9 Febbraio 2024

Conclusione, pubblicità ed esecuzione degli accordi di conciliazione

a cura di Massimo Saraceno [1]

Sommario: 1. La conclusione dell’accordo di conciliazione e sua opportuna contestualità rispetto all’atto notarile necessario a fini pubblicitari – 2. Natura giuridica dell’accordo di conciliazione – 3. Il problema dell’accertamento di patologie negoziali in mediazione – 4. Aspetti formali dell’accordo di mediazione – 5. L’accordo di mediazione nella mediazione telematica alla luce dell’art.8 bis del D.Lgs.28/2010 – 6. L’esecuzione dell’accordo di mediazione: cenni.

1. La conclusione dell’accordo di mediazione e sua opportunità contestualità rispetto all’atto notarile necessario a fini pubblicitari

La conclusione dell’accordo di conciliazione, espressione dell’autonomia negoziale generalmente – ma non necessariamente – riconducibile al paradigma negoziale della transazione, costituisce l’epilogo di un percorso spesso lungo e travagliato che si caratterizza per la tendenziale non istantaneità delle reciproche concessioni di cui esso consta.

Si verifica molto spesso che le parti non abbiano chiarito, nel corso della sessione di mediazione in cui è raggiunto l’accordo di massima, tutti i punti dello stesso o, pur avendoli chiariti, non vi sia la possibilità di rivestire nell’immediatezza l’accordo della forma idonea per l’accesso alla pubblicità immobiliare o commerciale (atto pubblico o scrittura privata autenticata). Può utilmente soccorrere, a tal fine, e ciò costituisce una best practice da valorizzare, la tecnica della puntuazione, di particolare significatività nella progressione del percorso conciliativo, che può essere connotato da uno o più pre-accordi finalizzati a porre le basi per potenziali accordi futuri definitivi. Potrà, poi, trattarsi, di puntuazioni vincolanti o non vincolanti, secondo l’insegnamento della sentenza della Cassazione a sezioni unite[2] secondo cui le mere puntuazioni (non vincolanti) sono quelle in cui le parti hanno solo iniziato a discutere di un possibile affare e senza alcun vincolo fissano una possibile traccia di trattative, mentre la puntuazione diventa vincolante quando, pur mancando l’accordo su tutti i punti essenziali, su alcuni profili l’intesa contrattuale è irrevocabilmente raggiunta, restando da comporre secondo buona fede ulteriori aspetti conflittuali della controversia.

La tecnica della puntuazione (in particolare quando le parti convengano puntuazioni vincolanti) consente al mediatore rinviare le parti all’incontro finale nel quale si chiariranno gli aspetti di dettaglio; lasso di tempo durante il quale i professionisti incaricati – in particolare il notaio – potranno effettuare i necessari controlli per arrivare al detto incontro con la contestuale stipula dell’atto, secondo una delle tecniche redazionali in uso nella prassi, nella forma idonea alla trascrizione nei registri immobiliari o all’iscrizione al registro delle imprese.

Questo iato temporale fra la definizione delle puntuazioni vincolanti e la formalizzazione dell’accordo definitivo sarà colmato con il compimento dell’attività istruttoria necessaria la formazione di un titolo idoneo alla pubblicità, anche sul piano della legittimazione a disporre dell’alienante (ivi compresa l’analisi dei profili relativi al regime patrimoniale coniugale), della rappresentanza, dell’effettuazione dei controlli ipocatastali, nonché del rispetto delle norme fiscali, quali ad esempio la previa presentazione delle dichiarazioni di successione eventualmente omesse e, ovviamente, dell’integrazione dell’accordo con le menzioni urbanistiche, sulla conformità catastale e, ove necessario, con l’allegazione dell’attestato di prestazione energetica. Sotto questo profilo, non può non rilevarsi che l’intervento notarile a valle dell’accordo di mediazione abbia un raggio d’azione complementare e ulteriore rispetto a quello degli avvocati, chiamati a rendere l’attestazione e la certificazione di conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, come previsto dall’art.12 D.lgs.28/2010, strumentale all’acquisizione della forza di titolo esecutivo dell’accordo, in quanto il filtro di legalità notarile non è solo diretto a confermare la delibazione di non contrarietà dell’accordo a norme imperative o all’ordine pubblico ma è altresì propedeutico all’immissione dell’accordo, sotto ogni profilo giuridicamente rilevante, nei pubblici registri.

La contestualità fra la conclusione dell’accordo definitivo di mediazione e la sua trasfusione in un atto notarile idoneo alla pubblicità è di fondamentale importanza solo che si consideri che la domanda introduttiva di una procedura di mediazione non è, allo stato, trascrivibile e, pertanto, non può escludersi che l’invitato in mala fede, con il quale l’istante abbia raggiunto un accordo in mediazione che abbia ad oggetto diritti reali su beni immobili, alieni a terzi l’immobile (o subisca trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli) nelle more fra la conclusione dell’accordo e il perfezionamento dell’atto notarile idoneo alla pubblicità.

L’intrascrivibilità della domanda di mediazione discende, in primo luogo, dalla circostanza che essa non delimita l’oggetto del futuro accordo, che pertanto potrebbe avere un contenuto affatto diverso, come invece accade nei rapporti fra domanda giudiziale o arbitrale e sentenza o lodo, ma soprattutto dal principio generale secondo il quale l’effetto conservativo della trascrizione della domanda giudiziale presuppone i) che il giudizio si concluda con una sentenza di accoglimento della domanda; ii) che la sentenza di accoglimento sia corrispondente al contenuto della domanda[3].

L’effetto conservativo della trascrizione della domanda giudiziale deve necessariamente saldarsi con la corrispondente sentenza di accoglimento e viene meno nel caso in cui il giudizio si definisca attraverso una composizione convenzionale della controversia, quand’anche venga trascritto un atto negoziale che componga tale controversia mediante il riconoscimento della pretesa dell’attore. 

La trascrizione della domanda giudiziale ex artt.2652 e 2653 c.c., espressione del generale principio chiovendiano secondo il quale la durata del processo non può mai ritorcersi a danno dell’attore che si vede, nel corso del giudizio, accogliere la domanda, svolge una funzione prenotativo-conservativa degli effetti della sentenza di accoglimento della domanda che abbia un contenuto strettamente corrispondente a quest’ultima[4]. Pertanto, tale trascrizione non può mai saldarsi, ed è questo un punto da tenersi nella massima considerazione in relazione ad eventuali accordi di mediazione di contenuto corrispondente a quello della domanda giudiziale trascritta, con un accordo negoziale, sicché il terzo avente causa dall’acquirente in base a un titolo per il quale sia stata trascritta tale domanda giudiziale, relativa a un procedimento poi conclusosi con un accordo (eventualmente a seguito di mediazione), prevarrà sull’alienante[5], e ciò per la semplice ragione che la trascrizione della domanda giudiziale perde i propri effetti se ad essa non faccia seguito una corrispondente sentenza.

La prevalenza dell’alienante in base a titolo risolto (o nullo, rescisso o revocato ex art.2652 c.c.) sugli aventi causa dall’acquirente presuppone in ogni caso la permanenza di un nesso processuale strutturale e funzionale fra la domanda e la successiva sentenza di accoglimento, il quale viene reciso in tutte le ipotesi in cui la controversia venga composta con atto di autonomia privata. A parte la profonda diversità strutturale fra le convenzione e la sentenza, che viene pronunciata all’esito di un giudizio connotato da garanzie di obiettività e di presunzione di conformità al diritto della relativa pronuncia, vi è che l’analogia funzionale fra la convenzione e la sentenza ai fini della risoluzione della controversia non può spingersi a onerare il terzo che contratta con l’acquirente a verificare che il contenuto della convenzione sia esattamente corrispondente a quello della domanda proposta dall’alienante. Senza considerare, inoltre, che ove si ritenesse la convenzione (rectius la sua trascrizione) suscettibile di saldarsi alla domanda giudiziale al fine di determinare la prevalenza dell’attore (alienante) sul terzo avente causa dal convenuto (acquirente), la convenzione fra l’attore e il convenuto potrebbe anche fraudolentemente essere posta in essere, almeno in teoria, per frodare le ragioni del terzo avente causa dal convenuto.

E’ per questo motivo che l’art.5, comma 5, rimasto invariato anche a seguito della riforma Cartabia, lascia impregiudicata per l’istante la possibilità di trascrivere la domanda giudiziale per l’ipotesi in cui, concluso negativamente il procedimento di mediazione, il giudice accolga la domanda.

Quindi la contestualità risolverebbe, o quanto meno attenuerebbe, i problemi della mancanza di alcuna efficacia prenotativa dell’istanza di mediazione e quelli relativi alla perdita dell’efficacia conservativo-prenotativa dell’eventuale trascrizione della domanda giudiziale a seguito dell’accordo di mediazione.

2. Natura giuridica dell’accordo di conciliazione

L’accordo di conciliazione è sempre espressione dell’autonomia negoziale delle parti, anche quando ciò avvenga a seguito dell’accettazione della proposta del mediatore.

A differenza delle procedure eteronome di risoluzione stragiudiziale delle controversie, il tratto dell’eteronomia della decisione è sempre fisiologicamente assente nel procedimento di mediazione, sia nella declinazione della “mediazione facilitativa” che in quella della “mediazione valutativa”, all’esito del quale nel primo caso il mediatore aiuta semplicemente le parti a ricercare i loro interessi attraverso la conclusione di un accordo di conciliazione, trasfuso in un negozio tipico o atipico, il cui contenuto è comunque esplicazione della loro autonomia negoziale, mentre nel secondo le parti recepiscono nel proprio accordo di conciliazione il contenuto della proposta formulata dal mediatore ex art.11 D.Lgs.28/2010.

Nel caso di “mediazione facilitativa” le parti non hanno neanche l’onere di operare all’interno delle pretese e delle posizioni originarie della parte istante (o delle deduzioni della parte invitata), non incontrando quindi il limite del petitum, che invece caratterizza l’attività del giudice e dell’arbitro. Con l’aiuto del mediatore le stesse potranno pienamente esplicare la propria autonomia negoziale attraverso un accordo di conciliazione che incide su rapporti anteriori o futuri, o comunque estranei rispetto alla materia del contendere e, quindi, dar luogo alla particolare figura negoziale della transazione novativa riconducibile al disposto dell’art.1965 comma 2 c.c.

