6 Dicembre 2024

Via libera alla cessione dello studio a titolo oneroso dal nuovo Codice Deontologico

I riformati Principi di Deontologia Professionale dei Notai hanno alla fine avuto la loro alba giusto al tramonto del Congresso Nazionale di Roma tenutosi il 24, 25 e 26 ottobre 2024.

Certo non si può dire che la loro emanazione sia stata preceduta da un costruttivo dibattito interno alla categoria.

Vero è che i lavori di riforma partono ormai da lontano, risalendo a qualche consiliatura fa, ma il congresso che avrebbe dovuto essere il luogo di dibattito (quello di Genova della primavera 2023) è ricordato solo per la presentazione di alcuni lavori compilatori che riassumevano lo stato della giurisprudenza disciplinare e per una compressione ingiustificata e senza precedenti del dibattito assembleare.

Da quel giorno i lavori sono stati coperti da un mistero che il Consiglio Nazionale non ha voluto svelare neppure al Congresso di Roma, scegliendo di far conoscere i principi, con scelta irriguardosa nei confronti di chi ha partecipato al congresso, non il giorno prima dei lavori ma in chiusura dei lavori quando il tempo per la discussione non c’era più. E senza una benché minima relazione illustrativa.

Un’insolenza di cui il prossimo Consiglio Nazionale dovrà far tesoro per evitare che possa ripetersi e dalla quale si auspica che i consiglieri uscenti che intendono ricandidarsi prendano esplicitamente le distanze.

Ma la mancata trasparenza, come spesso accade, non ha impedito che uscissero all’esterno le voci sulle scelte che hanno in qualche modo contrapposto i consiglieri ed in particolare le tensioni sorte sul tema della cessione dello studio notarile.

I principi deontologici vigenti sino al 31 dicembre 2024 elencavano, all’articolo 31, alcune ipotesi di violazione del principio di imparzialità, chiudendo l’elenco con una lettera g) a mente della quale Viola il dovere di imparzialità il notaio: … g) che rileva a titolo oneroso lo studio notarile”.

Della cessione a titolo oneroso dello studio notarile avevamo già avuto occasione di occuparci poco più di un anno fa premettendo che la vecchia norma deontologica era assai poco rispettata e quasi mai perseguita e come si rendesse necessario por mano ad una riflessione sull’attualità del divieto.

I principi che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2025, nell’elencare le ipotesi di violazione del principio di imparzialità (ed ora anche di indipendenza), ripercorrono (senza alcuna modifica) all’articolo 37, lettere da a) a f), le ipotesi di violazione del vecchio articolo 31, ma non contemplano più l’ipotesi della vecchia lettera g).

In coda all’elencazione è aggiunto un nuovo comma nel quale si legge “Viola, inoltre, i medesimi doveri il notaio che consente al precedente titolare dello studio (sede o ufficio secondario) o ai suoi familiari di interferire o di ingerirsi, direttamente o indirettamente, nell’organizzazione dello studio e nella gestione dei rapporti con clienti, dipendenti e collaboratori.”

La mancata trasparenza sui lavori che hanno portato all’approvazione dei principi e la mancanza di una relazione illustrativa ha portato con sé un’incertezza sulla portata della modifica.

Sempre secondo voci raccolte a Roma per alcuni la modifica non legittimerebbe la cessione a titolo oneroso dello studio notarile essendo il divieto (o comunque l’impossibilità giuridica) della cessione ricavabile dai principi generali. Per altri l’eliminazione della lettera g) consentirebbe invece ora la cessione, pur con la precisazione riportata nel nuovo comma. Essendo voci, naturalmente, ben potrebbe essere che la ricostruzione delle opinioni, oltre che semplicistica, sia errata.

Anticipiamo che ci pare corretta l’interpretazione che ritiene ora legittimata la cessione a titolo oneroso dello studio e condivisibile lo spirito della riforma, ma appare evidente come le differenti posizioni risentano molto delle ragioni “politiche” portate a sostegno o ad opposizione.

Utile, a tal fine, può essere rileggere un passo della relazione che accompagnava il progetto di riforma del Codice Deontologico abortito qualche consiliatura fa.

