“Favorisca il Suo miglior preventivo”
Qual è la richiesta più comune, più pressante e più stressante che ci arriva dai clienti, quotidianamente, a tutte le ore, in tutti i luoghi fisici e virtuali? Quella richiesta, più o meno garbata (per la serie “domandare è lecito, rispondere è cortesia”), rivolta a una platea indistinta di destinatari, alla quale ci sentiamo obbligati a rispondere immediatamente per non perdere l’atto? Quella richiesta che ci fa sudare freddo per decidere rapidamente la cifra da indicare in modo da essere concorrenziali e preferiti sul mercato?
Proprio quella, che riguarda il nostro (in)fido compagno di ogni giorno: il preventivo!
Le richieste di preventivo, ormai, affollano le nostre caselle di posta. Ogni giorno ci troviamo di fronte a potenziali clienti che chiedono un preventivo come se stessero ordinando un caffè al bar. E qui nasce la tentazione, forse comprensibile anche se non sempre giustificabile, di rispondere immediatamente e senza riflettere troppo, esponendo un prezzo che, talora, sembra uscito da una promozione estiva.
Ma non lasciatevi ingannare dalla facilità apparente. Rispondere a una richiesta di preventivo senza prima aver calcolato i costi di produzione di quello specifico atto notarile (e al riguardo, consiglio caldamente la lettura del testo “I compensi e i costi di produzione degli atti notarili” di Giancarlo Laurini e Luigi Oneto, in collaborazione con Cesare Licini e Lorenzo Mottura, quest’ultimo già famoso per la sua formula, e della raccolta della Fondazione Italiana del Notariato “Lo studio notarile sostenibile: riflessioni e materiali” a cura di Roberto Martino e Vincenzo Gunnella), può trasformarsi in un vero e proprio boomerang.
Se è vero che l’obbligo del preventivo in forma scritta deriva direttamente dalla legge (la n. 124 del 4 agosto 2017, “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”, che ha modificato l’articolo 9, comma 4, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27) è anche vero che la medesima disposizione prevede che il compenso debba essere pattuito al momento del conferimento dell’incarico (e non in una fase precedente) e che il professionista debba altresì rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, circostanza impossibile da verificare se non dopo un preliminare esame della pratica.
E la doverosità del preventivo è ribadita anche dall’art. 40 del Codice Deontologico, secondo cui “il notaio deve fornire alle parti il preventivo dei costi, spese e compensi della specifica prestazione richiesta” e “i preventivi devono essere rilasciati per iscritto”: anche qui, tuttavia, si fa riferimento alla specifica prestazione, e non alla prestazione “in astratto” come si può ricavare da una asettica mail del cliente, che si limita a fornire i dati principali per il calcolo del costo; prima di elaborare il preventivo, quindi, sarebbe opportuno – se non avere un colloquio con il cliente per ottenere qualche informazione in più, analizzando gli elementi rilevanti al fine di conformare la stima al caso concreto – quantomeno poter esaminare la documentazione “minima” per la stesura del preventivo.
L’atto notarile, infatti, non è un prodotto standard, “in serie”: presenta una tale complessità di variabili di cui è opportuno che si tenga conto, onde evitare la spiacevole sorpresa, ad atto stipulato, di aver “perso”, in termini economici, più che guadagnato, di non aver “coperto” (o di aver a mala pena coperto) i costi del lavoro richiesto ed effettivamente svolto.
Si pensi anche che negli anni si sono aggiunte alla tipica e tradizionale attività notarile (attività di consulenza, adeguamento della volontà e “rogito”, oltre che l’espletamento delle formalità successive), tutta una serie di incombenze ulteriori che occupano risorse in termini di tempo e persone e di cui è bene tenere conto (basti pensare all’antiriciclaggio e alla gestione del conto dedicato).
Qualche giorno fa, in una chat di colleghi, si è scatenata una discussione su quali voci vengano esposte nei preventivi e nelle parcelle – accanto alle anticipazioni non imponibili ed esattamente documentabili – oltre alla voce “onorario”: si è parlato di contributi alla Cassa, Consiglio Nazionale, Consiglio Notarile Distrettuale (tassa consiliare), diritti di iscrizione a repertorio, fondo di garanzia, contributo di maternità, assicurazione professionale e altri generici costi di studio.
Le modalità di esposizione in fattura sono risultate varie (c’è chi le espone separatamente, chi aggregandole in un’unica “posta”, chi con maggiore precisione e chi in misura forfettaria), ma si è concordato – oltre che ovviamente sulla necessità che siano tutte da assoggettare a IVA – sull’opportunità di tenerle comunque separate dalla voce “onorari” per far comprendere al cliente che si tratta di spese ulteriori che il notaio sostiene e che non rappresentano un puro guadagno; si è anche giunti alla conclusione che l’esposizione di tali voci in misura non precisa ma “a forfait” (calcolando una certa percentuale sull’onorario, anche repertoriale) possa essere soluzione condivisibile, risultando impossibile – se non per Cassa, CNN e CND, calibrabili sul singolo atto – calcolarle in maniera puntuale, non avendo una diretta correlazione con quella specifica prestazione professionale.