Anche nella mediazione “valutativa” o “aggiudicativa” in cui il mediatore formula la proposta, con un meccanismo apparentemente eteronomo, ora potenziato dal nuovo art. 11 D.lgs.28/2010, come modificato dal D.lgs.149/2022, che consente al mediatore di formulare la proposta anche indipendentemente dalla richiesta delle parti e con l’indicazione di un termine per l’accettazione anche superiore ai sette giorni originariamente previsto, in realtà si rimane sempre nell’ambito di un accordo espressione del potere di autodeterminazione delle parti.

La funzione del mediatore nella “mediazione valutativa” potrebbe essere prima facie ricondotta a quella dell’arbitratore, il quale determina, su incarico delle parti, uno degli elementi del rapporto contrattuale, del quale però le parti devono aver determinato la causa e aver precisato la natura delle prestazioni principali (art. 1349 c.c.). Rimane, peraltro, il fondamentale tratto distintivo costituito dalla circostanza che l’arbitraggio si fonda su rapporti giuridici vertenti su di una controversia economica e non giuridica[6].

L’arbitraggio è, pertanto, incompatibile con lo schema del negozio transattivo, proprio per la ragione testé evidenziata, cioè perché la transazione presuppone una controversia giuridica e non meramente economica, non trattandosi in questo caso di riempire di contenuto economico un accordo già formato[7].

Atteso che le parti sono libere o meno di accettare la proposta del mediatore, salve le conseguenze processuali previste dall’art.13 D.lgs.28/2010, nella formulazione modificata, secondo cui “Quando il provvedimento che definisce  il  giudizio  corrisponde interamente al  contenuto  della  proposta,  il  giudice  esclude  la ripetizione delle spese  sostenute  dalla  parte  vincitrice  che  ha rifiutato  la  proposta,  riferibili  al  periodo   successivo alla formulazione della stessa, e la  condanna  al  rimborso  delle  spese sostenute dalla  parte  soccombente  relative  allo  stesso  periodo, nonché  al  versamento  all’entrata  del  bilancio  dello  Stato  di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo  unificato dovuto”, la conclusione dell’accordo mediazione tramite accettazione della proposta del mediatore è solo una particolare modalità procedimentale di conclusione dell’accordo, in cui la proposta contrattuale non proviene da una delle parti secondo la sequenza tipica di cui agli artt.1326 ss c.c., ma da un terzo e s’indirizza ad entrambe le parti senza che ciò incida sul contenuto del negozio concluso, imputabile in ogni caso alla volontà delle parti[8].

Si è già detto che, nella generalità dei casi, l’accordo di conciliazione è riconducibile al paradigma della transazione caratterizzata dal tratto delle reciproche concessioni.

Né può dirsi che lo stesso presenti una propria tipicità negoziale, in quanto “l’accordo di mediazione non è un tipo contrattuale a se stante, ma solo l’involucro esterno, l’occasione in cui viene concluso il contratto, il quale conserva perciò la tipologia che gli è propria e non si trasforma, solo perché stipulato in sede di mediazione in qualcos’altro, con la sola particolarità che, ai fini della sua trascrizione, è espressamente richiesta l’autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un notaio, ai fini della verifica della conformità del contenuto del contratto alle prescrizioni di legge”[9].

Ad esempio, se la controversia ha ad oggetto lo scioglimento di una comunione ereditaria, è possibile che le parti addivengano a una divisione transattiva[10], cioè alla stipula di un contratto che produce l’effetto dello scioglimento della comunione senza comporre alcuna lite sulla proporzionalità fra la quota di diritto sull’intera massa e le porzioni materiali attribuite a ciascun condividente (salvo conguaglio), soltanto superando in mediazione “amichevolmente” alcune questioni afferenti le operazioni divisionali; negozio divisorio che, per giurisprudenza costante[11], si distingue dalla transazione divisoria[12], avente anch’essa l’effetto di scogliere la comunione senza, peraltro, tener conto di detta proporzionalità con il preciso ed esclusivo fine di dirimere o prevenire controversie insorgenti dallo stato di comunione.

E’ anche possibile che una delle parti in mediazione riconosca integralmente il buon fondamento delle ragioni dell’altra e che, quindi, l’accordo si concluda senza alcuna reciproca concessione per avere una delle parti riconosciuto in capo all’altra: i) un diritto di credito, producendo esclusivamente l’effetto processuale dell’inversione dell’onere della prova di cui all’art.1988 c.c.; ii) il diritto di proprietà o altro diritto reale su un bene immobile per effetto del protrarsi del possesso per tutto il tempo richiesto dalla legge per il perfezionamento dell’usucapione, come ora consentito dall’art.2643 n.12 bis c.c.; iii) il diritto di proprietà o altro diritto reale sulla base sulla base di un titolo pregresso costituente la fonte costitutiva del diritto medesimo.

Sotto questo profilo, per gli accordi che abbiano ad oggetto diritti reali, che pertanto richiedano a valle l’intervento notarile, può affermarsi che il richiamo all’art.2643 c.c. (in particolare, per quel che qui interessa all’art.2643 n.13) contenuto nell’art.11 D.lgs.28/2010 non esaurisca il novero delle fattispecie negoziali suscettibili di perfezionarsi in sede di accordo di mediazione e, quindi, trascrivibili, dovendosi ritenersi esteso a tutti gli atti soggetti a trascrizione o a iscrizione sia nei registri immobiliari che al registro delle imprese[13].

In particolare, è significativa la vicenda giudiziaria conclusasi con una sentenza del Tribunale di Roma in data 4 novembre 2015 RG.12136/2015, con la quale è stato accolto il ricorso presentato da un notaio di Roma avverso la trascrizione con riserva ex art.2674 bis c.c. effettuata dal Conservatore di Roma 2 relativo a un accordo di mediazione con sottoscrizioni autenticate dal notaio ricorrente portante una divisione immobiliare. La riserva era stata giustificata dal Conservatore con il rilievo che il richiamo all’art.2643 c.c. contenuto nell’art.11 comma 3 D.lgs.28/2010 doveva intendersi come tassativo e che, pertanto, non potendo l’accordo concluso in sede di mediazione avente quale effetto lo scioglimento della comunione essere sussunto sotto la categoria dei negozi di divisione (art.2646 c.c.) o transazione (art.2643 n.13 c.c.) non potesse essere trascritto in assenza di una norma espressa che lo consenta. Il Tribunale ha ravvisato, in primo luogo, un’aporia sistematica nell’omesso richiamo ad altre norme, quali l’art.2646 c.c., che disciplinano la trascrizione, sia pure ad effetti diversi di quelli tipicamente dichiarativi; aporia che finirebbe per diventare vera e propria contraddizione, ove si ritenesse non consentita la trascrivibilità di un accordo di mediazione avente ad scioglimento della comunione ereditaria, atteso che l’art.5 D.lgs. 28/2010 ricomprende la divisione fra le materie per le quali la mediazione costituisce condizione di procedibilità.

Lo stesso discorso può essere esteso alle altre forme di trascrizione, non contemplate espressamente nell’art.11 D.lgs.28/2010, quale quella di cui all’art.2647, 2645 ter c.c., o anche agli atti soggetti ad annotamento, il che amplia ulteriormente l’ambito dell’intervento notarile oltre il perimetro dell’art.2643 c.c.

E ciò non tanto per gli annotamenti con funzione di pubblicità notizia, quale quello dell’art.2668 comma 3 c.c. (avveramento della condizione sospensiva o mancato avveramento della condizione risolutiva), quanto per gli annotamenti che spiegano effetti rilevanti ai fini della successiva circolazione degli immobili, in particolare ai fini della continuità delle trascrizioni[14].

Così, non è dubbio che in mediazione possa essere accertato l’avveramento di una condizione risolutiva (o il mancato avveramento della condizione sospensiva pur in assenza di espressa previsione normativa) o stipulato un negozio risolutorio agli effetti dell’art.2655 c.c. (senza entrare nel merito della vexata quaestio dell’ammissibilità dei negozi risolutori, che sembrano ormai essere ritenuti leciti dalla giurisprudenza di legittimità, da ultimo Cass., sezione V, 6 ottobre 2011 n. 20445).

3. Il problema dell’accertamento di patologie negoziali in mediazione

Molto più delicata è la verifica se, nell’ipotesi in cui l’istante instauri una mediazione avente ad oggetto l’accertamento di una patologia negoziale e l’invitato non si opponga, sia possibile[15] che la mediazione si concluda con un accertamento convenzionale della nullità, annullabilità, revocazione, rescissione di precedenti negozi giuridici.

Il tema classico, e trasversale, del negozio di accertamento, a cui va ricondotta la questione dell’ammissibilità degli accordi di mediazione che accertino patologie negoziali, verrà marginalmente toccato in questa sede solo in via strumentale all’obiettivo di trarne i dovuti corollari per verificare i margini di ammissibilità di un accertamento negoziale che non ha ad oggetto fatti, diritti o rapporti giuridici, ma vizi di precedenti negozi.

Superando la tradizionale diffidenza che ha tralatiziamente circondato il negozio di accertamento, dovuta alla difficoltà di ammettere che ai privati fosse data la possibilità di accertare situazioni giuridiche[16] per l’immanente potere dispositivo e non accertativo di diritti e rapporti concesso dall’ordinamento all’autonomia privata, è ormai condivisa in dottrina e giurisprudenza l’idea della meritevolezza di tutela dell’interesse posto a fondamento del negozio di accertamento[17]. La funzione accertativa di tale negozio ha riguardo a fatti e situazioni giuridiche già avvenuti e, naturalmente, ad esso va riconosciuta efficacia retroattiva fra le parti[18], quale tratto necessariamente distintivo della fattispecie negoziale, che cristallizza, per convenzione, il fatto o il diritto accertati sin dal momento in cui il primo si è avverato o il secondo è sorto, salvo ovviamente che le parti non abbiano espressamente pattuito una deroga a questo principio, stabilendo che la determinazione del loro rapporto valga soltanto a far data da un certo momento, così lasciando impregiudicata la questione per il tempo anteriore[19]. Tale retroattività incontra, ovviamente, il limite dell’inopponibilità nei confronti dei terzi i cui diritti non possono essere pregiudicati da accordi inter alios che hanno accettato consensualmente di stare a una certa configurazione della realtà preesistente.

