Imposta di successione e curatore dell’eredità giacente: continua la querelle tra contribuente e Agenzia delle Entrate
Nell’articolo pubblicato su questa rivista il 23 febbraio 2024, dal titolo “Nessuna imposta di successione a carico del curatore dell’eredità giacente”, si prendeva spunto da due sentenze della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia (Sentenza n. 1626/2023 del 15 febbraio 2023 e Sentenza n. 2867-1 del 27 settembre 2023), per esaminare alcuni profili controversi della disciplina tributaria/fiscale della curatela dell’eredità giacente, con particolare riguardo all’imposta di successione, giungendo alla conclusione della sua non debenza, pur riconoscendo al Curatore dell’eredità giacente l’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione.
La Suprema Corte, sulla scia di una sua precedente sentenza (Cassaz. n. 16428 del 15 luglio 2009), è recentemente ritornata sul tema (Cassazione n. 27081 del 18 ottobre 2024), statuendo che “In tema di imposte ipotecarie e catastali correlate alla successione, il curatore dell’eredità giacente è obbligato alla presentazione della dichiarazione di successione e risponde del pagamento dei relativi tributi nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso, in conformità agli artt. 36 e 28 del D.Lgs. n. 346 del 1990 e all’art. 530 cod. civ.“.
La previsione di un obbligo “tout court” di versamento dell’imposta di successione in capo al Curatore dell’eredità giacente travisa, in realtà, quanto previsto dallo stesso Legislatore, sia in materia di capacità contributiva, con particolare riguardo all’imposta di successione, sia in materia civilistica, con riguardo all’istituto del possesso e ciò, per le seguenti ragioni:
- il Curatore dell’eredità giacente non ha il possesso dei beni ereditari in quanto svolge unicamente un’attività di amministrazione del patrimonio ereditario, sulla base dell’incarico ricevuto dal Tribunale e sotto il diretto controllo di quest’ultimo; e per l’effetto, non ha il possesso sui beni ereditari, non potendo disporne a piacimento come fosse il proprietario, potendosi se del caso ravvisare in capo al medesimo la mera detenzione dei beni;
- in vigenza della giacenza dell’eredità non si assiste ad alcun trasferimento di diritto sui beni amministrati alla curatela né quest’ultima può in alcun modo assurgersi al rango di erede;
- l’Art. 28 del T.U.S. elenca tra i soggetti obbligati alla presentazione della dichiarazione di successione i curatori dell’eredità giacente, mentre l’Art. 36 non ricomprende tra i soggetti tenuti al versamento dell’imposta di successione il Curatore, con la conseguenza che può ragionevolmente affermarsi che, se il Legislatore avesse inteso onerare i curatori anche di tale obbligo contributivo, l’avrebbe fatto espressamente con la conseguenza che, non essendovi possesso, vi è per il Curatore solo un obbligo dichiarativo.
La tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate e confermata dalla Suprema con le sopra citate sentenze, genera quindi, sul piano pratico, evidenti distorsioni, difficilmente conciliabili con la ratio stessa dell’istituto della curatela. Dall’esame dell’Art. 1 del T.U.S., secondo il quale l’imposta di successione è un prelievo che si applica “ai trasferimenti di beni e diritti per successione per causa di morte“, e dell’Art. 5 del T.U.S., secondo il quale l’imposta di successione è dovuta “dagli eredi e dai legatari“, può desumersi che secondo il Legislatore il presupposto del tributo altro non è che l’incremento patrimoniale conseguito dall’erede e/o dal legatario, che assolutamente manca nella curatela di eredità giacente, dove tra la data di apertura della successione e quella dell’effettiva trasmissione ereditaria, non si verifica nessun tipo di arricchimento dei chiamati né il trasferimento dell’eredità nella sfera giuridica/patrimoniale del Curatore.
Se con le due sentenze della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia (sentenza n. 1626/2023 del 15 febbraio 2023 e sentenza n. 2867-1 del 27 settembre 2023) vi era stato un passo avanti nella risoluzione dell’annosa questione della debenza/non debenza delle imposte in capo al curatore dell’eredità giacente, con la sentenza n. 27081 del 18 ottobre 2024 della Cassazione si ritorna un passo indietro, dal momento che tutto è nuovamente rimesso in discussione.
Il fatto
L’Agenzia delle Entrate notifica a un curatore di un’eredità giacente, considerandolo coobbligato al pagamento del tributo gravante sulla medesima eredità, plurimi avvisi di liquidazione e cartelle di pagamento, riferiti a imposte di bollo, catastale, ipotecaria e registro inerenti una procedura di successione, per le quali il curatore presenta ricorso, che viene accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca con sentenza n. 355/2017.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone appello, che si conclude con la Sentenza n. 295/2019 depositata il 21 febbraio 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Toscana respinge l’appello.
Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, cui resiste con controricorso il curatore dell’eredità giacente. Tale ricorso viene accolto dalla Suprema Corte.
Il controricorrente – afferma la Cassazione – è destinatario dell’atto impositivo nella sua qualità di curatore della eredità giacente.
In tema di imposte ipotecarie e catastali correlate alla successione, il curatore dell’eredità giacente, in quanto soggetto obbligato, ai sensi dell’art. 28, comma 2, e 31 del T.U.S., alla presentazione della dichiarazione di successione, è per conseguenza tenuto, ai sensi dell’art. 36, commi 3 e 4 del T.U.S., anche al pagamento del relativo tributo, seppur nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso.
Dispone l’art. 36 T.U.S. che sono soggetti obbligati al pagamento dell’imposta solo “1. Gli eredi sono obbligati solidalmente al pagamento dell’imposta nell’ammontare complessivamente dovuto da loro e dai legatari. 2. Il coerede che ha accettato l’eredità col beneficio d’inventario è obbligato solidalmente al pagamento, a norma del comma 1, nel limite del valore della propria quota ereditaria.”; mentre ai sensi del comma 3 è previsto che: “3. Fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti. Si applica l’art. 58 del testo unico sull’imposta di registro approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131“.
Deduce la Suprema Corte che, atteso che il curatore dell’eredità giacente è tenuto a presentare la dichiarazione, lo stesso rientra tra i soggetti obbligati al pagamento dell’imposta, tant’è che in capo allo stesso è espressamente previsto l’onere di promuovere la necessaria autorizzazione (art. 530 cod. civ.) per il pagamento dei debiti ereditari, dei quali è nel possesso (per tale dovendosi intendere la relazione con i beni, che debbono formare oggetto di inventario, sicuramente a fini fiscali).
Secondo la Corte quanto sopra trova ulteriore conferma proprio nell’art. 36 T.U.S che, al comma 4, prevede la facoltà di promuovere la nomina di un curatore da parte del fisco: se il curatore non potesse assolvere al debito tributario non vi sarebbe invero ragione alcuna di prevedere una siffatta facoltà.
Alla luce di tutte le argomentazioni sopra esposte, la Cassazione (richiamata la sentenza n. 16428 del 15 luglio 2009 della stessa Suprema Corte) cassa la decisione impugnata e accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo, in conclusione, che il curatore dell’eredità giacente, in quanto soggetto obbligato, ai sensi dell’art. 28, comma 2, e 31 del T.U.S., alla presentazione della dichiarazione di successione, sia tenuto, ai sensi dell’art. 36, commi 3 e 4 del T.U.S., al pagamento del relativo tributo, nei limiti del valore dei beni ereditari in suo possesso, sui quali solo cade la responsabilità patrimoniale.
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