C’è poi il tema delle visure ipotecarie e catastali: anche qui, sostanzialmente, due sono le impostazioni. La prima, probabilmente più semplice da gestire soprattutto nella fase del preventivo, quando ancora non si sa con esattezza quali costi si dovranno sostenere, consiste nell’esporre una somma determinata in misura forfettaria (sulla base di ciò che nella genericità dei casi si spende per una ventennale) assoggettandola a IVA (ma tenendola opportunamente distinta dall’onorario – anche qui – per far percepire al cliente che non si tratta di un guadagno per il notaio); in questo caso, tali spese diventano componenti negative di reddito integralmente deducibili ai fini della determinazione del reddito professionale.
La seconda impostazione, invece, ricomprende le spese di visura tra le spese anticipate, esenti da IVA ai sensi dell’articolo 15 comma 1, n. 3) del D.P.R. 633/1972, in quanto sostenute per conto del cliente. Si tratta di mere “partite di giro” che non concorrono alla determinazione del reddito professionale e sono escluse dal computo della base imponibile IVA (con conseguente indeducibilità per il notaio), ma solo ove ricorrano contemporaneamente due condizioni:
la spesa deve essere effettivamente sostenuta in nome e per conto del cliente, e non deve rappresentare un servizio fornito dal professionista;
la medesima spesa deve essere debitamente e correttamente documentata: è pertanto fondamentale che il notaio tenga traccia delle spese sostenute e fornisca la documentazione necessaria, come ricevute o fatture, a dimostrazione che tali costi sono stati realmente sostenuti e che le somme anticipate corrispondono esattamente al rimborso ottenuto dal cliente.
Questa seconda impostazione, pur consentendo un risparmio di spesa (sia per il cliente sia per il notaio), può risultare più scarsamente praticabile, specialmente per gli atti complessi, per la difficoltà di individuare chiaramente e con certezza le spese anticipate e le pratiche cui le stesse si riferiscono.
Infatti, è necessaria, affinché trovi applicazione l’esclusione ex art. 15 del decreto Iva, l’esatta corrispondenza tra la somma addebitata e l’onere anticipato dal notaio.
Si ritiene, invece, che i compensi (o i diritti) spettanti al visurista, anche se nella sostanza vengono addebitati al cliente, costituiscano oneri sostenuti per la gestione dell’attività professionale. Pertanto, ove addebitati, anche in misura esattamente corrispondente alle spese, devono essere in ogni caso assoggettati ad Iva.
E allora, in conclusione, caro (e tuttavia economico) collega, anche noi siamo a richiederti “la tua miglior quotazione”, per poi richiederti di rielaborarla, magari dopo aver letto queste brevi considerazioni: un preventivo ben ponderato non solo ti proteggerà da sorprese indesiderate, ma darà anche al cliente l’idea che sta trattando con un professionista.
E’ vero che, in assenza di tariffe, il compenso del notaio può essere liberamente determinato dal singolo professionista, ma è anche vero che tale compenso non deve essere talmente ridotto da poter compromettere gli standard minimi di qualità che la prestazione notarile richiede, anche alla luce della funzione pubblica esercitata.
E se proprio si fa fatica a far di conto, esistono diversi software e strumenti che possono aiutare nella valutazione della sostenibilità economica di uno studio notarile, che offrono funzionalità per analizzare i costi, gestire le fatture, monitorare le entrate e le spese, e fare previsioni finanziarie.
Segnalo, uno su tutti, il software per la valutazione della sostenibilità economica dello studio notarile (SNS) messo a disposizione da Notartel sulla RUN.
Ben vengano, dunque, i corsi di aggiornamento e di formazione e gli incontri per i neo-notai su deontologia, formalità e tenuta del repertorio, ma ora più che mai per la sostenibilità del sistema economico dei nostri studi credo sia necessario per tanti colleghi (non solo i giovani) un corso di educazione finanziaria (della serie “conoscere per proteggersi”, più che altro da se stessi…).
Si allegano due esempi di preventivo, utili forse a spiegare meglio le considerazioni che precedono.
Con la precisazione:
che negli esempi si sono considerati i contributi alla Cassa al 42%, i contributi al CNN al 4% e la tassa collegiale al 2%;
che l’onorario (di euro 1200,00) è stato indicato soltanto come esempio per esigenze descrittive (restando ognuno libero di chiedere quello che ritiene corretto).
Dunque, se il notaio ritiene di chiedere (lo si ripete, solo a titolo di esempio) un onorario di euro 1.200,00 dovrà fare attenzione: se lo ritiene onnicomprensivo è bene che tenga presente quanto di quei 1.200,00 euro gli rimarranno, in senso descrittivo, “a disposizione.”
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