I contributi notarili fuori dalla base imponibile Irpef
A cura di Gabriele Fanti
Abstract: Il D.Lgs. 192/2024 è intervenuto sulle modalità di determinazione della base imponibile IRPEF per i redditi di lavoro autonomo, escludendo dalla base imponibile le spese sostenute dal professionista nell’esecuzione, così determinando uno scostamento con quanto previsto dall’art. 15 DPR 633/72 che esenta dalla base imponibile Iva soltanto le spese sostenuto in nome e per conto del cliente.
La norma ha notevoli impatti sull’attività notarile consentendo l’esclusione dalla base imponibile Irpef (e pertanto una sua sterilizzazione, per esempio, a fini della determinazione dei ricavi complessivi oppure dell’applicazione della ritenuta) della più ricorrente voce di spesa fissa dell’attività notarile: i contributi notarili.
La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 66/2020 infatti, ponendo fine a un’annosa vicenda, ha definitivamente riconosciuto a detta voce natura fiscalmente non contributiva bensì di spesa inerente la produzione del reddito. Ciò in ragione del peculiare sistema contributivo notarile che non prevede una contribuzione commisurata all’effettivo reddito percepito né un trattamento previdenziale e assistenziale commisurato a quanto versato.
I contributi notarili, infatti, rappresentano una voce di spesa predeterminata, dovuta anche in caso di prestazione gratuita, gravante sull’attività notarile in generale e volta a consentire il sostentamento della Cassa Nazionale del Notariato (ma anche del Consiglio Nazionale del Notariato e dei singoli Consigli Notarili Distrettuali) ponendo le esigenze di approvvigionamento di detti organi sulla collettività dei professionisti in modo insensibile alla posizione di ciascuno di essi.
Proprio tale natura “sostanziale” di costo sostenuto dalla collettività per il finanziamento delle Istituzioni notarili essenziali per l’esercizio delle funzioni notarili, oggi escluso anche dalla base imponibile Irpef ex art. 54 Tuir, tuttavia, consente una speculazione ulteriore, suggerendo l’accostamento della spesa in oggetto a quella particolare specie di Tributo denominata “contributo”. Tale conclusione, se accolta, consentirebbe l’esclusione anche dalla base imponibile Iva.
1. Introduzione
L’art. 5 del D.Lgs. 13 dicembre 2024 n. 192, ha introdotto un’importante novità relativa alla modalità di determinazione dei redditi di lavoro autonomo ai fini IRPEF. La norma prevede che a decorrere dal periodo di imposta in corso (anno 2025) non concorreranno a formare il reddito le somme percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente. Al fine di poter indagare l’impatto che tale novella può avere sulla professione notarile è tuttavia opportuno procedere prima a una rapida analisi della disciplina delle spese sostenute per conto del cliente dettata in ambito Iva ed Irpef.
2. L’Art. 15 D.P.R. 633/1972 (Spese fuori dalla base imponibile IVA)
L’art. 15 del D.p.r. 633/1972 prevede l’esclusione dalla base imponibile Iva delle “le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate”.
L’esclusione dalla base imponibile è evidentemente fondata sul fatto che nessun valore aggiunto rilevante vi è nella prestazione del commissionario che si limiti a eseguire il pagamento di un debito gravante a carico del committente.
I requisiti per l’esclusione dalla base imponibile dell’Iva sono due: che si tratti di spese sostenute “in nome e per conto” del cliente e che si tratti di spese “regolarmente documentate” (requisiti posti anche dalla normativa comunitaria, cfr. articolo 79, par. 1, lett. c, della Direttiva n. 2006/112/CE).
Sotto il primo profilo rientrano innanzitutto tra le spese qualificabili come sostenute “in nome” del cliente e non soltanto “per conto” del cliente, tutti i pagamenti certificati da un documento fiscale direttamente intestato al cliente, ossia una fattura, una ricevuta fiscale, o un documento di trasporto a suo nome (risoluzione del 31 luglio 2003, n. 164/E).
Tali ipotesi, tuttavia, non esauriscono il novero delle spese sostenute in nome e per conto del cliente escluse pertanto dalla base imponibile.