“Nel valutare il problema, la Commissione ritiene che si debbano tener distinti con chiarezza il momento della cessione/rilevazione dello studio notarile da quello della successiva presenza e collaborazione nello studio da parte del notaio cedente, poiché in tale ultimo caso la questione va considerata sotto il profilo – tutto diverso – dell’eventuale procacciamento d’affari.

La prima domanda da porsi è, dunque, quella della legittimità della cessione dello studio notarile; in caso di risposta affermativa, occorre poi valutare se si possa distinguere la cessione a titolo oneroso da quella a titolo gratuito per giungere eventualmente a conclusioni diverse in ordine alla legittimità dell’una o dell’altra ipotesi.

In ordine al primo problema (se sia legittima la cessione/rilevazione dello studio notarile) sono emerse in Commissione diverse sensibilità, che possono, in estrema sintesi, così riassumersi:

— da un lato, a favore della tesi positiva, vanno considerati sia l’interesse della cittadinanza alla prosecuzione del servizio notarile nello stesso luogo e nella stessa struttura, ai quali essa è abituata, sia il fatto che con la cessione non andrebbe disperso il lavoro, magari di tanti anni, del notaio cedente;

— dall’altro lato, a favore della tesi negativa, militerebbero sia la circostanza che la cessione dello studio presuppone in qualche modo una visione mercantilistica dell’attività del notaio (cui forse il legislatore negli ultimi anni tende, ma che non piace a una consistente parte della categoria) sia la considerazione che la cessione- almeno in alcune circostanze (si pensi alla cessione di uno studio, posto in Comune monosede, in favore di notaio diverso dal titolare della sede stessa) – potrebbe alterare le dinamiche di una leale concorrenza.

Anche relativamente alla seconda questione (se, nel caso in cui si ritenga ammissibile la cessione, si possano distinguere in base al titolo, oneroso o gratuito, un’ipotesi lecita e l’altra illecita) la Commissione non è giunta a conclusioni univoche, potendosi, anche in questo caso, fare valutazioni contrastanti:

— da un lato (a favore, cioè, della liceità sia della cessione a titolo gratuito sia di quella a titolo oneroso), si sostiene che, una volta ammessa la liceità della fattispecie, non si comprende perché sarebbe possibile donare lo studio, ma non venderlo; né può sostenersi che la cessione, ancorché a titolo oneroso, integri “vendita della funzione”, perché la cessione dovrebbe avvenire, ovviamente, pur sempre in favore di chi è già notaio, vale a dire in favore di soggetto ritenuto idoneo allo svolgimento della funzione notarile dallo Stato a seguito di concorso (si pensi, in altre parole, a quanto previsto in materia di cessione di farmacia);

— dall’altro (a favore della tesi della liceità della cessione a titolo gratuito, ma non di quella a titolo oneroso) milita soprattutto la considerazione che la cessione a titolo oneroso potrebbe favorire, al di là dei meriti e delle capacità, il notaio dotato di maggiori disponibilità economiche e patrimoniali, che potrebbe assicurarsi la prosecuzione in uno studio avviato a danno di altro notaio, magari più bravo, ma privo di adeguati mezzi economici.

La delicatezza dei problemi posti è resa vieppiù grave, a giudizio della Commissione, dai riflessi, per così dire, politici delle soluzioni che saranno adottate , sia perché occorre evitare situazioni di irragionevole disparità di trattamento fra fattispecie uguali (in cui si potrebbe incorrere qualora si ammettesse la cessione a titolo gratuito, vietando quella a titolo oneroso) e sia perché occorre considerare il fatto che la cessione a titolo gratuito attiene in particolare al passaggio intergenerazionale e familiare dello studio notarile, che, da un lato, involge interessi e desideri, per così dire, naturali dell’uomo, ma, dall’altro presta facilmente il fianco alle critiche strumentali di chi parlerebbe di “casta che tutela se stessa”, soprattutto se si ammettesse la cessione a titolo gratuito e si vietasse quella a titolo oneroso.”

Prima di passare a ragionare su quale sia la corretta interpretazione dei riformati principi occorre verificare se, in astratto, possa essere configurabile la cessione (gratuita o onerosa) dello studio notarile o se, invece, non si debba invece passare per una cessione dei singoli elementi.