Si considerino i seguenti casi.

1.Tizio istituisce erede universale Caio e, successivamente, viene dichiarato interdetto.

Dopo la pronuncia di interdizione, Tizio istituisce erede universale Sempronio.

Alla morte di Tizio, in seno al procedimento di mediazione intercorso fra Caio e Sempronio, le parti intendono, con l’accordo di mediazione, accertare l’annullamento del secondo testamento e dar corso alla successione testamentaria in favore di Caio.

2.Tizio vende a Caio il fondo Tuscolano al prezzo di euro 100.000,00.

Tizio invita in mediazione Caio per far valere la simulazione relativa del contratto di compravendita e dare atto che in realtà lo stesso dissimula una donazione.

Le parti intendono, con l’accordo di mediazione, accertare la simulazione relativa del contratto di compravendita, atteso che lo stesso riveste la forma (atto pubblico e presenza dei testimoni) della dissimulata donazione.

3. Tizio vende a Caio il fondo Tuscolano al prezzo di euro 50.000,00, da corrispondersi in dieci rate mensili di pari importo.

A seguito dell’inadempimento di Caio, Tizio lo invita in mediazione.

Le parti intendono, con l’accordo di mediazione, accertare la risoluzione del contratto per inadempimento.

Il tenore letterale dell’ultimo comma dell’art. 2655 c.c., con il dichiarato intento di assicurare l’osservanza del principio di continuità delle trascrizioni[20] e di consentire che – una volta eseguito l’annotamento ivi previsto – producano effetto le successive trascrizioni e iscrizioni contro l’alienante in favore del quale sia stata pronunciata la sentenza o sia verificato il fatto risolutore dell’effetto reale, sembrerebbe far propendere per una soluzione positiva.

La citata disposizione equipara, da un lato, tra i titoli risolutori dell’effetto reale già prodottosi, la “sentenza” alla “convenzione” e, dall’altro, accosta, senza alcuna distinzione, all’interno dei fatti suscettibili di produrre la risoluzione di quell’effetto, la nullità all’annullamento, alla risoluzione, alla rescissione, alla revocazione e all’avveramento della condizione risolutiva.

Tale generalizzazione normativa, sia in ordine al titolo che ai fatti risolutori dell’effetto reale, comporterebbe, ove intesa in termini letterali, che le parti potrebbero indifferentemente adire l’autorità giudiziaria ovvero accertare convenzionalmente una delle citate patologie negoziali ai fini dell’annotamento di cui all’art.2655 c.c.

In realtà, la posizione della dottrina e della giurisprudenza sul punto è molto più articolata rispetto a un’interpretazione letterale, che presenta più d’un lato oscuro in ordine all’accostamento, sul piano sistematico, di patologie negoziali affatto differenti fra loro, e non può dirsi formato un orientamento condiviso e utile a guidare l’operatore pratico verso scelte negoziali immuni da censure. 

Secondo un certo orientamento, occorrerebbe distinguere a seconda che si tratti di nullità o risoluzione stragiudiziale (quale quella dipendente da diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa o termine essenziale ex art.1454, 1456 e 1457 c.c.), fatti questi che sarebbero suscettibili di costituire oggetto di un mero accertamento e, pertanto, di una convenzione annotabile, oppure di fatti che dovrebbero essere posti a base di una sentenza di carattere costitutivo (annullamento, risoluzione giudiziale, rescissione e revocazione), non surrogabile attraverso una convenzione fra privati; e ha fondato tale distinzione sul verbo “risultare” contenuto nell’ultimo comma dell’art.2655 c.c., nel senso che tale termine presupporrebbe un’attività di mero accertamento che non si riscontra in realtà nelle ipotesi in cui sul fatto risolutore dell’effetto deve pronunciarsi il giudice con sentenza ad efficacia costitutiva[21].

Si è autorevolmente replicato[22] che tale termine si riferisce indifferentemente alle sentenze e alle convenzioni e, quindi, non si vede come rispetto a queste ultime l’interprete possa immaginare un più ristretto ambito di applicazione.

Sul piano sostanziale, si è poi osservato[23] come non possa considerarsi preclusa all’autonomia privata la facoltà di prevenire o comporre una controversia sull’annullamento attraverso il riconoscimento fatto da una delle parti del buon fondamento della domanda preannunciata o proposta dall’altra; riconoscimento che può essere puro e semplice, o comportare reciproche concessioni configurandosi in tale ultimo caso come transazione.

Si potrebbe semmai discutere, ove si accedesse a tale orientamento, in chiave notarile, cioè nell’ottica del notaio, chiamato a valle dell’accordo di mediazione che abbia accertato la nullità[24] o l’annullamento a prestare la propria opera professionale, se annotare la convenzione ex art.2655 c.c. in ogni caso oppure, laddove vi siano i caratteri della transazione che abbia implicato un riconoscimento di nullità o di annullabilità, se trascriverla ex art.2643 n.13 c.c.

Al fine di verificare se la pronuncia del giudice sia surrogabile tout court da una convenzione tra privati che abbia ad oggetto l’accertamento di un vizio dal quale discenda la risoluzione degli effetti (anche reali) già prodottosi, appare più corretto svolgere un’analisi differenziata in ordine al tipo di vizio dal quale si assume essere affetto il negozio più che in ordine al carattere meramente dichiarativo o costitutivo della corrispondente pronuncia giudiziale.

In tale prospettiva, non può che rilevarsi come la declaratoria di nullità, annullabilità, rescindibilità e revocabilità, patologie tutte accomunate dalla presenza di un vizio, non necessariamente di invalidità, che afferisce alla fase genetica di formazione del negozio, sia rimessa, sul terreno del diritto positivo, in via esclusiva al giudice o all’arbitro, sia pure con graduazioni diverse, a seconda dell’interesse protetto. La presenza di un vizio genetico implica un giudizio di disvalore sociale che, ex post, non può che essere rimesso al giudizio dell’autorità giudiziaria o arbitrale.

L’art.1421 c.c., per la nullità assoluta, temperato dalle norme speciali in tema di nullità di protezione[25] in ordine alla legittimazione a far valere la causa di nullità,  l’art.1441 c.c., per l’annullabilità, gli artt.1447 e 1448 c.c. per la rescindibilità, e l’art.2901 c.c. per la revocabilità, sono tutte norme le quali, ricondotte ad unità sistematica, costituiscono indice della riserva all’autorità giudiziaria del potere esclusivo di accertare, ora con efficacia dichiarativa ora con efficacia costitutiva, l’esistenza di un elemento patologico (come si è visto, non necessariamente costituente un vizio di invalidità) che attiene alla fase genetica di costituzione del rapporto e che impedisce la stabile esplicazione degli effetti propri del negozio considerato.

Una riflessione a parte merita, invece, l’accertamento della risoluzione giudiziale, che attiene – in tutte le ipotesi normativamente considerate (inadempimento, impossibilità sopravvenute ed eccessiva onerosità) – all’esistenza di un vizio funzionale della causa, che altera il normale funzionamento del sinallagma per cause sopravvenute rispetto alla formazione del negozio, il quale nasce peraltro in maniera perfettamente conforme alla legge.

La risoluzione, quale rimedio finalizzato allo scioglimento del rapporto a seguito di eventi perturbatori suscettibili di rendere la prosecuzione della relazione oggettivamente impossibile, diseconomica e contraria agli interessi di uno o entrambi i contraenti[26],  non si presenta quale fenomeno omogeneo né con riguardo alle cause che legittimano la sua esperibilità né, soprattutto, in ordine alla fonte dell’effetto risolutorio.

Alla risoluzione automatica, che opera al verificarsi dei presupposti di fatto, prescindendo dall’intervento giudiziale (condizione risolutiva, clausola risolutiva espressa, scadenza del termine), e a quella giudiziale (risoluzione per inadempimento, per impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità), si sovrappone la risoluzione negoziale, rimessa interamente alle scelte pattizie delle parti o all’iniziativa stragiudiziale di una di esse (mutuo dissenso e recesso).

La risoluzione convenzionale assorbe tutte le altre ipotesi di risoluzione nel senso che se le parti pattuiscono, secondo il paradigma generale di cui all’art.1372 c.c., la risoluzione di un precedente contratto, ciò determinerà comunque la caducazione dei suoi effetti, rendendo superfluo qualsiasi ulteriore accertamento giudiziale e irrilevanti i motivi per i quali è avvenuto il concorde scioglimento del rapporto, se non in ordine ai profili obbligatori dei rimborsi e restituzioni che ne conseguono[27].

La risoluzione negoziale diventa allora un rimedio generalizzato e liberamente esperibile dall’autonomia privata, quale espressione generale della libertà contrattuale, che trova negli art.1321 e 1372 c.c. i propri sicuri referenti normativi.

Senza addentrarsi nella vexata quaestio della natura giuridica del negozio risolutorio di un precedente atto traslativo, onde verificare se esso abbia funzione di contrarius actus o contro-negozio, cioè come un negozio avente un contenuto uguale e contrario a quello che si scioglie, ovvero come vero e proprio negozio risolutorio con il quale i contraenti pongono nel nulla, sia per il futuro che per il passato, l’originario contratto[28], non è dubitabile che esso sia ampiamente recepito nella prassi e nella giurisprudenza[29], che lo considera quale generale espressione dell’autonomia negoziale, al pari delle fattispecie negoziali costitutive o modificative di rapporti giuridici.