Sono, infatti, da ritenere tali tutte le spese che, ancorché non certificate da un documento fiscale intestato direttamente al committente, siano per legge poste al carico del committente.
È, per esempio, il caso della tassa d’archivio in relazione alla quale la legge n. 1158/54 così si esprime: “le parti, a mezzo del notaio, devono corrispondere all’archivio notarile del distretto una tassa del 10% dell’onorario stabilito per l’originale di ogni atto fra vivi soggetto a registrazione e ogni atto di ultima volontà. L’importo della tassa prevista nel comma precedente è versato all’archivio del notaio al momento della presentazione degli estratti mensili dei repertori».
È pertanto la stessa Legge che stabilisce che detto costo è a carico delle parti e non del professionista il quale costituisce solo il tramite attraverso il quale il pagamento è effettuato.
L’esistenza di una previsione legale che pone il costo a carico del cliente e non del committente giustifica anche l’esenzione dalla base imponibile Iva delle spese per le visure ipotecarie. Tali spese, infatti, costituiscono l’oggetto stesso dell’incarico conferito al professionista e non sono meramente occasionate da esso e pertanto, ai sensi dell’art. 2234 c.c.: “Il cliente, salvo diversa pattuizione, deve anticipare al prestatore d’opera le spese occorrenti al compimento dell’opera e corrispondere, secondo gli usi, gli acconti sul compenso”.
La differenza tra oneri oggetto dell’incarico e oneri occasionati da esso giustifica la conclusione raggiunta dall’agenzia delle entrate con la circolare n. 84/E del 28 settembre 2001 che consente espressamente l’indicazione tra le spese a carico del cliente delle visure (purché le stesse coerentemente non siano state altresì portate in deduzione dal reddito e purché siano analiticamente documentabili) ma non delle spese per i “visuristi” (nonché oggi quelle dovute a Notartel S.p.A.) trattandosi di spese “sostenute nell’esercizio proprio dell’attività professionale” ossia di spese attinenti alle modalità con cui il professionista adempie all’incarico ricevuto e non inerenti all’oggetto specifico dell’incarico.
Ma sono escluse dalla base imponibile ex art. 15 dpr 633/1972 non soltanto le spese poste a carico del contribuente dalla legge ma anche quelle che per contratto con il professionista sono a suo carico. E’ il caso, per esempio, delle spese di spedizione (cfr. risoluzione ministeriale 364698 dell’11 marzo 1977) ma più in generale di ogni spesa dovuta in forza di una previsione contrattuale che determini la “diretta insorgenza nella sfera patrimoniale del committente dell’onere di cui trattasi (cfr. Ris. 17/04/1996 n. 59 – Min. Finanze – Dip. Entrate Aff. Giuridici Serv. III).
L’estensione del concetto di spesa sostenuta in nome e per conto del cliente a tutte le spese poste a suo carico contrattualmente, purché si tratti di spese costituenti l’oggetto proprio dell’incarico e non meramente occasionate da esso, indipendentemente dall’esistenza di un documento contabile intestato al committente e quindi della formale “spendita del nome” del committente, purché ciò sia specificamente indicato nel contratto professionale sottoscritto al momento del conferimento dell’incarico, trova un forte sostegno letterale nel tenore dell’art. 13 d.p.r. 633/1972 in virtù del quale “La base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente…“.
Per meglio comprendere: saranno spese accollate al committente e quindi rientranti nella base imponibile Iva ex art. 13, le spese per vitto e alloggio sostenute dal commissionario in occasione dell’esecuzione dell’incarico e contrattualmente poste a carico del committente (in quanto trattasi di oneri verso terzi accollati al committente). Viceversa, saranno escluse dalla base imponibile ex art. 15 (ma soltanto se così contrattualmente espressamente previsto ex art. 13) le spese di spedizione della merce sostenute dal cedente ma contrattualmente poste a carico del cessionario, poiché oggetto della prestazione del cedente è proprio la consegna del bene al domicilio del cessionario e pertanto la spesa per la spedizione costituisce l’oggetto stesso dell’incarico.