Il tema non è nuovo e anche il consiglio nazionale del notariato se ne è già occupato seppur non direttamente investito della questione relativamente a uno studio notarile ma ad altro studio professionale.

Di seguito alcuni passaggi dello Studio 185/2021 del CNN (.PDF), in tema di cessione di studio dentistico.

Non v’è dubbio che gli studi professionali presentino molte analogie con l’azienda e che, nella prassi, questa vicinanza tenda ad accentuarsi. Accanto al permanere dei tradizionali principi della fiduciarietà del rapporto e della personalità della prestazione, si assiste infatti ad un superamento della considerazione dell’opera intellettuale come irrelata dal momento organizzativo, tenuto conto – come è stato osservato in dottrina – delle nuove tendenze verso la commercializzazione, la specializzazione e la socializzazione. Questa evoluzione è assecondata dal formante normativo: con l’abrogazione, da parte della L. 7 agosto 1997, n. 266, art. 24, della L. 23 novembre 1939, n. 1815, art. 2, in tema di disciplina giuridica degli studi di assistenza e consulenza; con l’introduzione, ad opera del D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, art. 16 e ss., della possibilità di esercitare la professione di avvocato in forma societaria; con il venir meno – per effetto del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 2 convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248 – del divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di professionisti» (così sempre Cass. 2860/2010).”

Si dà conto, nello studio, della possibilità che l’organizzazione degli studi professionali sia assimilata a quella aziendale, in diverse occasioni manifestata dalla S.C., “ogni qualvolta al profilo personale dell’attività svolta si affianchino un’organizzazione di mezzi e strutture, un numero di titolari e dipendenti ed un’ampiezza di locali adibiti all’attività, tali che il fattore organizzativo e l’entità dei mezzi impiegati sovrastino l’attività professionale del titolare, o quanto meno si pongano, rispetto ad essa, come entità giuridica dotata di una propria rilevanza strutturale e funzionale che, seppure non separata dall’attività del titolare, assuma una rilevanza economica tale da essere suscettibile di una propria valutazione, e divenire per sé stessa oggetto di possibile contrattazione”.

E ancora: ”La sentenza n. 2860/2010, tuttavia, compie un passo ulteriore, ritenendo che, anche laddove non sia riscontrabile la prevalenza del momento organizzativo, e resti quindi essenziale la persona del professionista, possa validamente stipularsi un contratto avente ad oggetto il trasferimento, verso corrispettivo, dello studio professionale, ad altro soggetto intenzionato a proseguire l’attività, avvalendosi del complesso dei beni materiali e immateriali appartenenti al proprio dante causa.”

Le conclusioni dello studio 185/2021 sono vieppiù convincenti alla luce della Sentenza 583/21 del 16 novembre 2023 della Corte di Giustizia Europea (.PDF) che si è pronunciata sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001 (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti), in una vertenza che contrapponeva i dipendenti di uno studio notarile spagnolo al notaio che era subentrato nello studio e della quale è interessante leggere alcuni passaggi e le conclusioni:

“Dal punto 54 della presente sentenza risulta che, conformemente alla normativa spagnola, il personale e le strutture dello studio notarile costituiscono un «ufficio pubblico», definito come il complesso delle risorse materiali e umane organizzate per il conseguimento della finalità della funzione pubblica notarile. 70 L’attività di un siffatto studio notarile si fonda principalmente sulla manodopera di tale studio, sicché esso può conservare la propria identità al termine del suo trasferimento qualora una parte essenziale del personale, in termini di numero e di competenza, sia rilevata dal suo nuovo titolare, consentendo a quest’ultimo la prosecuzione delle attività dello studio notarile.

Occorre rilevare che – nell’ipotesi in cui un notaio divenuto, dopo la sua nomina, titolare di uno studio notarile abbia rilevato una parte essenziale del personale impiegato dal suo predecessore e abbia continuato ad affidare a detto personale compiti come quelli menzionati al punto 61 della presente sentenza – il fatto che egli sia divenuto titolare di uno studio notarile, in particolare di una determinata sede, abbia rilevato i mezzi materiali nonché i locali di detto studio e sia divenuto il depositario dell’archivio (Protocolo) indica che detto studio ha conservato la propria identità.

