Computo delle azioni proprie nel quorum deliberativo delle S.p.A. chiuse: commento a una recente sentenza di Cassazione
A cura di Marco Reschigna
1. Introduzione
La Cassazione è intervenuta di recente sul tema del computo delle azioni proprie nei quorum assembleari nelle S.p.A. chiuse [1]. Si tratta della seconda pronuncia della Suprema Corte da quando la norma di riferimento è stata aggiornata [2]. L’interesse mostrato dalla recente giurisprudenza sull’argomento offre l’occasione per analizzare la questione e comprendere se si possa pervenire a una differente conclusione a riguardo [3].
Il quesito da porsi è se le azioni proprie debbano essere computate nel quorum deliberativo, anche nel caso in cui quest’ultimo si calcoli sulla base del capitale rappresentato in assemblea, come ad esempio nel caso di assemblea ordinaria in seconda convocazione. È pacifico, invece, che le azioni proprie si computino sempre quando la base di calcolo sia il capitale esistente. È, altrettanto, acclarato che queste siano computate in ogni caso nel quorum costitutivo.
La fattispecie è disciplinata dall’art. 2357 ter c.c. che, nel punto di specifico interesse, ha il seguente tenore: “Il diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono tuttavia computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea”.
Questa è la regola per le società chiuse, mentre per quelle aperte la norma prosegue facendo rinvio all’art. 2368, comma 3, c.c. Di conseguenza in questo caso le azioni proprie non si computano mai nel quorum deliberativo per scelta espressa del legislatore. Nel caso delle s.p.a. chiuse, invece, la norma, secondo alcuni, sembra lasciare margini per sostenere che non sempre le azioni proprie vadano computate nel quorum deliberativo. Tuttavia, lo sviluppo della recente giurisprudenza sembra escludere questa impostazione.
2. Le argomentazioni della Corte
Con la sentenza che qui si commenta la Cassazione ha ribadito la propria posizione sul tema del computo delle azioni proprie nel quorum deliberativo della s.p.a. chiuse. Secondo la Corte, indipendentemente dal fatto che il quorum deliberativo sia basato sul capitale esistente oppure sul capitale rappresentato, il risultato non cambia. Le azioni proprie sono computate.
Già nel 2018, aveva avuto modo di esprimersi, tra l’altro, in un procedimento tra alcune delle stesse parti, affermando il seguente principio di diritto: “In forza del D. Lgs. 29 novembre 2010, n. 224, che ha modificato l’art. 2357-ter c.c., comma 2, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le azioni proprie sono incluse nel computo ai fini sia del quorum costitutivo, sia del quorum deliberativo” [4].
Nella recente sentenza la tesi sostenuta è la medesima. Il ragionamento dei Giudici, per arrivare a tale conclusione, si sviluppa nel modo seguente. Innanzitutto, rileva il dato letterale dell’art. 2357 ter c.c. che oggi fa riferimento alle “maggioranze” e non più al “capitale” [5]. Con riferimento alla precedente formulazione per “capitale” si doveva intendere “capitale sociale”, escludendo la computabilità delle azioni proprie in caso di riferimento al capitale rappresentato [6]. Tale cambiamento lessicale porta a ricomprendere nel quorum deliberativo anche quello che dipende dal capitale rappresentato, come nel caso di assemblea ordinaria in seconda convocazione.
La norma, in tale ottica, deve essere letta in chiave diacronica e di raffronto rispetto al precedente testo della stessa. Altrimenti la modifica sarebbe stata inutile. Tra l’altro, la norma non fa proprio riferimento alla distinzione della base di calcolo del quorum deliberativo, ma solo al fatto che le azioni proprie vadano sempre computate [7].
Inoltre, la stessa Relazione di accompagnamento al D. Lgs. 29 novembre 2010, n. 224, mette in rilievo questa discontinuità rispetto alla versione precedente dell’art. 2357 ter c.c., affermando che le azioni proprie “sono sempre computate ai fini del calcolo anche quando la legge non assume il capitale sociale a denominatore per il calcolo dei quorum assembleari”. Ciò nell’ottica di non creare vantaggi ingiustificati a favore della maggioranza.
Pur non avendo efficacia cogente e non essendo fonte di diritto, è pacifico, sia in dottrina che giurisprudenza, che la relazione di accompagnamento possa essere di ausilio alla corretta interpretazione di una norma. A maggior ragione in un caso come questo, nel quale la Relazione è proprio esplicita in tal senso.