Una riflessione ancora diversa va svolta in relazione all’accertamento convenzionale della simulazione, assoluta o relativa, a torto spesso ricondotta nell’alveo della nullità, che in realtà attiene a una fattispecie negoziale geneticamente valida, destinata a non produrre gli effetti apparentemente riconducibili al negozio simulato o a produrre effetti diversi in virtù di una controdichiarazione dalla quale risulta la reale volontà delle parti.

L’accertamento, pertanto, avrà riguardo all’emersione della controdichiarazione, fino a quel momento tenuta segreta fra le parti, al fine di attribuire al negozio dissimulato la rilevanza giuridica mantenuta quiescente per un certo tempo e ad assoggettarla, ove necessario, a pubblicità immobiliare. In particolare, nel caso di simulazione assoluta, l’emersione dell’accordo simulatorio produce una situazione analoga, ma solo sul piano effettuale, a quella della nullità, con conseguente necessità di annotazione dell’accordo ex art.2655 c.c.; mentre in caso di interposizione fittizia di persone, esso sarà soggetto a trascrizione contro l’interposto e favore delle interponente, non già ai fini dell’art.2644, non potendosi ravvisare tra l’interposto e l’interponente una vicenda circolatoria, ma ai sensi dell’art.2650 c.c.[30].

Più delicato è il caso della simulazione relativa (oggettiva), che ha riguardo alle ipotesi in cui il negozio dissimulato produce effetti diversi da quello simulato (ad esempio la compravendita che dissimula una donazione, della quale abbia i requisiti di sostanza e di forma).

Se si condividesse l’idea che oggetto della trascrizione è l’effetto prodotto e non l’atto che lo produce, la reiterazione della trascrizione dell’accordo finalizzato a palesare la controdichiarazione simulatoria rispetto alla trascrizione del contratto simulato non avrebbe alcun senso.

D’altro canto, potrebbe obiettarsi che dall’ispezione della nota di trascrizione il terzo sarebbe in grado di desumere se il trasferimento è stato, ad esempio, a titolo gratuito o oneroso, con tutte le conseguenze sul piano della riducibilità da parte dei legittimari lesi o pretermessi del donante, ma soprattutto per gli aspetti conflittuali che potrebbero derivare dalla trascrizione. La trascrizione della compravendita, cui non seguisse la trascrizione dell’accordo simulatorio finalizzato a rendere palese ai terzi il mutamento causale del titolo, non consentirebbe, infatti, agli eventuali legittimari della parte alienante di agire in riduzione e di trascrivere la propria domanda giudiziale agli effetti dell’art.2652 n.8 c.c.

Se, per converso, si considera che per tale via si darebbe luogo a una trascrizione (non prevista) con efficacia diversa da quella tipica di cui all’art.2644 c.c., cioè al fine di risolvere conflitti fra più aventi causa dallo stesso autore, potrebbe ipotizzarsi di procedere anche in questo caso (come nella simulazione assoluta), a un annotamento con efficacia, ovviamente, diversa da quella di cui all’art.2655 c.c., ma di carattere meramente notiziale, sempre che si condivida l’idea del superamento del principio (o del dogma) di tassatività delle fattispecie annotabili[31].

Proseguendo nella ricognizione normativa dell’accertamento delle patologie negoziali, è agevole scorgere come sul terreno del diritto positivo nessuna norma consenta alle parti del negozio di svolgere una mera attività ricognitiva di vizi genetici di precedenti negozi, ma solo di porre in essere un’attività convenzionale recuperatoria dell’efficacia del negozio viziato che ha come presupposto la dichiarazione delle parti in ordine all’esistenza del vizio.

In tal senso è la granitica posizione assunta dall’unico precedente giurisprudenziale di legittimità[32] edito in tema di conferma di testamento nuncupativo (affermandone la validità).

In altri termini, la dichiarazione delle parti in ordine all’esistenza del vizio, semplicemente funzionale al compimento dell’atto recuperatorio, non può equivalere, sul piano degli effetti, all’accertamento giudiziale con efficacia generalizzata, sempre nel rispetto dell’art.2909 c.c. in materia di limiti soggettivi del giudicato, dell’esistenza del vizio negoziale[33].

Sulla stessa scia interpretativa possono essere collocate le altre disposizioni le quali, distribuite tra il codice civile e le leggi speciali, consentono il recupero del negozio viziato, come la conferma della donazione nulla (art.799 c.c.), la convalida del negozio annullabile (art.1444 c.c.), la conferma dell’atto nullo per carenza di menzioni urbanistiche o perché privo delle dichiarazioni sulla conformità catastale oggettiva (artt.30 e 46 D.P.R. 380/01, art.1 comma 29 ter della legge 52/85) e presuppongono, senza accertarlo sic et simpliciter, l’esistenza di un vizio genetico.

Se anche volesse ammettersi un accertamento convenzionale dei vizi genetici di precedenti negozi, dovrebbe riconoscersi che esso avrebbe comunque un’efficacia limitata inter partes, non potendo l’attività negoziale incidere, con effetti sfavorevoli, nella sfera giuridica dei terzi; avrebbe in ogni caso carattere solo pattiziamente retroattivo e non sarebbe opponibile ai terzi[34], se non nei limiti dell’art.2655 c.c.

Appare allora più corretto ricondurre tale esplicazione di autonomia negoziale alla risoluzione convenzionale che, come si è detto, può avvenire per i più svariati motivi e che, senza interferire con attività riservate all’autorità giudiziaria, potrebbe anche presupporre la dichiarazione (non l’accertamento di una verità in sé considerata) delle parti in ordine alla ritenuta (ma non accertata) esistenza di un vizio genetico di un precedente negozio.

La dichiarazione delle parti in ordine all’esistenza di un vizio genetico di un precedente negozio costituirebbe, in tale prospettiva, un motivo del negozio risolutorio o, al più, colorerebbe la causa concreta del medesimo, ma in ogni caso sarebbe riconducibile a un fenomeno negoziale di tipo estintivo – risolutorio di un precedente rapporto giuridico più che di accertamento della patologia negoziale.

Del resto, nella medesima prospettiva va letto l’art.1972 c. c, norma alla quale – nella più volte richiamata ottica del mediatore di favorire accordi conformi a norme imperative – occorre prestare la massima attenzione, atteso che se la transazione verte su titolo nullo, anch’essa è nulla ove il titolo sia illecito, mentre negli altri casi di titolo nullo essa è annullabile solo ad istanza di chi ignorava la causa di nullità. Indipendentemente dal carattere conservativo[35] o novativo[36] della transazione su titolo nullo, non è dubbio che quest’ultimo costituisca un presupposto del contratto transattivo e non il risultato di un’attività accertativa: la transazione eviterà l’insorgere della lite o porrà fine alla fine già insorta mediante lo strumento delle reciproche concessioni ma non si sostituirà all’autorità giudiziaria nell’accertamento della nullità del negozio viziato, che rimarrà produttivo dei suoi effetti, in assenza di un accertamento giudiziale della nullità, salva loro eventuale risoluzione consensuale. Anche la pacifica ammissibilità della rinnovazione[37] del negozio nullo, quale attività negoziale recuperatoria realizzata mediante la formazione di un titolo in tutto identico al precedente, affetto da nullità insanabile, previa rimozione del vizio di nullità (si pensi ai casi di una compravendita immobiliare in rinnovazione della precedente avente ad oggetto un immobile abusivo quando difettano i presupposti per la conferma e, nelle more, l’abuso sia stato sanato) conferma la tesi che tale negozio di secondo grado trova il proprio presupposto logico nell’esistenza di un titolo viziato al quale si sostituisce, replicandone gli effetti, ma non accerta con efficacia erga omnes il vizio dal quale il negozio primario era affetto.

Per tali motivi è fuori dal sistema l’accertamento convenzionale della nullità o annullabilità di un testamento: essendo per gli eredi impossibile dar luogo a un’attività negoziale di tipo risolutorio (a cui, come si è visto, va comunque ricondotta, al di là del nomen, qualsiasi ipotesi di accertamento di patologie negoziali), gli stessi non potranno surrogare con una propria manifestazione di volontà, neanche ove concordata a seguito di un procedimento di mediazione, la pronuncia giudiziale che, in questo caso, sarebbe l’unico titolo idoneo a far venir meno la delazione testamentaria.

Ritornando agli esempi sopra prospettati:

Non è possibile che le parti accertino l’annullamento del secondo testamento dando corso alla successione sulla base del primo testamento. Il secondo testamento, in quanto cronologicamente successivo al primo e con esso incompatibile, pur essendo annullabile, è efficace e revoca il primo. L’accordo di mediazione, preso atto della qualità di erede del secondo erede testamentario Sempronio, potrebbe comportare una cessione a titolo transattivo dell’eredità o di uno o più beni facenti parte dell’asse ereditario da Sempronio a Caio[38].

L’accordo di mediazione consisterà nell’accertamento della simulazione relativa, atteso che il negozio simulato (compravendita) riveste i requisiti di forma del negozio dissimulato (donazione), cioè la forma dell’atto pubblico e la presenza dei testimoni.

L’accordo di mediazione consisterà nella risoluzione convenzionale della compravendita, in cui le parti potranno far emergere “i motivi” o la “causa concreta” del negozio risolutorio.

4. Aspetti formali dell’accordo di conciliazione

Una volta raggiunto l’accordo, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo (art.11 comma e D.lgs.28/2010).

La distinzione fra verbale e accordo è netta[39], sia che quest’ultimo venga allegato al primo che nell’ipotesi in cui l’accordo faccia parte integrante del verbale; così come altrettanto evidente è la differente imputazione soggettiva dei due documenti: il verbale è atto proprio ed esclusivo del mediatore, l’accordo fa capo alle parti, le quali lo redigeranno – se del caso – con l’ausilio dei rispettivi avvocati[40].

Il verbale conclusivo della mediazione, costituente espressione dell’epilogo della mediazione, è redatto esclusivamente dal mediatore ed “è sottoscritto dalle parti, dai loro avvocati e dagli altri partecipanti alla procedura nonché dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere” (art. 11 comma 4 d.lgs. cit.).