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che tale direttiva è applicabile a una situazione in cui un notaio, pubblico ufficiale e datore di lavoro privato dei lavoratori attivi nel suo studio notarile, succeda al precedente titolare di un siffatto studio, rilevi l’archivio (Protocolo), nonché una parte essenziale del personale che era impiegato dal precedente titolare e continui a svolgere la medesima attività negli stessi locali con gli stessi mezzi materiali, a condizione che sia conservata l’identità di detto studio, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti.”

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara: L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva è applicabile a una situazione in cui un notaio, pubblico ufficiale e datore di lavoro privato dei lavoratori attivi nel suo studio notarile, succeda al precedente titolare di un siffatto studio, rilevi l’archivio (Protocolo), nonché una parte essenziale del personale che era impiegato dal precedente titolare e continui a svolgere la medesima attività negli stessi locali con gli stessi mezzi materiali, a condizione che sia conservata l’identità di detto studio, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti.”

A qualcuno le premesse da cui parte la Corte di Giustizia non piaceranno, ma si inseriscono in un orientamento ormai solidamente consolidato e di cui non si può non tenere conto. E da tali premesse si può addirittura giungere a sostenere  l’illegittimità della norma deontologica che sancisce il divieto della cessione a titolo oneroso per contrasto all’ordinamento comunitario.

E altre riflessioni possono essere svolte a sostegno dell’utilità della legittimazione della cessione dello studio notarile nell’interesse della categoria e della qualità del servizio che la stessa offre.

E’ indubitabile che negli ultimi anni si sia assistito:

  • al crescere del costo dei beni, soprattutto tecnologici e informatici, necessari per prestare con efficienza il servizio notarile;
  • al crescere della necessità di dotare lo studio di uno staff di collaboratori esperto e formato, molto più esperto e formato di quanto fosse necessario anche solo pochi anni fa e quindi ad un maggior onere  economico che è necessario sostenere per la formazione.

Ciò determina indubbiamente la necessità di cospicui investimenti per il buon funzionamento dello studio.

Negli anni di esercizio della sua professione il notaio crea un valore, umano e tecnologico,  che necessariamente interessa chi si affaccia alla professione, ma che, altresì, diventa poi un fattore di maggior qualità del servizio notarile; con  un’utilità immediata per la clientela (che si giova di una facilitata fase di rodaggio per chi si avvia alla professione) ed una utilità indiretta per la categoria che ha interesse a che il servizio sia mantenuto ovunque e da chiunque ad un livello adeguato.

Molti di noi, e se ne ampiamente parlato al congresso di Torino nella primavera del 2024, lamentano i difetti dell’attuale sistema di selezione dei notai, che di fatto ha allontanato dalla pratica coloro che si accingono ad affrontare il concorso. E con ciò lamentano in particolare la poca esperienza di chi si trova ad affrontare i primi anni di sigillo con poche cognizioni di gestione del repertorio, degli adempimenti e di altre frazioni di attività il cui apprendimento non è necessario per superare il concorso. La continuità garantita dal subentro nello studio di un notaio cessato è in grado di ridurre le difficoltà di partenza.

E, visto dall’altra parte, l’impossibilità di monetizzare gli investimenti potrebbe determinare nei notai che si avvicinano alla quiescenza la scarsa propensione all’investimento in tecnologia (si pensi ad esempio ai sistemi di videoconferenza o ai software di intelligenza artificiale) o nella formazione e nell’aggiornamento del personale. E anche qui vi è un interesse indiretto della clientela e del notariato in generale (che si giustifica con una alta qualità di sistema) a che il notaio prossimo alla pensione prosegua negli investimenti che servono a tenere alto il livello del servizio.

L’acquisto a titolo oneroso di uno studio notarile anticipa dei costi che il neo-notaio o il notaio appena entrato in esercizio dovrebbe comunque sostenere negli anni (considerazione che disinnesca le perplessità di chi ritiene la cessione a titolo oneroso costituirebbe una barriera di censo  all’ingresso nel notariato) e consente al notaio cessando di recuperare gli investimenti che, se spalmati su un ridotto numero di anni, risulterebbero antieconomici.

