Di ritorno dal Congresso di Federnotai: unicità o pluralità di modelli aggregativi?

A cura di Massimo Saraceno
L’interessante Congresso di Federnotai ha affrontato, con l’intervento di autorevoli relatori, due tra i più delicati temi di attualità notarile: l’intelligenza artificiale nelle sue molteplici applicazioni nella gestione dello studio notarile e le forme di aggregazioni fra notai alla luce di virtuosi modelli associativi ormai affermatisi nella prassi.
Temi apparentemente solo paralleli, e non legati da alcun filo conduttore, se non l’esigenza di governare il cambiamento in maniera funzionale al rispetto dei principi fondanti la professione notarile, primo fra tutti quello della personalità della prestazione.
Lo stimolo a riflettere sui dibattiti che ne sono scaturiti mi ha, invece, convinto che vi sia fra di essi un profondo nesso, non solo assiologico, ma anche di sistema, come spero emerga a margine della lettura del presente contributo.
Abbiamo ascoltato con interesse l’illustrazione di un modello associativo da prendere come esempio per efficienza, capacità organizzativa e qualità dei servizi professionali offerti all’utenza nel quale alla perdita di un po’ di individualità fanno da contrappeso gli innumerevoli vantaggi che ne derivano in termini di crescita professionale direttamente conseguente alla condivisione delle diverse esperienze professionali e attitudini culturali degli associati.
In altri termini, non ci si associa per guadagnare di più, contenere i costi e avere più tempo libero o, meglio, non lo si fa solo per questo, ma soprattutto per scambiarsi idee e conoscenze e, dunque, secondo l’insegnamento di Michel Serres, arricchirsi reciprocamente: quando oggetto dello scambio sono beni materiali essi si consumano, mentre “la cultura e la conoscenza si espandono senza fine”.
Ci è stato anche ricordato che le aggregazioni fra notai generano effetti benefici per la categoria e la collettività in quanto consentono l’attuazione di naturali e reciproci controlli fra i colleghi in termini di lealtà fiscale, gestione del conto dedicato e, più in generale, di correttezza dei comportamenti, ancor prima, e indipendentemente, dalla loro rilevanza deontologica, ora espressamente prevista dall’art. 16 del riformato codice.
Nel contempo è anche emersa, da un lato, l’insufficienza e la vetustà del tradizionale strumento a disposizione dei notai per dar luogo a un’aggregazione, quello dell’associazione di cui all’art. 82 della legge notarile, ricondotto più volte e in maniera costante dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo dall’ordinanza della Cassazione n. 32248/2023) non a “un ente collettivo o centro di imputazione di interessi, fornito di personalità giuridica, né come azienda professionale avente una propria autonomia strutturale e funzionale, …omissis, ma soltanto a un patto interno avente a contenuto anche la divisione delle spese, tra cui i compensi del personale che non assume la titolarità dei relativi obblighi, i quali continueranno a gravare sui notai associati, anche se tenuti all’apporto contabile relativo” e, dall’altro, la precipua rilevanza del principio, anch’esso ora codificato dall’art.14 del medesimo codice, secondo cui gli accordi associativi non possono essere strumento di elusione dell’osservanza dei canoni di personalità, indipendenza, terzietà e imparzialità della prestazione notarile.
E vengo al punto.
Come coniugare l’esigenza, sempre più avvertita nella prassi, di mettere a fattor comune idee, esperienze, conoscenze, costi e guadagni con la limitatezza del modello associativo offerto dalla normativa ormai risalente al 1913 e con l’osservanza dei principi guida dell’attività notarile in cui tutti ci riconosciamo? Siamo certi che il modello associativo disegnato dall’art. 82, ove attuato correttamente e senza disfunzioni patologiche, sia l’unico possibile, oppure è venuto il momento di utilizzare l’ars notaria della quale andiamo tradizionalmente fieri per costruire modelli aggregativi più moderni e, nel contempo, rispettosi dei principi di deontologia notarile?
E’, per esempio, particolarmente avvertita l’esigenza di condividere taluni segmenti dell’attività notarile senza dar luogo necessariamente a un’associazione “globale” di riparto di proventi e spese o, comunque, di procedere in maniera graduale verso quel risultato finale, una volta verificata durante un lasso di tempo più o meno ampio la compatibilità e l’integrabilità dei rispettivi studi, senza dover da subito realizzare una “fusione” di non facile reversibilità in caso di insuccesso dell’auspicata osmosi.
So di accingermi a toccare un tasto molto delicato per chi si occupa di deontologia notarile e sono altresì consapevole che i prossimi studi e interpretazioni, dottrinali e giurisprudenziali, chiariranno nel breve periodo il perimetro del “divieto di esternalizzazione degli adempimenti”, anch’esso appartenente al corpus dell’intervento riformatore (Art. 42 del Codice Deontologico), ma non mi sembra inopportuno che la c.d. base (che poi costituisce la stessa destinataria del divieto) contribuisca al dibattito e provi ad abbozzare qualche conclusione esegetica.