3. L’Art. 54 D.p.r. 917/1986 (Le spese e la base imponibile IRPEF)
Prima della recente riforma l’art. 54 del Testo Unico dell’imposta sui redditi così disciplinava le modalità di determinazione della base imponibile del reddito di lavoro autonomo:
“1. Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde“.
La disposizione proseguiva poi con ulteriori commi contenenti norme che esulano dall’odierno ambito di indagine, oggi trasfusi da riforma, con poche modifiche, negli articoli da 54-bis a 54-octies.
L’esclusione dalla base imponibile dell’Irpef pertanto era riservata, come per l’Iva, esclusivamente alle spese sostenute non solo per conto del cliente bensì anche in suo nome poiché tali somme sfuggivano dal concetto stesso di compenso/ricavo. Viceversa, gli esborsi sostenuti nell’esecuzione dell’incarico, e pertanto per conto del cliente ma dal professionista in suo nome, concorrevano al formare la base imponibile ma rappresentavano al tempo stesso una spesa deducibile.
L’art. 5 del D.Lgs. 13 dicembre 2024, n. 192 è intervenuto rimodellando la disciplina del reddito da lavoro autonomo, introducendo nell’art. 54 TUIR un secondo comma che avvicina la disciplina della determinazione della base imponibile Irpef per il reddito di lavoro autonomo all’Art. 15 DPR. 633/72 seppure con importanti differenze.
Il nuovo secondo comma dell’articolo 54 TUIR recita oggi così:
“2. Non concorrono a formare il reddito le somme percepite a titolo di:
- contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde;
- rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente;
- riaddebito ad altri soggetti delle spese sostenute per l’uso comune degli immobili utilizzati, anche promiscuamente, per l’esercizio dell’attività e per i servizi a essi connessi.”
Pertanto, la nuova disciplina esclude dalla base imponibile Irpef le spese sostenute dal professionista nell’esecuzione di un incarico (pertanto anche le spese che non costituiscono oggetto dell’incarico ma che sono soltanto a esso inerenti) purché analiticamente addebitate al committente.
L’esclusione dalla base imponibile Irpef (con conseguente tuttavia speculare indeducibilità del costo) non ha conseguenze di poco conto dato che comporta da un lato che tali somme non saranno più soggette a ritenute d’acconto e dall’altro che si ridurrà l’importo complessivo dei ricavi del professionista con tutto ciò che ne deriva per l’applicazione di tutte quelle norme che prendono a riferimento non il reddito netto ma i ricavi lordi.
Per esempio, a tal riguardo, può citarsi l’art. articolo 7-quater, Dl n. 155/2024, che consentiva alle sole “persone fisiche titolari di partita IVA che nel periodo d’imposta precedente dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore a 170.000 euro” di dilazionare il pagamento del secondo acconto Irpef.
In ambito notarile la voce di spesa su cui la riforma ha maggior impatto è sicuramente quella dei contributi alla Cassa Nazionale del Notariato, nonché dei contributi al CNN e della tassa collegiale, vediamo perché.
4. I contributi notarili
Senza necessità di ripercorrere la travagliata ed annosa vicenda dei contributi notarili (deducibili per l’agenzia delle entrate solo dal reddito complessivo del professionista quali contributi previdenziali a natura “soggettiva” mentre dalla Cassazione deducibile dallo stesso reddito professionale in quanto mera spesa inerente l’espletamento dell’incarico) basta oggi richiamare le conclusioni a cui è giunta la risoluzione n 66 del 12 ottobre 2020.
Con tale documento di prassi, l’agenzia delle Entrate, preso atto del consolidato orientamento sfavorevole della giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la deducibilità ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, ai sensi dell’articolo 54, comma 1, del TUIR, dei contributi previdenziali e assistenziali obbligatori per legge versati dai notai alla Cassa Nazionale del Notariato.
Ciò in ragione della “peculiarità dei contributi dovuti dai notai alla Cassa Nazionale del Notariato, che sono liquidati sul totale complessivo degli onorari repertoriali di ciascun mese e versati contemporaneamente alla presentazione degli estratti mensili dei repertori, indipendentemente dai compensi percepiti e fatturati” (cfr. risoluzione 66/2020).