Sono tutti fattori questi che portano a spostare l’ago della bilancia dalla parte dell’eliminazione del divieto. Senza contare che  negli studi associati la questione sottostante il tema della cessione è da tempo legittimamente risolto con la modulazione della partecipazione al reddito dell’associazione (chi entra in associazione lo fa partecipando al risultato economico in misura crescente con gli anni) e della stipula di polizze assicurative che indennizzano la perdita del socio cessato ai fini della sua liquidazione (sono polizze modulate su quelle per il trattamento di fine mandato degli amministratori, pagate dall’associazione ma incassate dal notaio cessato o dai suoi eredi).

Diversa questione, tutta da esplorare, è quella del valore di uno studio notarile. Questione sulla quale impatta una ricognizione degli asset cedibili e che porta, con tutta probabilità, a numeri che non soddisferanno le aspettative dei potenziali cedenti.

In primo luogo, è necessario chiarire che non può essere oggetto di cessione in blocco l’archivio delle pratiche, sia esso cartaceo o informatico.  A ciò ostano chiaramente i principi fondamentali del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), in particolare quelli relativi alla limitazione delle finalità (Art. 5, par. 1, lett. b), alla minimizzazione dei dati (Art. 5, par. 1, lett. c) e alla liceità del trattamento (Art. 6). Un trasferimento indiscriminato dell’intero archivio dei clienti violerebbe il principio secondo cui i dati personali devono essere raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e “qualora il titolare del trattamento intenda trattare ulteriormente i dati personali per una finalità diversa da quella per cui essi sono stati raccolti…” deve illustrarle e ottenere un nuovo consenso dall’interessato (art. 13 3°co.).

Dato che originariamente il notaio ha raccolto i dati per le finalità di stipulazione dell’atto e dei suoi adempimenti, con la sola previsione del trasferimento a un responsabile del trattamento (software house) per supporto tecnico, l’ulteriore trasferimento indiscriminato dell’archivio notarile sarebbe certamente incompatibile con le finalità originarie e, quindi, sarebbe illegittimo senza un nuovo specifico consenso dell’interessato. Inoltre, il principio di minimizzazione dei dati richiede che siano trattati solo i dati necessari per le finalità specifiche del trattamento, il che difficilmente si concilierebbe con un trasferimento in blocco dell’archivio.

Infine, il principio di liceità del trattamento impone che ci sia una base giuridica valida per il trasferimento dei dati personali, che potrebbe non sussistere in caso di cessione indiscriminata dell’intero archivio. Pertanto, qualsiasi trasferimento di dati dei clienti nel contesto di una cessione di studio notarile dovrebbe essere attentamente valutato e limitato a quanto strettamente necessario, nel rispetto dei diritti e delle libertà degli interessati.

In caso di violazione delle norme GDPR, le sanzioni possono essere severe. L’articolo 83 del GDPR prevede due categorie di sanzioni amministrative: Violazioni di minore gravità: fino a 10 milioni di euro o fino al 2% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente. Violazioni più gravi: fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente. Le sanzioni possono riguardare diverse fattispecie, tra cui la violazione dei principi di base del trattamento dei dati e l’inosservanza dei diritti degli interessati.

Possono invece essere ceduti, secondo il ricordato insegnamento della Corte di Giustizia Europea, i contratti di lavoro dipendente o, meglio, in caso di subentro di un notaio nella struttura organizzata da un altro notaio (ed anche in mancanza di un contratto di cessione) i lavoratori conservano i medesimi diritti, ai sensi dell’articolo 2112 c.c.

Senza dubbio possono essere oggetto di cessione l’hardware e gli arredi dello studio.

Per quanto riguarda i locali nei quali è esercitata l’attività notarile se essi sono di proprietà del notaio cessato il canone di locazione farà parte del complessivo accordo economico (ed anzi è stato in passato utilizzato per dissimulare la vietata cessione onerosa), mentre se sono nella disponibilità del notaio in forza di un contratto di locazione farà parte degli asset da valutare il consenso del proprietario alla prosecuzione del rapporto. Sull’applicabilità dell’articolo 36 della legge 392/78[1] qualche dubbio potrebbe venire, ma la lettura della già ricordata sentenza 583/21 del 16 novembre 2023 della Corte di Giustizia Europea induce a essere possibilisti.