Nonostante il tenore letterale dell’art.11 comma 4 D.lgs.28/2010 sembri orientare per una lettura che imponga la sottoscrizione dell’accordo anche da parte del mediatore (il verbale contenente l’accordo è sottoscritto..), la distinzione fra verbale e accordo – anche sul piano delle sottoscrizioni – va mantenuta ferma, nel senso che il potere di certificazione dell’autografia delle sottoscrizione da parte del mediatore è limitato solo al verbale (anche quando esso contenga nel suo corpo l’accordo) e non può mai estendersi al contenuto negoziale dell’accordo, anche quando lo stesso non sia destinato alla pubblicità immobiliare o commerciale[41].

Il potere certificativo del mediatore, cui la legge non ha assolutamente attribuito il ruolo di pubblico ufficiale, rimane confinato all’autenticità delle sottoscrizioni delle parti in calce al verbale-documento, quale scrittura privata ricognitiva del fatto storico dell’esito del procedimento di mediazione, senza alcuna valenza di autentica in senso formale, propria degli artt.2702, 2703 c.c. e dell’art.72 della legge notarile[42].

Ne è conferma proprio l’art.11 comma 7 del D.lgs.28/2010 il quale, con tecnica legislativa migliorata rispetto alla precedente formulazione (che prevedeva l’autenticazione del verbale), impone che la sottoscrizione dell’accordo debba essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (il notaio) in tutti i casi in cui lo stesso accordo debba essere trascritto nei registri immobiliari. 

Stando alla lettera dell’art.11 comma 3 del D.lgs.28/2010, come novellato dal D.lgs.149/2022, l’accordo di conciliazione deve contenere l’indicazione del valore. I criteri per la determinazione del valore sono rimessi al decreto attuativo del ministro della giustizia di cui all’articolo 16 del decreto  (art. 17 co. 5 D.Lgs. n. 28/2010).

La funzione primaria dell’indicazione del valore è senz’altro quella di consentire la verifica di congruità del compenso richiesto dall’avvocato nella procedura, per l’ammissione al gratuito patrocinio (art. 15 septies D.Lgs. n. 28/2010). Essa non è invece di rilievo quanto alla determinazione dell’ammontare dell’indennità di mediazione (art. 17 co. 5 D.Lgs. n. 28/2010). Tale determinazione deve avvenire infatti all’inizio della procedura ed essere riferita al valore di lite, determinato o determinabile sulla base della domanda introduttiva. Non può essere successivamente modificata con riferimento al valore di un accordo, meramente eventuale e, per sua natura, imprevedibile nel contenuto, che le parti possono liberamente negoziare, senza vincoli di corrispondenza con l’oggetto della domanda.

Non sembra da escludersi che il valore dell’accordo possa costituire la base imponibile per l’applicazione dell’imposta di registro (e il calcolo della franchigia di agevolazione[43]) da parte dell’Agenzia delle Entrate, laddove le parti non abbiano fatto riferimento ai criteri di determinazione della base imponibile di cui all’art.43 D.P.R. 131/86, fatta in ogni caso salva la richiesta del meccanismo del c.d. prezzo valore di cui all’art.1 comma 497 della legge 23 dicembre 2005 n.266, sempre che ricorrano i requisiti soggettivi e oggettivi.

5. L’accordo di mediazione nella mediazione telematica alla luce dell’art.8 bis del D.lgs.28/2010

Conclusa la fase emergenziale, durante la quale la previsione normativa di cui all’art. 83, comma 20-bis, del D.L.17 marzo 2020, n. 18 convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27 (d’ora in avanti art. 83, comma 20-bis) aveva superato la necessità che lo svolgimento della mediazione a distanza fosse prevista nel regolamento dell’organismo, come fino a quel momento prescritto dall’art. 3, comma 4, d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, la mediazione c.d. telematica[44] – ormai a regime – è ora disciplinata dall’art.8 bis del D.lgs. 28/2010 che, pur con il meritevole fine di dare spinta propulsiva alla mediazione a distanza, introduce alcuni requisiti formali sul piano della verbalizzazione ai quali prestare attenzione.

Nel precedente regime il documento (composto dal verbale con allegato accordo o dal verbale contenente nel proprio corpo l’accordo) veniva sottoscritto in maniera analogica dalla parte e inviato con modalità telematiche all’avvocato (se la parte e l’avvocato non fossero stati presenti nel medesimo luogo), il quale doveva dichiarare autografa la sottoscrizione della parte, sottoscrivere con propria firma digitale il verbale (anche ai fini dell’esecutività dell’accordo di mediazione ex art. 12 d. lgs. 28/2010), inviarlo all’avvocato o agli avvocati di controparte, i quali avrebbero dovuto operare con le medesime modalità e inviare il verbale (con l’accordo) al mediatore ai fini dell’apposizione della firma digitale di quest’ultimo.

Con la nuova disposizione è, invece, previsto che quando la procedura di mediazione telematica si conclude positivamente, l’accordo raggiunto dalle parti è documentato nel verbale, costituito da un unico documento informatico nativo digitale redatto dal mediatore, il quale lo invia alle parti per la sottoscrizione mediante firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata.

Nonostante il tenore letterale dell’art.8 bis faccia riferimento all’unico documento digitale che incorpora il verbale e l’accordo, mentre l’art.11 comma 1 – nel regolare la forma dell’accordo annesso al verbale analogico – ne preveda l’allegazione, può ritenersi che le due modalità di annessione siano, sul piano sostanziale, equipollenti; da un lato, in quanto non è da escludersi che anche nella mediazione telematica l’accordo costituisca un file nativo digitale firmato digitalmente separato dal verbale, al quale viene allegato, dall’altro perché è pacifico che anche nella mediazione in presenza sia possibile che l’accordo venga contenuto nel corpo del verbale.

Ciò che, de iure condito, può affermarsi con certezza è che quando l’accordo, nella mediazione telematica, sia destinato a essere trascritto o iscritto nei pubblici registri (immobiliari o commerciali) e sia, pertanto, necessario l’intervento notarile, indipendentemente dalla tecnica redazionale utilizzata[45], le parti devono essere presenti davanti al notaio, non essendo prevista alcuna forma di stipula di un atto pubblico o autentica di una scrittura privata a distanza, salvi i casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge.

Nulla vieta che l’atto notarile a valle del procedimento di mediazione sia stipulato su supporto digitale e conservato a norma di legge, come ora previsto 47-bis, 47-ter, 52-bis, 57-bis, 62-bis, 62-ter e 62-quater della legge notarile, come modificata dal D.lgs. 2 luglio 2010 n.110, purché le parti siano fisicamente presenti dinanzi al notaio e l’accertamento dell’identità personale sia effettuato dal notaio alla presenza fisica delle parti o dei loro procuratori speciali muniti di procura notarile.

L’eccezione a tale quadro normativo, che peraltro non interessa gli accordi di mediazione[46], è costituita dal Decreto Legislativo 8 novembre 2021 n. 183 (di recepimento della direttiva (UE) 2019/1151 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019) che consente ai notai di stipulare – telematicamente – atti costitutivi di società a responsabilità limitata e di società a responsabilità limitata semplificata[47].

Pertanto, nella mediazione telematica, qualora il notaio sia chiamato a ricevere o autenticare l’accordo di conciliazione contenuto nel verbale in maniera contestuale alla conclusione positiva del procedimento di mediazione, dovrà assicurarsi che le parti siano presenti dinanzi a lui, verificando, in particolare, che per l’ultimo incontro della mediazione telematica (in cui egli interverrà) tutte le parti abbiano richiesto al responsabile dell’organismo di partecipare in presenza (art. 8 bis comma 2).

6. L’esecuzione dell’accordo di mediazione: cenni

Le parti possono rafforzare il carattere cogente degli obblighi convenuti in via principale con l’accordo di conciliazione attraverso la pattuizione dell’obbligo di pagamento di una somma di denaro in caso di violazione o inosservanza nell’adempimento dei primi, giusta la facoltà contemplata all’art. 11, comma 7, del D. Lgs. n. 28/2010 (il cui contenuto riproduce quello dell’originario comma 3 del medesimo articolo ante riforma ex D.Lgs. 149/2022)[48].

Agevolmente riconducibile nella categoria della clausola penale, può ritenersi che anche in assenza di espressa previsione normativa la quale, pertanto, nulla aggiunge ad una regolamentazione delle condizioni contrattuali conseguibili attraverso le categorie generali dell’autonomia privata, le parti avrebbero comunque potuto inserire nell’accordo conciliativo una clausola siffatta, in applicazione dell’art. 1382 c.c.

Fino alla riforma del processo civile di cui al D.Lgs. n. 149/2022 si riteneva che tali obblighi ulteriori, configurando una normale clausola penale, necessitassero del previo accertamento giudiziale in ordine all’inadempimento[49] ai fini della loro esecutività e se ne escludeva, pertanto, la riconducibilità alle misure di coercizione indiretta di cui all’art. 614-bis c.p.c., comminabili solo giudizialmente insieme al provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi “diversi dal pagamento di somme di denaro”.

Con la riformulazione dell’art.614 – bis c.p.c. ad opera del D.Lgs n. 149/2022 è ora prevista la possibilità di chiedere la determinazione di queste misure al giudice dell’esecuzione, anche per titoli esecutivi diversi dai provvedimenti di condanna, purché relativi a crediti non pecuniari (art. 614-bis c.p.c.). In tal modo si sono resi all’evidenza molto più “appetibili gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie”[50].   L’accordo concluso in mediazione, anche con le modalità di  cui  all’articolo 8-bis[51], costituisce, inoltre, titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art.12 D.lgs.28/2010).

Condizioni necessarie e sufficienti perché l’accordo abbia valenza di titolo esecutivo sono che i) l’accordo sia stato raggiunto in un procedimento nel quale le parti siano state “tutte” assistite dai rispettivi avvocati; ii) l’accordo sia stato “sottoscritto” dalle parti e dagli stessi avvocati; iii) l’accordo sia allegato al processo verbale “formato” dal mediatore e che questi abbia “certificato l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere” (art. 11 comma 4); iv) esso contenga altresì l’attestazione e la certificazione degli avvocati della conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.