In aggiunta, a conferma di quanto sopra, la Corte adduce anche l’esigenza di impedire che nella S.p.A. chiuse le azioni proprie vadano a creare degli squilibri eccessivi tra i soci, oltre che al più generale rischio di alterazione della funzione organizzativa del capitale sociale [8]. Si tratta un cambiamento di prospettiva rispetto al passato dove prevaleva, invece, maggiormente la preoccupazione rispetto ad un eventuale stallo tale da rendere impossibile alle maggioranze di formarsi regolarmente.
Secondo i Giudici, poi, la scelta legislativa in tale senso rientra nella discrezionalità tipica del legislatore, in una situazione caratterizzata da più interessi contrapposti. Si è, infatti, deciso di tutelare maggiormente gli equilibri preesistenti tra i soci al momento dell’acquisto di azioni proprie, piuttosto che la società stessa di fronte a possibili perduranti inattività dell’assemblea degli azionisti.
Peraltro, si aggiunga anche che la previsione in tal senso non viola alcun principio societario di diritto europeo, tenuto conto che la norma che disciplina la fattispecie è l’art. 63.1 Dir. 2017/1132/UE. Quest’ultimo prevede che per la azioni proprie il voto sia sospeso senza nulla indicare circa il conteggio delle stesse nei quorum costitutivi e deliberativi delle assemblee, escludendo che una scelta del legislatore in un senso o nell’altro violi la stessa previsione o, addirittura, il più generale principio di parità di trattamento.
Secondo la Corte, quindi, la scelta dell’ordinamento italiano nel senso sopra esposto è conforme alle norme europee.
La Cassazione, dunque, sulla base di questo percorso logico afferma la computabilità nel quorum deliberativo delle s.p.a. chiuse delle azioni proprie, anche quando la base di calcolo è rappresentata dal capitale sociale rappresentato. Questo avviene, ad esempio, nel caso di assemblea ordinaria in seconda convocazione. L’orientamento giurisprudenziale sembra essere ormai piuttosto consolidato e sembra porre fine alla discussione dottrinale che si era sviluppata sul punto.
3. La discussione sulla questione. Dottrina e giurisprudenza
Il tema del computo delle azioni proprie è stato oggetto di discussione in dottrina rispetto alla formulazione attuale dell’art. 2357 ter c.c. e lo è stato rispetto a quella precedente. Il dibattito, però, ha visto una diversa conclusione nei due diversi periodi di vigenza della norma.
Rispetto al testo in vigore fino al 2010 dove l’attenzione era posta sulla parola “capitale”, si riteneva tendenzialmente che il computo delle azioni proprie nel quorum deliberativo fosse possibile solo ove la base di calcolo fosse il capitale esistente. La tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza riteneva che le azioni proprie non fossero computabili quando la base di calcolo era data dal capitale rappresentato [9]. Non mancava, tuttavia, chi, anche rispetto al testo previgente riteneva che fosse necessario computare le azioni proprie in ogni caso, indipendentemente da quale fosse la base di calcolo [10].
Per quanto riguarda, invece, l’attuale testo dell’art. 2357 ter c.c., la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza è quella secondo cui le azioni proprie sono da computarsi sempre nel quorum deliberativo, anche quando questo è costituito dal capitale rappresentato in assemblea [11] [12].
Questo orientamento, a cui aderisce la recente pronuncia della Cassazione, fin dall’entrata in vigore del nuovo testo della norma proposto questa soluzione sulla base di agli argomenti già sopra esposti in quanto parte essenziale del ragionamento della Suprema Corte, che vengono ripresi, seppur con diverse modulazioni dalla dottrina. Il legislatore sembra cercare, quindi, una soluzione di compromesso dove vi sia più neutralità possibile ed evitare così concentrazioni surrettizie di potere.
Dunque, sebbene non vi sia un limite quantitativo all’acquisto di azioni proprie fissato rispetto a una certa percentuale di capitale sociale per le S.p.A. chiuse come, invece, accade per quelle aperte. Vi è un limite insito nel non poter superare quella soglia che renda impossibile il funzionamento dell’assemblea [13].
D’altronde, il testo dell’art. 2357 ter, comma 2, c.c. indica, apparentemente con chiarezza, che debbano computarsi delle azioni proprie sia nel quorum costitutivo sia nel quorum deliberativo della s.p.a chiuse. Ciò indipendentemente dal fatto che il quorum sia calcolato sulla base del capitale esistente ovvero del capitale rappresentato.
Si osserva però che è di diverso avviso una certa parte della dottrina secondo cui, invece, non si può ritenere che le azioni proprie siano da computarsi nel quorum deliberativo, qualora questo sia basato sul capitale rappresentato [14].