Resta lo spinoso tema dell’avviamento, cioè della clientela. Rispetto ad altri professionisti, i commercialisti ad esempio, tipicamente il notaio non ha rapporti continuativi con il cliente ma vive di specifici incarichi su singole operazioni. Non sono quindi, se non marginalmente, monetizzabili gli incarichi in corso di esecuzione.

E difficilmente valutabile, e quindi monetizzabile, una lista di clienti sul presupposto della continuazione della frequentazione dello studio nel frattempo passato di mano.

Questo vale sicuramente per il notaio di città o, meglio, per il notaio che opera in territori ad alta densità notarile e dotati di infrastrutture di qualità, che ha assistito ad una progressiva minor fidelizzazione della clientela soprattutto in ragione della soppressione della tariffa che ha introdotto la decisiva variabile del costo nella scelta del notaio. Per la cessione dello studio di questi notai è difficile quantificare il valore della clientela, divenuta sempre più volatile e pronta a cambiare le sue scelte appunto in ragione di una maggior convenienza, ma anche di una maggior disponibilità o rapidità. Ed ancora se il cherry picking è fatto su un maggior numero di ciliege è più facile che le peculiarità caratteriali e organizzative del notaio cedente non coincidano con quelle del cessionario e che il cliente del cedente si rivolga altrove.

Ma vale anche, seppur probabilmente in misura minore, per il notaio di campagna, intendendosi per costui il notaio di una monosede o comunque un notaio che lavora in una zona a bassa densità notarile, che soffrendo meno la concorrenza ed aprendo uno studio in prossimità del notaio cessato sarebbe probabilmente in grado di intercettarne, in parte, la clientela.

Non vale quindi molto uno studio notarile, poco più del costo dei beni che servono allo svolgimento della professione e del prevedibile costo di formazione dello staff che affiancherà il nuovo notaio e che potrebbe essere efficacemente evitato valorizzando le competenze già formate dal notaio cedente.

Difficile e rischioso invece valorizzare la clientela in ragione dell’incertezza sul radicamento della stessa presso lo studio anche dopo l’ingresso di un nuovo e diverso notaio.

Senza contare che, come in ogni altra fine di proibizionismo, il prezzo del bene non più proibito si ridurrebbe.

Sostenuta così la legittimità della cessione dello studio notarile, diviene difficile argomentare che l’eliminazione dall’elenco dei comportamenti che violano i doveri di indipendenza e imparzialità dell’acquisto a titolo oneroso dello studio (vecchia lettera g) dell’articolo 31), non equivalga alla legittimazione della fattispecie.

Siamo pertanto in presenza di una novità e di una novità da accogliere con favore, pur senza tralasciare le preoccupazioni di coloro che si opponevano alla liberalizzazione.

Preoccupazioni che trovano eco nell’ultimo comma del nuovo articolo 37. “Viola, inoltre, i medesimi doveri (di indipendenza e di imparzialità ndr) il notaio che consente al precedente titolare dello studio (sede o ufficio secondario) o ai suoi familiari di interferire o di ingerirsi, direttamente o indirettamente, nell’organizzazione dello studio e nella gestione dei rapporti con clienti, dipendenti e collaboratori.”

Norma questa che sinteticamente riproduce quanto più diffusamente era scritto nella vecchia bozza di codice deontologico nella quale si leggeva: “Viola i doveri di indipendenza e di imparzialità: … g) il notaio che, subentrando nello studio del notaio cessato, si avvalga dell’attività di procacciamento della clientela svolta da quest’ultimo.

In tale ipotesi è considerata attività di procacciamento della clientela la frequentazione da parte del notaio cessato dello [ovvero: la stabile o ricorrente permanenza nello] studio notarile o dell’ufficio secondario nel quale svolgeva la propria attività, tranne che per ragioni diverse da quelle legate allo svolgimento dell’attività notarile.

Nell’interesse dell’utenza sono consentiti gli accordi tra notai in esercizio e notai cessati, volti a dare continuità al funzionamento dello studio notarile, purché non si traducano in una limitazione della libertà di scelta del notaio a cui affidare l’incarico professionale”.

A me pare di poter affermare che l’ultimo comma dell’articolo 37 sia norma tautologica ripetitiva di principi già contenuti nella legge notarile e in altri punti dei principi.