Non mi pare che la liceità dell’accentramento dell’elaborazione degli adempimenti post-stipula presso una struttura facente capo a un’associazione notarile di stampo tradizionale (quella globale di cui all’art. 82, per intenderci), anche in presenza di una pluralità di studi e uffici secondari, sia stata posta in dubbio alla luce del vigente codice deontologico e, ritengo, non lo sarà neanche a seguito di quello che entrerà in vigore il 1 gennaio 2025, sempre nel rispetto dei principi sopra esposti e fermo il “personale controllo delle formalità dipendenti dall’atto” da parte del notaio rogante. E’ ciò per la semplice ragione che la predisposizione del file informatico in cui si sostanzia l’adempimento post-stipula non è affidata a strutture estranee al notariato in quanto l’ufficio accentrato, anche ove dislocato in luoghi fisici diversi da quelli ove ha studio il notaio rogante, fa capo a un’associazione notarile, con proprio personale dipendente che predispone il file inserendolo direttamente nel fascicolo informatico pronto per essere visionato, controllato, modificato e firmato dal medesimo notaio rogante.
Il divieto di esternalizzazione non mira, dunque, a evitare che il file venga predisposto in luogo fisico diverso da quello in cui in cui il notaio ha il proprio studio, ma a far sì che lo stesso sia elaborato da “diretti dipendenti o collaboratori” del notaio: il novellato art. 42, con il pronome possessivo “suoi”, riferisce letteralmente il rapporto di dipendenza o collaborazione al notaio rogante, ma non mi pare revocabile in dubbio che l’obiter contenuto in tale disposizione induca linearmente a ritenere che il personale incaricato possa anche essere alle dipendenze dello studio associato cui il notaio rogante appartiene, rectius alle dipendenze in solido dei notai che lo compongono ove si segua il ragionamento della Cassazione sull’inconfigurabilità dello studio associato come centro autonomo di imputazione di interessi.
Non si vuole, dunque, e in questo mi pare consista la ratio del divieto, che venga affidato a soggetti estranei al notariato (in senso lato), come possono essere le cc.dd. società di servizi, quali soggetti terzi, non legati al notaio, o ai notai associati, da un rapporto di dipendenza o diretta collaborazione, un segmento particolarmente qualificante l’attività notarile, che concorre in maniera fondamentale ad assicurare l’attitudine dell’atto notarile a conseguire lo scopo tipico e il risultato pratico voluto dalle parti.
Ove il ragionamento fin qui svolto mostrasse una propria coerenza, allora dovrebbe naturalmente conseguirne che non è il modello aggregativo prescelto a costituire il vero discrimen in ordine al rispetto del divieto di esternalizzazione: quale che sia la forma di condivisione dei dipendenti e dei collaboratori, purché direttamente controllabili dal notaio rogante, e ovunque sia il luogo fisico ove viene elaborato l’adempimento, essa dovrebbe essere idonea a garantire l’intraneità della fase esecutiva dell’atto notarile e il rispetto dei principi deontologici.
Un contratto di rete fra professionisti (solo notai), ora previsto dall’art. 12, comma 3, della Legge n. 81 del 2017, e la versatilità delle forme di condivisione dei dipendenti consentite dalla legislazione del lavoro, quale esemplificativamente il distacco e la codatorialità, potrebbero dunque costituire efficaci e leciti strumenti di contenimento dei costi, un modo di ovviare al problema, sempre più avvertito, di reperire personale qualificato e, al contempo, preludere a forme più strutturate di associazionismo notarile che muovano da consolidate premesse di condivisione di alcune fasi dell’attività lavorativa.
Immagino che non sarà lontano il tempo in cui, con strumenti di AI integrati all’interno del gestionale notarile, chiederemo alla macchina “elabora il modello unico informatico relativo all’atto rep. n… e conservalo all’interno del fascicolo informatico” e lo faremo seduti alla scrivania del nostro studio o ufficio secondario.
Stiamo esternalizzando di più o di meno rispetto al caso in cui il medesimo risultato venga ottenuto attraverso l’elaborazione dello stesso file da parte di un dipendente che condividiamo con uno o più colleghi?
Il punto, non nascondiamocelo, è l’imprescindibilità del “controllo personale del notaio delle formalità dipendenti dall’atto”, che può essere facilmente eluso (e che, per questo, ove violato, va disciplinarmente perseguito, pur con le oggettive difficoltà di accertamento) ma che continua a costituire il perno su cui ruota l’intera fase post-stipula.
Il progresso, tecnologico e di evoluzione dei modelli aggregativi, è inarrestabile e sarebbe miope cercare di fermarlo: governiamolo!
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