L’omologazione giudiziaria rimane una possibilità alternativa e residuale alla quale le parti possono ricorrere quando tutte le parti o alcune di esse non siano state assistite dagli avvocati ovvero quando gli avvocati, pur avendo assistito le parti, non abbiano «attestato e certificato» la non contrarietà alle norme imperative e all’ordine pubblico.

A ben vedere, peraltro, l’accordo di conciliazione potrebbe avere la “forza” di titolo esecutivo anche qualora, pur non ricorrendo i presupposti di cui all’art.12 D.lgs.28/2010, rivesta – ai sensi dell’art.474 c.p.c. – la forma della “scrittura privata autenticata” (per la c.d. esecuzione generica per l’adempimento forzoso delle obbligazioni di somme di denaro) ovvero quando esso sia trasfuso in un atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverlo (in questo caso consentendo di avviare l’esecuzione generica ovvero di eseguire coattivamente gli obblighi di consegna o rilascio).

E’ di particolare significatività l’idoneità, testualmente prevista dal citato art.12, dell’accordo di conciliazione ai fini dell’esecuzione anche degli obblighi di fare e non fare, costituente il risultato di un’evoluzione giurisprudenziale e normativa, che ha portato a un’interpretazione estensiva dell’art.612 c.p.c. il quale, pur essendo immutato nel suo tenore letterale, sembra ora consentire l’esecuzione degli obblighi di fare o di non fare anche sulla base di titoli non esclusivamente giudiziali[52].

Già da tempo parte della dottrina[53]aveva evidenziato che il riferimento contenuto nell’art.612 c.p.c. alla sentenza di condanna quale unico titolo idoneo per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare dovesse essere inteso nel senso che l’esecuzione coattiva di tali obblighi fosse subordinata ad un preventivo accertamento giurisdizionale avente ad oggetto la fungibilità e la non eccessiva onerosità delle prestazione e che, pertanto, qualsiasi provvedimento giurisdizionale recante una condanna – e non solo la sentenza –  potesse costituire valido titolo esecutivo.

Passaggio importante nell’evoluzione di questo tema si è registrato con la sentenza della Corte Costituzionale del 12 luglio 2002 n.336 che – nel rigettare la questione di legittimità costituzionale dell’art.612 c.cp.c. – ne ha offerto un’interpretazione costituzionalmente orientata in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111 e 113 Cost. prescrivendo che detta norma debba essere intesa nel senso di consentire l’instaurazione del procedimento esecutivo per l’esecuzione coattiva degli obblighi di fare e non fare anche sulla base di un verbale di conciliazione giudiziale.

Successivamente, nel 2005, il legislatore, senza intervenire sull’art.612 c.p.c., ha inteso recepire le indicazioni provenienti dalla Consulta modificando l’art.474 c.p.c.: in particolare nel n.1 del comma 2 si è stabilito che sono titoli esecutivi (non più soltanto le sentenze e i provvedimenti), ma anche “gli altri atti” ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva.

In questo quadro s’inserisce la disposizione dell’art.12 D.lgs. 28/2010 che, in uno con quella di cui all’art.5 del D.L. 12 settembre 2014 n.132, convertito con legge 10 novembre 2014 n.162 in materia di negoziazione assistita, costituisce una significativa apertura normativa ai titoli esecutivi di matrice stragiudiziale per gli obblighi di fare e non fare, che va tenuta ben presente nella valutazione dei potenziali vantaggi, anche economici, benché non facilmente monetizzabili, nel ricorso alla mediazione civile.

La questione, di molto ridimensionata per tutti i titoli di matrice giudiziale pur non costituenti propriamente una sentenza, è rimasta aperta per gli atti di natura stragiudiziale, in particolare – tra l’altro – per gli atti pubblici (notarili), sui quali ancora non si registra unanimità di vedute, anche se la maggioranza degli interpreti sono orientati ad ammettere anche l’atto pubblico quale titolo esecutivo per l’esecuzione anche degli obblighi fare e di non fare, in quanto sarebbe eccessivamente formalistica e contraria al principio di economia processuale la soluzione di costringere il creditore ad instaurare un processo di cognizione al solo scopo di ottenere un titolo esecutivo identico a quello di origine notarile[54].

Note

[1] Relazione al corso di formazione organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura su “Gli strumenti di giustizia complementari” – Castel Capuano – 14 giugno 2023.

[2] Si tratta della sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 6 marzo 2015, n. 4628, secondo la quale “omissis..se ci si libera dell’ipotesi in cui appare che il primo contratto è già il contratto preliminare e che il secondo è, al più, solo la sua formalizzazione per la trascrizione, restano due “sequenze” variabili che si avvicinano:

A) quella delle mere puntuazioni in cui le parti hanno solo iniziato a discutere di un possibile affare e senza alcun vincolo fissano una possibile traccia di trattative. In questa ipotesi, quanto maggiore e specifico è il contenuto, tanto più ci si avvicina al preliminare.

B) Quella in cui il contratto non è ancora un vero preliminare, ma una puntuazione vincolante sui profili in ordine ai quali l’accordo è irrevocabilmente raggiunto, restando da concordare secondo buona fede ulteriori punti.

Si tratta di un iniziale accordo che non può configurarsi ancora come preliminare perché mancano elementi essenziali, ma che esclude che di quelli fissati si torni a discutere. In questa ipotesi man mano che si impoverisce il contenuto determinato ci si allontana dal preliminare propriamente detto”.

[3] Secondo P.LUISO, Diritto Processuale civile, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, V, 2022, p.47, la non necessità di delimitare l’oggetto della domanda di mediazione non consente la sua trascrivibilità in quanto “tanto varrebbe consentire una trascrizione in bianco”.

[4] In tal senso, chiaramente, R. TRIOLA, Della Tutela dei Diritti – La Trascrizione, in Trattato di diritto privato, diretto da Mario Bessone, volume IX, terza edizione, Torino, 2012, p.227.

[5] A condizione, naturalmente, che ricorrano le condizioni espressamente previste negli artt.2652 e 2653 c.c. in relazione alle eterogenee fattispecie ivi previste.

[6] Per usare le parole di un maestro come G.CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 950, p.70, l’arbitratore “è chiamato a determinare in un rapporto giuridico di per sé pacifico un elemento non definito dalle parti; (…) l’arbitratore, dunque, non dichiara diritti esistenti, non sostituisce il processo, ma completa rapporti giuridici, il che non ha importanza che per il diritto sostanziale”. Distingue l’attività del mediatore, che formula la proposta, dall’arbitratore U.CARNEVALI, La nuova mediazione civile, in I Contratti, 2010, 5, p.432, sulla base del rilievo che le parti sono libere di accettare o meno la proposta del mediatore mentre nell’arbitraggio le parti fanno propria ex ante la determinazione della prestazione da parte dell’arbitratore).

[7] Cass. civ., Sez. I, 19 aprile 2002, n. 5707 secondo cui “La diversità di funzione tra gli istituti dell’arbitrato e dell’arbitraggio – composizione di una lite quanto al primo, integrazione del contenuto negoziale quanto al secondo – comporta che presupposto fondamentale dell’arbitrato è l’esistenza di un rapporto controverso, che, invece, difetta del tutto nell’arbitraggio, con la conseguenza che quest’ultimo, pur trovando applicazione in numerosi contratti tipici, non è configurabile nella transazione, della quale è presupposto essenziale una controversia attuale o prevista”.

[8] Ritiene che la proposta del mediatore non abbia niente a che vedere con quella di cui all’art. 1326 c.c. F.P.LUISO, La “proposta del mediatore”, in Giustizia Consensuale, 1, 2021, p.32, il quale osserva che essa è un suggerimento, che quindi deve essere accettato da tutte le parti, per poter produrre effetti.

[9] Tribunale di Roma, decreto 17 novembre 2015.

[10] Cfr., ex multis, G. CAPOZZI, Successioni e donazioni,  II ed., tomo II, Milano, 2002, p. 710; G. BONILINI, voce Divisione,  in Dig., sez. civ., Torino, 1990, p. 495; C. M. BIANCA, Diritto civile, La proprietà, IV, Milano, p. 498 e ss., il quale sostiene la rescindibilità della c.d. “divisione transattiva” ex art.764 comma 1 c.c. e, delineando il contenuto del negozio, afferma che essa ricorre quando “ … tra i compartecipi sorgono questioni anteriormente o contestualmente alla divisione e queste sono risolte direttamente mediante la formazione delle porzioni”.

[11] Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 1994 n.1029, secondo la quale “Sussiste un contratto divisorio soggetto alla rescissione laddove si riscontra la contemporanea esistenza degli elementi dell’attribuzione di valori proporzionali alle quote e dello scioglimento della comunione. Per contro, si è in presenza di una transazione, che si sottrae alla rescissione, quando con l’atto, che pone fine alla comunione, i condividenti – allo scopo di evitare le liti, che potrebbero insorgere, o di porre termine alle liti già sorte – si accordano sulla attribuzione delle porzioni, senza procedere al calcolo delle proporzioni corrispondenti alle quote”.

[12] Cfr., ex multis, G. BONILINI, op.cit.; G. CAPOZZI, op. cit. Alla transazione c.d. divisoria non sarebbe, invece, applicabile il rimedio rescissorio ex.art.764 comma 2 c.c.

[13] E’, pertanto, tecnicamente più corretta l’omologa espressione utilizzata, in sede di negoziazione assistita, dall’art.5 comma 3 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162,  secondo cui  “Se con  l’accordo  le  parti  concludono  uno  dei  contratti  o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per  procedere  alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo  verbale  di accordo deve essere autenticata  da  un  pubblico  ufficiale  a  ciò autorizzato”.

[14] Vedi amplius nel testo al par.3.

[15] Sia consentito il rinvio a M.SARACENO, L’accertamento delle patologie negoziali in mediazione, in Diritto della mediazione civile e commerciale, a cura di M.MARINARO, 2023, p.295 ss.

