerebbe doversi quindi concludere per la derogabilità anche del c.d. secondo rinnovo automatico.

Considerazioni sulla possibile incostituzionalità delle nuove disposizioni

Da ultimo, sorge il dubbio della legittimità costituzionale delle nuove disposizioni.

Queste, infatti, impongono una significativa compressione dell’autonomia privata e limiti alla proprietà privata che non sembrano trovare giustificazione in alcun interesse superiore costituzionalmente rilevante. Potrebbero quindi ritenersi violati l’art. 41 della Costituzione relativo alla libertà di iniziativa economica e l’art. 42, comma 2 della Costituzione, che consente limiti alla proprietà privata solo “allo scopo di assicurarne la funzione sociale”.

Oramai più di quarant’anni fa, con riferimento a disposizioni di legge che prorogavano contratti di locazione a canone calmierato, la Consulta ha riconosciuto che il relativo regime vincolistico fosse compatibile con l’art. 42 della Costituzione solo ove la proroga avesse carattere straordinario e provvisorio.[16]

La normativa qui in commento non ha carattere straordinario né provvisorio e dai lavori preparatori non risulta che il legislatore abbia inteso perseguire alcuna funzione sociale.

Il dubbio di costituzionalità, peraltro, è ancora maggiore con riferimento all’applicabilità retroattiva delle nuove disposizioni ai contratti già conclusi e “non ancora scaduti”[17] (salvo il diritto di recesso, che tuttavia poteva essere esercitato in un arco temporale ristretto e ormai decorso).


Note

[1] In particolare, deve trattarsi di terreni “ricadenti nelle aree di cui all’articolo 20, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199” e, quindi, in “aree idonee all’installazione della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC” (il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima predisposto in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999) individuate secondo i criteri dettati da uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica.

[2] A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato (a cura di F. Anelli e C. Granelli), 2019, pp. 519-520; M. C. Diener, Il contratto in generale, 2015, pp. 70 ss.

[3] G. Sicchiero, Il contratto preliminare, in V. Roppo, Trattato del contratto, vol. III Effetti (a cura di M. Costanza), 2006, p. 376.

[4] A. Caputo – R. Scotti, I contratti preparatori: il contratto preliminare, in P. Fava (a cura di), Il contratto, 2012, pp. 1167 ss.

[5] P. Boero, I trasferimenti e i vincoli, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo (già diretto da L. Mengoni e P. Schlesinger, continuato da V. Roppo e F. Anelli), La trascrizione immobiliare, II, 2021, p. 544.

[6] In materia di locazione si prevede per esempio che “la locazione si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata” (art. 1597 codice civile); disposizioni più specifiche sono dettate per le locazioni di immobili urbani ad uso abitativo (artt. 1 e 2 legge n. 431/1998) e ad uso diverso da quello abitativo (art. 28 legge n. 392/1978).

[7] F. Trifone, La locazione: disposizioni generali e locazioni di fondi urbani, in Trattato di diritto privato (diretto da P. Rescigno), vol. 11, t. 3, 1984, p. 462.

[8] A. Gentili, Riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione, in Diritto civile (diretto da N. Lipari e P. Rescigno), vol. III Obbligazioni, t. II Il contratto in generale (coordinato da A. Zoppini), 2009, p. 782.

[9] Che il diritto di superficie possa essere modificato dopo la sua costituzione si desume dagli artt. 1350 n. 2) e 2643 n. 2) codice civile, che richiedono, rispettivamente, la forma scritta a pena di nullità e la trascrizione per “i contratti che … modificano … il diritto di superficie”. È peraltro controverso in dottrina se la modificazione della durata di un diritto reale di godimento sia compatibile con il permanere dell’identità del diritto o costituisca invece, se estensiva, un nuovo diritto o, se restrittiva, una rinuncia parziale. Si veda sull’argomento L. Ferri – P. Zanelli, Della trascrizione. Art. 2643-2596, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca (a cura di F. Galgano), 1995, p. 141.

[10] In particolare, nell’ipotesi sub (ii) riportata nel testo il rinnovo dovrebbe consistere: (i) qualora l’impianto sia già stato interamente realizzato, nel trasferimento della proprietà superficiaria dell’impianto; (ii) qualora non sia ancora avviata la costruzione dell’impianto, nella costituzione di un nuovo diritto di superficie; o (iii) qualora l’impianto stato realizzato solo in parte, nel trasferimento della proprietà superficiaria dell’opera già realizzata e nella costituzione di un nuovo diritto di superficie per la realizzazione della parte ancora mancante.

[11] Sembra ragionevole sostenere che a tale accordo non si applichi la disciplina in oggetto, specie ove si ritenga che il secondo rinnovo convenzionale possa consistere nell’estensione della durata del diritto di superficie e non nella costituzione di un nuovo diritto.

[12] L’art. 953 codice civile, che prevede che il proprietario del suolo diventi proprietario della costruzione all’estinzione del diritto di superficie, si ritiene in genere derogabile. Le parti potrebbero per esempio convenire che, all’estinzione del diritto di superficie, il superficiario demolisca la costruzione, mantenendo la proprietà dei materiali. Le parti non potrebbero, tuttavia, semplicemente pattuire che la costruzione, all’estinzione del diritto di superficie, non divenga automaticamente di proprietà del dominus soli, in quanto si avrebbe altrimenti un’illogica e non consentita sopravvivenza del diritto di superficie alla sua estinzione. Si veda A. Guarneri, La superficie, in Il Codice Civile Commentato (fondato da P. Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli), 2007, pp. 180-181.

[13] Mentre il primo rinnovo parrebbe configurarsi come un effetto che deriva unicamente dalla legge, per il caso di secondo rinnovo “automatico” si prevede che il contratto sia “rinnovato tacitamente”, come se l’effetto del rinnovo (qualunque esso sia) sia in qualche modo imputabile ad una volontà non espressa delle parti. Da tale diversa formulazione può trarsi solo un’ulteriore riprova della sciatteria del legislatore, giacché, non potrebbe concludersi tacitamente un contratto per il quale la legge richiede a pena di nullità la forma scritta (art. 1350, n. 2) codice civile).

[14] Si prende in considerazione, secondo l’id quod plerumque accidit, il caso in cui il contratto di concessione di diritto di superficie preveda un corrispettivo in denaro secondo lo schema contrattuale della compravendita. Peraltro, poiché la disposizione si applica ai “contratti, anche preliminari, di concessione del diritto di superficie”, essa sarebbe applicabile anche a schemi contrattuali diversi dalla compravendita o atipici.

[15] Qualora il corrispettivo della costituzione del diritto di superficie non sia in denaro o sia addirittura infungibile, la determinazione dell’integrazione del corrispettivo o dell’indennizzo sarebbe ancor più complessa e potrebbe essere necessario stabilire un equivalente in denaro rapportato al valore del corrispettivo non monetario originariamente pattuito.

[16] Corte Costituzionale, sentenza n. 22 del 1980, su https://giurcost.org/decisioni/1980/0022s-80.html.

[17] A. Busani, Impianti agrivoltaici, durata dei contratti obbligatoria di sei anni, in Il Sole 24 Ore, 25 agosto 2024.

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