Più precisamente questo orientamento sostiene che quando le norme sui quorum fanno riferimento al capitale rappresentato, questo possa essere considerato soltanto il capitale presente in assemblea. Questa tesi si fonda sulle seguenti argomentazioni. Innanzitutto, da un punto di vista logico-matematico le azioni proprie non possono rientrare nel concetto di capitale rappresentato in quanto non presenti in assemblea.
Pertanto, il quorum sarebbe illegittimamente costituito dal capitale presente più le azioni proprie. Ciò sarebbe una forzatura del sistema dato che le azioni proprie sarebbero calcolate come intervenienti. Non solo le azioni verrebbero contate come voti contrari, dato che vengono computate, ma hanno voto sospeso. Si tratterebbe, in quest’ottica di un non giustificato potenziamento dei poteri della minoranza che può portare a significativi ostacoli alla vita della società.
3. Riflessioni conclusive
Allo stato attuale sembra difficile non condividere l’impostazione della recente giurisprudenza della Cassazione e della dottrina prevalente. Gli argomenti utilizzati a sostegno di tale orientamento trovano un riscontro oggettivo nel testo della norma. Inoltre, in questo senso si cerca un bilanciamento di interessi, tale da non potenziare eccessivamente i soci di maggioranza, rispetto alle minoranze.
Si può, tuttavia, rilevare che in quest’ottica si rischia la paralisi della società su decisioni essenziali come l’approvazione del bilancio. La ratio delle norme sui quorum in seconda convocazione è quella di favorire le decisioni dei soci e un’interpretazione siffatta sembra collidere con questo interesse.
Dal punto di vista logico sembra, inoltre, una finzione il fatto di considerare le azioni proprie nel caso in cui il quorum sia basato dal capitale rappresentato. Esse sarebbero, comunque, conteggiate in più rispetto al capitale presente in assemblea, comportando un eccessivo potenziamento della minoranza.
Nonostante queste minime annotazioni, non si può che prendere atto dell’orientamento giurisprudenziale e dottrinale sopra esposto. Pertanto, nella società azionarie chiuse le azioni proprie sono sempre computate nel quorum deliberativo e ciò indipendentemente dal fatto che la base di calcolo sia determinata nel capitale esistente o rappresentato.
Note
[1] Cass. civ., Sez. I, 03/09/2024, n. 23357, in One Legale.
[2] La modifica è avvenuta ad opera del D. Lgs. 29 novembre 2010, n. 224. Nella sua formulazione precedente (introdotta nel 1986) la norma prevedeva che le azioni proprie dovessero essere “computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea”. Questo tenore letterale aveva dato luogo a un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale poiché il termine “capitale” veniva ritenuto riferibile dai più al capitale esistente, non anche al capitale rappresentato in assemblea.
[3] La questione è già stata affrontata da Cass. civ., Sez. I, 2/10/2018, n. 23950, in Società, 2019, 275, con nota di E. E. Bonavera, Computo delle azioni proprie ai fini del calcolo delle maggioranze in assemblea, e in Giur. it., 2019, 105, con nota di L. Boggio, Il possesso di azioni proprie (e della controllante) tra limiti e quorum nel quadro UE e costituzionale”.
[4] Così Cass. civ., Sez. I, 2/10/2018, n. 23950, cit.
[5] Più genericamente Cass. civ., Sez. I, 2/10/2018, n. 23950, cit., rilevava sul punto che l’interpretazione letterale della norma significa ricercare l’interpretazione più corretta, non una qualsiasi di quelle consentite dal testo della norma. Il compito dell’interprete è quello dell’interpretazione più corretta, non quello della ricerca di una qualsiasi appiglio letterale su cui fondare la propria tesi.
[6] Così Cass. Civ., Sez. I, 16 ottobre 2013, nn. 23540 e 23541, in BBTC, 2014, 383, con nota di D’Aiello, Osservazioni a Cass., 16 ottobre 2013, nn. 23540 e 23541, in materia di computo delle azioni proprie nei quorum assembleari, che si sono espresse sull’argomento il relazione alla norma nella sua formulazione ante 2010. La Corte, in questo caso, escludeva espressamente la computabilità delle azioni proprie nel quorum deliberativo allorché questo fosse basato sul capitale rappresentato.
[7] La sentenza riporta proprio sul punto una parte della motivazione della Cass. civ., Sez. I, 2/10/2018, n. 23950, cit.
[8] Così anche Cass. civ., Sez. I, 2/10/2018, n. 23950, cit.