[16] F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine Generali del diritto civile, Napoli, 1989, p.177, il quale considera eccezionali le ipotesi nelle quali è concesso ai privati l’accertamento di un fatto, ma l’atto compiuto nell’esercizio di questo potere è per l’appunto un atto non negoziale (ad esempio l’accertamento del figlio naturale); ID, L’accertamento negoziale e la transazione, in Riv. trim. proc. civ., 1956, pp.1 ss.

[17] Cass., 9 dicembre 2015, n. 24848, in Guida al diritto, 2016, 8, p. 92 secondo cui “Il negozio di accertamento, che può avere anche struttura semplicemente unilaterale, attesa la possibilità per un soggetto di vincolarsi con una dichiarazione unilaterale a considerare per il futuro in un determinato modo una situazione precedentemente incerta, è caratterizzato, quanto alla causa, dallo scopo di imprimere certezza giuridica ad un preesistente rapporto o di precisarne definitivamente il contenuto e l’essenza quanto agli effetti; esso, laddove verta su diritti reali, non determina ex se il trasferimento di beni e di diritti da un soggetto all’altro, né costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti, in quanto rende soltanto definitiva la situazione connessa con il rapporto preesistente, la quale sia, di per sé, idonea al conseguimento degli effetti definitivamente fissati dal negozio accertativo”; Cass.civ., sez.II, sentenza 22 gennaio 2019 n.1636, secondo la quale “Il negozio di accertamento è caratterizzato dall’intento di imprimere certezza giuridica ad un precedente rapporto, cui si collega, al fine di precisarne l’esistenza, il contenuto e gli effetti, rendendo definitive e immutabili situazioni di obiettiva incertezza; in particolare, ove le parti vogliano riconoscere e determinare l’esatto confine tra terreni contigui, il negozio di accertamento non è soggetto a forma scritta, potendosi perfezionare anche verbalmente o mediante attuazione”.

[18] F. CARNELUTTI, Note sull’accertamento negoziale, in Riv.Dir.Proc.Civ., 1940, I, 3 ss.

[19] M.GRADI, Teoria dell’accertamento consensuale: storia di un’incomprensione, in Giustizia consensuale, fasc. 2/2021, 303-346.

[20] Può dirsi pacifico che la pubblicità di cui all’art.2655 c.c. non costituisca una forma di pubblicità notizia, in quanto essa è idonea a incidere sugli effetti della pubblicità del negozio principale orientandoli in una determinata direzione secondo il principio generale di continuità delle trascrizioni di cui all’art.2650 c.c. di cui quella in esame costituisce una species.

[21] L.FERRI-P. ZANELLI, Trascrizione immobiliare, 3 ed., sub.artt.2654-2656, in Comm. c.c. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1995, p.371.

[22] R. NICOLO’, La trascrizione, Milano, 1973, p.82. U. NATOLI, in U. NATOLI – R. FERRUCCI, Della tutela dei diritti. Trascrizione – Prove, in Commentario del codice Civile, VI, Torino, 1971, pp.163 ss.; A. LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano, 1980, pp.358, nota 140.

[23] G. GABRIELLI, La pubblicità immobiliare, in Trattato di diritto civile diretto da Rodolfo Sacco, Torino, 2012, p.168.

[24] L’unico precedente disciplinare in materia notarile è contenuto nella pronuncia Coredi Piemonte e Valle D’Aosta 11 novembre 2014 n. 10626, secondo cui “La Co.Re.Di. ritiene non responsabile il Notaio per violazione dell’art. 28 n. 1 L.N. in quanto: 1) la stipula di contratti che abbiano ad oggetto l’accertamento della nullità di un precedente negozio giuridico concluso tra le stesse parti è ammesso e sostenuto da norme di diritto positivo (artt. 2655 c.c., 1972 c.c.); 2) la legittimazione da parte dell’ordinamento del contratto di accertamento della nullità di un negozio è ribadita dallo Studio del CNN n. 176/2008; 3) una prassi recente ed autorevole (Formulario del Notaio Petrelli) fornisce una traccia del Contratto di accertamento di nullità di un precedente contratto, e ne sostiene pertanto la ammissibilità 4) l’atto non è mancante di causa in quanto le parti hanno inteso superare le incertezze relative alla causa liberale della cessione delle azioni”.

[25] Le nullità di protezione vanno annoverate fra le nullità relative per le quale la legittimazione a far valere la causa di nullità spetta ad una delle parti.

[26] G. VETTORI, Contratto e rimedi, Milano, 2021, p. 898.

[27] Cass.civ., sez.VI -3, ordinanza, 18 maggio 2021 n. 13504, secondo cui è ben possibile che la risoluzione consensuale sia fondata in ragione dell’inadempimento di una delle parti.

[28] Per una completa ricostruzione delle posizioni dottrinali sul punto cfr F. ALCARO, Il mutuo dissenso, Studio CNN n. 434-2012/C; M. C. DIENER, Il contratto in generale, Milano, 2015, p. 515; G. CAPOZZI, Il mutuo dissenso nei contratti ad effetti reali, in Studi in ricordo di Alberto Auricchio, Napoli, 1983, p. 284; M. FRANZONI, Il mutuo consenso allo scioglimento del contratto, in Il contratto in generale, Tratt. di dir. priv.diretto da M. Bessone, tomo V, Torino, 2002, p. 16; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2009, p. 1035; M. C. DIENER, Il contratto in generale, cit., p. 516; C.M. BIANCA, Il contratto, in Diritto civile, 3, Milano, 2015, p.735; G. CAPOZZI, il mutuo dissenso nella pratica notarile, in Vita not., 1993, p. 635; R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Tratt. di dir. civ., diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, IV, 2, Milano, 1972, p. 210; M. FRANZONI, Il mutuo consenso allo scioglimento del contratto, cit. p. 16; A. LUMINOSO, Il mutuo dissenso, Milano, 1980, p. 499; F. MESSINEO, voce Contratto (dir. priv.), in Enc. del. dir., Milano, 1961, p. 815; M. CEOLIN, Sul mutuo dissenso in generale e, in specie, parziale, del contratto di donazione, Studio CNN n. 52-2014/C; C. CARBONE, Formulario Notarile Commentato – Notariato e atti notarili – Atti Mortis Causa – Atti tra vivi, in Manuali Notarili – Serie operativa, a cura di L. Genghini, Padova, 2020, p. 3084; A. ALAMANNI, Retroattività del mutuo dissenso, in Rass. dir. civ., 2013; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., Torino, 1980, p. 290.

[29] Cass., sez. V, 6 ottobre 2011, n. 20445, secondo cui “Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio), espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, anche indipendentemente dall’esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modificativi dell’attuazione dell’originario regolamento di interessi, dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto ex lege dall’art. 1458 c.c. con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto dell’onere della forma scritta ad substantiam”. Secondo la più recente giurisprudenza tributaria, in via di consolidamento, quando gli effetti traslativi si sono già prodotti, non di mutuo dissenso deve parlarsi, quanto di stipulazione tra le stesse parti di un diverso negozio avente effetti uguali e contrari al precedente. Cfr.Cass, civ., sez.V, ordinanza 28 settembre 2021 n.26212.

[30] GAZZONI, Trattato della Trascrizione, La trascrizione degli atti e delle sentenze, Milanofiori Assago, 2012, p.450, il quale osserva che in questo caso non è possibile procedere con l’annotamento, che suppone l’identità soggettiva fra la parti dell’atto principale, trascritto, e quello di secondo grado, da annotare, che nel caso di interposizione fittizia mancherebbe in quanto l’interponente non è stato parte del contratto simulato.

[31] G.PETRELLI, L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare, Napoli, 2009, pp.173 ss..

[32] Corte di Cassazione, sezione III, 11 luglio 1996 n.6313, secondo cui ”omissis… Né può ritenersi che la convalida presupponga necessariamente un’attività di accertamento in ordine all’esistenza e alla nullità del testamento (nella specie nuncupativo), riservata all’autorità giudiziaria, così confondendola con la conoscenza e la menzione della causa di nullità, richieste come presupposto della fattispecie sanante. Entrambe le figure (la convalida e l’accertamento della nullità) hanno in comune solo l’effetto di fissare la situazione preesistente, ma l’accostamento non può andare oltre, rimanendo ferma la differenza, che nel caso della convalida riguarda il modo di essere del negozio convalidato rispetto al diritto, senza escludere una eventuale e successiva contestazione dinanzi all’autorità giudiziaria e l’accertamento definitivo di questa…Omissis La “raccolta” delle dichiarazioni dei comparenti, da parte del notaio ricorrente, e propria dell’attività notarile, non può qualificarsi come accertamento del contenuto di quelle dichiarazioni, e i suoi effetti in nessun modo possono equipararsi a quelli propri dell’accertamento giudiziario, onde non può ritenersi invasiva di attività riservata all’autorità giudiziaria e non viola il disposto dell’art.28 n.1 della legge notarile”.

[33] Ammette esplicitamente la possibilità che le parti accertino, in sostituzione dell’autorità giudiziaria, la nullità di un precedente negozio giuridico G. BARALIS, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n.176-2008/C, secondo cui “Dottrina e Giurisprudenza ormai ammettono in linea di massima la fattispecie dell’accertamento negoziale, ma con larghe divergenze circa i suoi presupposti, il contenuto, l’efficacia. L’accertamento sembra collegato alla riserva esclusiva dell’a.g.o, essendo invece il potere di disporre tipica “zona” dell’autonomia privata, e infatti, sia pure obiter, la Suprema Corte, in un passato non molto lontano, ha ammesso la possibilità strumentale dei privati di accertare la nullità quale passaggio per la convalida, nei casi eccezionali in cui è ammessa, ma ha altresì escluso la possibilità per gli stessi di accertare tout court tale tipo di invalidità. L’accertamento della nullità di un negozio, al di là dei casi in cui sia presupposto di una convalida negoziale, è esplicitamente ammessa dal legislatore ex art. 2655, ult. comma c.c., in sostituzione di un accertamento giudiziale”.

