Gli accordi sul mantenimento dei figli diventano “legge” tra le parti
La circostanza che, ai fini della disciplina dei rapporti tra i coniugi e di quelli con la prole, la sentenza (sia in tema di separazione personale, che di divorzio) abbia tenuto conto delle concordi indicazioni delle parti, non consente di attribuire natura negoziale alle condizioni in essa stabilite, il cui recepimento costituisce il risultato di un’autonoma valutazione giudiziale, soprattutto nella parte avente ad oggetto l’affidamento della prole e la determinazione del contributo dovuto per il suo mantenimento, in ordine ai quali le richieste dei genitori non assumono carattere vincolante, perché il giudice del merito deve ispirarsi, nelle relative scelte, all’esclusivo interesse della prole e, quindi, valutare, anche in occasione della sottoposizione dell’accordo, la rispondenza dello stesso a detti criteri. Qualora l’accordo convenzionalmente raggiunto tra i coniugi abbia conseguito il suo riconoscimento con la sentenza, è il giudicato (sia pure rebus sic stantibus) a dover essere preso in considerazione. La natura del giudicato, quale regola del caso concreto, comportandone l’assimilabilità agli elementi normativi della fattispecie, esclude peraltro la possibilità di ricorrere, ai fini della sua interpretazione, ai criteri ermeneutici dettati per le manifestazioni di volontà negoziale, trovando invece applicazione, in via analogica, i principi dettati dall’art. 12 preleggi, e dovendosi quindi procedere alla ricostruzione del comando oggettivato nella sentenza attraverso l’integrazione del dispositivo con la motivazione che lo sostiene, avendo riguardo, ove residuino incertezze interpretative, anche alle domande proposte dalle parti, nonché alle risultanze degli atti processuali. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 4 luglio 2023, n. 18785.