[9] Così F. Carbonetti, L’acquisto di azioni proprie, Milano, Giuffrè, 1988, 138 ss.; G. Partesotti, Le operazioni sulle azioni, in Trattato Colombo-Portale, 2*, Torino, 1991; S. Cacchi Pessani, Le azioni proprie nei presupposti delle offerte pubbliche di acquisto obbligatorie, in Riv. soc., 2004; V. Salafia, Computo delle azioni proprie ai fini del quorum deliberativo di assemblea di s.p.a., in Società, 2004, 1411. In giurisprudenza per tutte si v. Civ., Sez. I, 16 ottobre 2013, nn. 23540 e 23541, cit.
[10] R. Nobili, Osservazioni in tema di azioni proprie, in riv. soc., 1987, 760; R. Nobili, Osservazioni in tema di azioni proprie, in riv. soc., 1987, 760; C. Ungari Trasatti, Rinvio dell’assemblea da parte della minoranza e controllo nel merito del presidente, azioni proprie e quorum deliberativi particolari, normativa transitoria e maggioranze agevolate (nota a Trib. Roma 14/06/2005), in Riv. not., 2006, 1584; M. Bione, Commento sub art. 2357 ter, in Niccolini – Stagno d’Alcontres, Società di capitali. Commentario, Napoli, Jovene Editore, 2004, 372 ss.
[11] Riassumono il dibattito A. Ruotolo – D. Boggiali, Azioni proprie e quorum assembleari (Cass. 2 ottobre 20198, n. 23950), Ufficio Studi – Consiglio Nazionale del Notariato.
[12] M. Zappalà, La nuova disciplina dell’acquisto di azioni proprie per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in Società, 2011, 1303; E. E. Bonavera, Computo delle azioni proprie ai fini del calcolo delle maggioranze in assemblea, in Società, 2012; N. De Luca, La società azionista e il mercato dei propri titoli, Torino, Giappichelli, 2012, 1 ss.; N. De Luca, Conferimenti in natura senza stima e azioni proprie: re “melius” repensa?, in Riv. dir. comm.,2012, 355; A. Bertolotti, Azioni proprie, quorum assembleari alla luce del (nuovo) comma 2 dell’art. 2357 ter c.c., in Giur. it., 2013, 84; P. Dal Soglio, Azioni proprie e quorum assembleari prima e dopo il d. lgs. 29 novembre 2010, n. 224, in Giur. Comm., 2013, II, 322; E. Ginevra, Azioni proprie, quorum assembleari e tipologia societaria, in BBTC, 2013, 316; C. Ungari Trasatti, Il computo delle azioni proprie nei quorum costitutivi e deliberativi, nota a Trib. Roma, 19 luglio 2012, in Riv. not., 2013, II, 166; N. De Luca, Autopartecipazione ed equilibri organizzativi. Il computo delle azioni proprie nei quorum assembleari, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber Amicorum Pietro Abbadessa, 1, diretto da M. Campobasso – V. Cariello – V. Di Cataldo – F. Guerrera – A. Sciarrone Alibrandi, Torino, Wolters Kluwer Italia, 2014; C. E. Papadimitriu, Questioni aperte in materia di azioni proprie, Riv. dott. comm., 2014, 567; V. Cirota – E. Salvadori, Diritto di intervento e diritto di voto nella società per azioni e nella società a responsabilità limitata, in Notariato, 2018, 607; L. Boggio, Il possesso di azioni proprie (e della controllante) tra limiti e quorum nel quadro UE e costituzionale, in Giur. it., 2019, 108; E. E. Bonavera, Il computo delle azioni proprie con voto sospeso ai fini del quorum deliberativo, in Società, 2019, 277; N. De Luca, Operazioni sulle proprie azioni, in Trattato delle Società, Tomo II, diretto da V. Donativi, 789 ss. In giurisprudenza si vedano anche, oltre alla richiamata Cass. civ., Sez. I, 2/10/2018, n. 23950, cit., Tribunale di Milano, Sez. VIII, 28/04/2012, in Società, 2012, 1278, e Tribunale di Milano, Sez. VIII, 09/072012, in Giur. it., 2012, 81.
[13] In questo senso Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, H.I.26 – Limite all’acquisto e al mantenimento di azioni proprie da parte delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in www.notaitriveneto.it.
[14] Così M. Notari, Il computo delle azioni proprie ai fini del calcolo dei quorum assembleari, in Riv. dir. soc., 2015, 520. In tal senso anche F. Carbonetti, Azioni proprie e quorum assembleari, in Società, 2013, 168 e V. Salafia, Storia dell’art. 2357 ter, comma 2, in Società, 2013, 165. In giurisprudenza si v. Tribunale di Roma, 19/o7)2012, in BBTC, 2013, II, 305.
L’articolo Computo delle azioni proprie nel quorum deliberativo delle S.p.A. chiuse: commento a una recente sentenza di Cassazione sembra essere il primo su Federnotizie.