[34] M. LEO, Risposta a quesito CNN n.6026, il quale concorda che il negozio di accertamento della nullità di un precedente negozio (ove ammissibile) non potrà mai avere gli stessi effetti della trascrizione della sentenza conseguente alla trascrizione della domanda giudiziale ex art.2652 n.6 c.c.

[35] La transazione conservativa si limita a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni (generalmente consistenti in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un quid medium tra le prospettazioni iniziali). Cfr., in dottrina, L.V. MOSCARINI – N. CORBO, Transazione, in Enc. Giur., XXXVI, Roma, 1994, p.4; C. CICERO, La transazione, in Trattato di diritto civile, a cura di Sacco, Torino, 2014, pp.29 ss.; PICCIANO, Transazione semplice e novativa: brevi note in tema di nullità della “prior obligatio”, in Riv. dir. civ., 1999, II, 440. In giurisprudenza, si veda, tra le varie, Cass. civ. 12 aprile 2005, n. 7522.

[36] La transazione novativa implica la sostituzione dell’intero rapporto originario controverso con un nuovo rapporto non controverso. Cfr. F. SANTORO-PASSARELLI, La transazione, Napoli, p.84.

[37] A.GENTILI, La replica della stipulazione: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto fra ripetizione e rinnovazione, in Contratto e impresa, 2003, p.667 ss; E. FABIANI e M. LEO, Manuale della mediazione civile e commerciale. Il Contributo del notariato alla luce del D.lgs.28/2010, cit., pp.285 ss. I concetti di ripetizione e rinnovazione sono spesso utilizzati promiscuamente nella prassi negoziale, ma un criterio distintivo apprezzabile è stato quello di ricondurre la ripetizione negoziale alla forma in senso lato del negozio, nel senso che – a parità di effetti, di diritti ed obblighi fra le parti, di identità soggettiva, di connotazione temporale e spaziale del negozio ripetuto – l’atto ripetitivo consente di rivestire il negozio ripetuto della forma idonea a che lo stesso produca effetti non solo tra le parti ma anche erga omnes con il mezzo della pubblicità immobiliare o commerciale (il che, come si vedrà, dovrebbe valere anche quando l’atto ripetitivo rimuova vizi sanabili), mentre la rinnovazione esprime una casistica che ricomprende sia l’ipotesi in cui le parti i) trascurando il titolo precedente, fanno luogo alla formazione di un nuovo titolo con la stessa forma (o anche con un diversa forma) con diritti ed obblighi dello stesso tipo e sugli stessi beni, (ipotesi, questa, problematica attesa la necessità di individuare quali siano i limiti oltre i quali deve parlarsi, come si vedrà oltre, di novazione), oppure ii) le parti replicano il negozio contratto, per il resto identico, ma con una variazione della dimensione temporale del vincolo, che può riprodursi dalla scadenza del precedente per una eguale durata, o per una durata maggiore o minore (si pensi alla rinnovazione del preliminare) o ancora iii) le parti danno luogo alla formazione di un titolo in tutto identico al precedente, affetto da nullità insanabile, previa rimozione del vizio di nullità. Non vi è, peraltro, è unanimità di vedute nel riferire l’espressione rinnovazione al contenuto del negozio, dovendo piuttosto essere legata al documento contrattuale (C. M. BIANCA, Il Contratto, cit.,p.301), e di ciò vi sarebbe traccia letterale nell’art.1231 c.c. Esclude che si possa parlare di ripetizione quando si tratti sostituire un titolo nullo con uno valido N. IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, Milano, 1970, pp.173 ss., secondo il quale la fattispecie della ripetizione presuppone la validità del negozio ripetuto sicché se il contratto ripetuto è invalido non si farebbe luogo a ripetizione.

[38] La transazione implicherebbe anche una conferma del testamento annullabile (se si ritiene applicabile a questa fattispecie l’art.590 c.c.) ovvero una convalida dello stesso previo intervento, ove necessario, di eventuali eredi legittimi.

[39] R. TISCINI, L’esito positivo della mediazione civile e commerciale del d.lgs. n. 28/2010: il verbale di accordo, tra requisiti formali e pregi/difetti sostanziali, in www.judicium.it.

[40] CAPPONI, Un nuovo titolo esecutivo, cit.; BRUNELLI, Commento all’art. 11, in La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali, a cura di Bandini e Soldati, Milano, 2010, 201 ss.; P.FORTI, Le tecniche redazionali dell’atto notarile per l’accordo di mediazione, in Rapporto sui conflitti e sulla conciliazione 2021, a cura dell’Osservatorio sui conflitti e sulla conciliazione, 2022, pp.153 ss.; ID, Il verbale e l’accordo in mediazione, in Diritto della mediazione civile e commerciale, cit., pp.221 ss.

[41] Su questi profili, CAPPONI, Un nuovo titolo esecutivo, cit., secondo cui “l’autentica sembra richiamare quella che l’avvocato opera nel processo riguardo alla procura ad litem, ma a ben vedere le fattispecie non sono affatto assimilabili”. Osserva l’autore che il compito del mediatore, in base al comma 3 dell’art. 11, è certamente più ampio di quello assegnato al difensore dagli artt. 83 e 125 c.p.c., non limitandosi esso all’autentica della sottoscrizione delle parti, ma potendo addirittura documentare le ragioni dell’impossibilità delle parti di sottoscrivere l’accordo (che vale comunque a vincolare le parti, ancorché non sottoscriventi). Inoltre, il potere del difensore si spiega nel contesto dello svolgimento dell’incarico di rappresentanza e difesa in giudizio, laddove il mediatore non è legato alle parti da alcun rapporto di mandato

[42] La competenza all’autenticazione di scritture private di carattere negoziale è esclusivamente del notaio: Cfr. Trib. Milano, 1° marzo 1956, in Riv. not. 1956, p. 829; Trib. Milano, 18 aprile 1961, in Riv. not., 1961, pp. 272 ss.; App. Roma 18 novembre 1967, in Riv. not. 1969, pp. 880 ss.; Cass. 3 aprile 1998, n. 3426 (in Foro it., Rep. 1998, voce Procedimento civile, n. 117) con riferimento alle autentiche amministrative.

[43] Ora aumentata a euro 100.000,00 per effetto della modifica dell’art.17 comma 2 D.lgs.28/2010.

[44] Cfr. M. LEO- M. FIORNI, La mediazione in modalità telematica, in Diritto della mediazione civile e commerciale, cit. pp.319 ss.

[45] Fatta salva l’ipotesi in cui l’accordo di conciliazione produca effetti meramente obbligatori ai quali viene data esecuzione mediante un atto notarile, di natura solutoria, che pertanto può essere stipulato anche a distanza di tempo rispetto alla conclusione della procedura di mediazione, le tecniche redazionali più diffuse nella prassi per rivestire di forma pubblica o autentica l’accordo di conciliazione da cui conseguano effetti reali immediati sono quelle: i) del c.d. “atto unico” in cui il notaio interviene direttamente all’interno della procedura di mediazione, in occasione dell’ultimo incontro, e verbalizza direttamente l’ultimo incontro in forma pubblica o autentica annettendo nel corpo del verbale l’accordo o allegandolo al verbale medesimo e ii) dell’atto ripetitivo, che si sostanzia una reiterazione del consenso espresso dalle parti nel procedimento di mediazione in forma di atto pubblico o scrittura privata autentica, generalmente allegando un esemplare originale del verbale e dell’accordo. Meno diffusa, e anche meno corretta, è la tecnica del verbale di deposito notarile (artt. 61 L.N. e 1 R.D. L. 14 luglio 1937 n. 1666) dell’accordo raggiunto in mediazione. Su tale procedura sono state avanzate, invero, talune perplessità derivanti dall’uso “anomalo” di tale istituto al fine di attribuire la forma autentica per la trascrizione (art. 2657 c.c.) ad atti che – pur rispettosi della forma per la loro validità – non ne siano muniti. Al riguardo si sottolinea che secondo una pronuncia di legittimità (Cass. 14 dicembre 1984, n. 6576, in Giur. it. 1985, 1061) il verbale di deposito non sarebbe idoneo ad attribuire alla scrittura privata il requisito dell’autenticità, richiesto per l’attuazione della pubblicità dall’art. 2657 c.c., argomentando principalmente dal fatto che detto deposito realizzerebbe un intento legale diverso e non equiparabile alla autenticazione della scrittura, né può costituire un modo di riconoscimento della scrittura stessa, essendo a tal fine necessario che la sottoscrizione non contestata venga accertata e dichiarata in una sentenza.

[46] In linea teorica non può escludersi che il procedimento si concluda con la costituzione di una società a responsabilità limitata, ma si tratta di un’ipotesi assolutamente marginale.

[47] Per maggiori approfondimenti si rinvia G. ARCELLA, S. CHIBBARO, M. MANENTE E M. NASTRI, S.r.l Online, atto telematico e atto a distanza, in Notariato, 1/2021, 31 ss.

[48] Cfr. M. FIORINI, L’esecutività dell’accordo mediativo, in Diritto della mediazione civile e commerciale, cit.pp.305 ss.

[49] E. GASBARRINI, Manuale della mediazione civile e commerciale, a cura di M. L. Cenni, E. Fabiani, M. Leo, Napoli, 012, pag. 359 e ss; B. CAPPONI, Un nuovo titolo esecutivo nella disciplina della mediazione/conciliazione, cit.

[50] A.M.TEDOLDI, La riforma dell’esecuzione forzata: le novità del D. Lgs n. 149/2022, in giustiziainsieme.it.

[51] Si tratta del c.d. titolo esecutivo telematico

[52] Risposta a quesito del Consiglio Nazionale del Notariato – Ufficio Studi – n.331-2017/C del 14 luglio 2017.

[53] V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, 327; DENTI, L’esecuzione forzata degli obblighi fare e di non fare, Napoli, 1966, 211.

[54] Sul punto cfr. FABIANI E. – PICCOLO L., Atto pubblico ed esecuzione forzata in forma specifica di obblighi di fare e di non fare, Ufficio Studi CNN Consiglio Nazionale del Notariato, 2021.

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