Il notaio cessato e i suoi famigliari non possono svolgere attività di procacciamento d’affari, ma ciò è già esplicitamente affermato dall’articolo 147 lettera c) della legge notarile.

Il notaio che subentra nello studio di un notaio cessato deve conformare la propria condotta professionale al principio di indipendenza, ma questo è già affermato, dall’articolo 2 dei principi che impone al notaio subentrante di essere il dominus dell’organizzazione e non in posizione subalterna, neppure parzialmente, rispetto al notaio cessato o ai suoi familiari.

Per l’articolo 6, al notaio è richiesto di approntare “una struttura propria, che per luogo, mezzi e personale sia idonea ad assicurare il regolare e continuativo funzionamento dell’ufficio”. E quindi il contratto che garantisce l’utilizzo dei locali adibiti a sede, i contratti di lavoro dipendente e di collaborazione, quelli relativi alla manutenzione del software e alle utenze dovranno avere come parte diretta il notaio subentrante e non il cessato.

Per l’articolo 17 “il notaio … deve svolgere l’attività professionale garantendone la qualità, la sostenibilità economica e l’efficienza.” E quindi gli accordi economici col notaio cessato non devono essere tali da “strozzare” il subentrante minandone l’indipendenza attraverso una difficile sostenibilità economica.

L’articolo 20 vieta “l’uso in qualunque forma del nome di un notaio cessato, defunto o trasferito.”

E naturalmente i rapporti tra notaio cessato e notaio subentrante devono essere rispettosi di tutto quanto i principi di deontologia stabiliscono in tema di personalità della prestazione agli articoli 40 (“L’esecuzione della prestazione è caratterizzata dal rapporto personale con le parti e la facoltà di avvalersi di collaboratori non può pregiudicarne la complessiva connotazione personale”) e 41 (“La personalità della prestazione è caratteristica essenziale della funzione notarile con riferimento sia alle varie fasi in cui essa si svolge sia all’organizzazione dello studio e dell’ufficio secondario. L’attività istruttoria deve comunque essere svolta sotto la direzione e il diretto e personale controllo del notaio”).

In sintesi, non siamo in presenza di una grande novità.

È stato eliminato un divieto non più attuale, poco rispettato e probabilmente già superato dalla normativa europea e sono rimasti saldamente affermati i principi di indipendenza e personalità che la presenza nell’organizzazione del notaio cessato non può mettere a rischio.

Ma una novità positiva. Come tutte quelle che squarciano un velo di ipocrisia.

Magari con un po’ di ritardo, come potrà notare chi rilegge quanto scrivevano Giovanni Liotta e Anselmo Barone, già nel 2016, nella prefazione all’e-book di Federnotizie  “Rassegna di Giurisprudenza in materia di deontologia”, facendo un bilancio del primo decennio di attività delle Co.Re.Di..

“In tale contesto, una riforma dovrebbe partire dagli interessi da tutelare, – imparzialità e indipendenza del notaio ma anche libertà assoluta di scelta del medesimo specialmente da parte del cliente più debole, paghi lui o meno la prestazione – e sanzionare ogni condotta che li pregiudichi così conducendo forse a maggior equità di soluzione nella casistica sopra riportata.

Questo approccio potrebbe anche aiutare ad affrontare un’altra fattispecie sanzionata in teoria ma pressoché sconosciuta nella pratica: la rilevazione onerosa di studio notarile che ancora oggi è vietata dai principi di deontologia. Si tratta di un’ipotesi che risulta molto frequente al punto da far dubitare che sia percepita come un disvalore da una larga parte dei notai così da spingere qualche furbo a considerare abrogato il divieto per desuetudine. Se, tuttavia, la fattispecie della rilevazione onerosa non fosse sanzionata in quanto tale ma, anche non espressamente sanzionata, parte integrante di un rivisitato divieto di procacciamento d’affari e per il pregiudizio ai citati valori di indipendenza del notaio e libertà di scelta da parte del cliente debole, probabilmente si raggiungerebbero davvero gli obiettivi che sono alla base dalla nozione stessa di deontologia.”


Note

[1] “Il conduttore può sublocare l’immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l’azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”

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