In altre parole, proprio dalla circostanza che i contributi notarili non sono parametrati ai compensi percepiti e che il trattamento pensionistico del notaio non è correlato ai contributi versati, l’agenzia delle entrate fa discendere il diverso trattamento fiscale dei contributi notarili (unico nel suo genere) rispetto alle altre categorie professionali consentendo di qualificare tali contributi alla stregua di mere spese occorrenti per la produzione del reddito di lavoro autonomo.
Ebbene, così qualificati fiscalmente i “contributi” notarili non come contributi in senso stretto (deducibili dal reddito complessivo) ma come costi sostenuti (Cfr. Cass. 321 del 10 gennaio 2018 e n. 18395 del 4 settembre 2020) non può a essi negarsi la natura di spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico che se addebitate analiticamente in capo al committente possono essere sottratte alla base imponibile Irpef ai sensi della lettera B del nuovo art. 54 dpr. 917/1986.
5. Conclusioni
La natura di costo inerente all’esecuzione dell’incarico dei contributi notarili consente oggi certamente la loro esclusione dalla base imponibile Irpef ai sensi dell’art. 54 TUIR (sempre che siano analiticamente esposti in fattura).
Tuttavia, non è da escludere la possibilità di un’ulteriore futura evoluzione. Se i contributi notarili, infatti, rappresentano un costo fisso, predeterminato, e certo per chi intende usufruire di servizi notarili, se gli stessi indubbiamente sono essenziali per svolgimento dell’incarico, e se gli stessi possono essere sottratti dalla base imponibile Irpef ai sensi della nuova norma, è possibile anche che tali costi, ancorché non per legge a carico del committente (essendo costi a carico del commissionario) siano posti contrattualmente a carico del cliente e pertanto esclusi altresì dalla base imponibile IVA ex art. 15 D.P.R. 633/1972?
In altre partole si tratta di costi soltanto meramente occasionati a carico del professionista dall’esecuzione dell’incarico ricevuto ovvero costituiscono essi stessi l’oggetto dell’incarico?
Sono parificabili al versamento delle imposte trattandosi di costi certi ed essenziali al funzionamento del sistema o meglio dell’ordinamento?
Non sembrano esserci ragioni per cui, sulla base di un analitico e dettagliato contratto di conferimento di incarico professionale, ciò non possa avvenire se si pone mente al fatto che detti contributi altro non sono che il mezzo affinché la categoria notarile possa persistere e pertanto la prestazione nei confronti del cliente possa essere erogata. In altre parole, poiché i contributi in oggetto non rappresentano altro che la contribuzione “mediata” del cliente al mantenimento dell’efficienza delle istituzioni notarili previste dalla Legge (Consiglio Nazionale del Notariato, Cassa Nazionale del Notariato, Consiglio Notarile distrettuale), e pertanto mezzo indispensabile perché le prestazioni notarili siano effettuate, tali versamenti avrebbero natura sostanziale, ancorché non formale, di tributi (e specificamente di “contributi in senso pubblicistico”[1](1))e come tali detti oneri sarebbero esclusi (o escludibili contrattualmente) dalla base imponibile.
Vieppiù tale esclusione potrebbe ritenersi sussistente anche in assenza di espresso accordo contrattuale in tal senso e anche qualora non si aderisse alla tesi sopra esposta per cui essi avrebbero natura di Contributi in senso tributaristico. Ciò poiché, trattandosi di costi certi e predeterminabili sostenuti dal professionista per l’espletamento dell’incarico, grava indubbiamente a carico del cliente, ex art. 2234 c.c., e quindi in forza di espressa previsione di legge, l’obbligo di rifonderli al professionista ab origine.
Pertanto, anche se formalmente e nominalmente a carico del Notaio, tali costi sarebbero caratterizzati del requisito della “diretta insorgenza nella sfera patrimoniale del committente dell’onere” in forza della citata norma sul mandato professionale.
Quanto sopra, giova ripeterlo, è possibile solo in considerazione della peculiare natura del sistema contributivo notarile che non correla l’importo dei versamenti dovuti agli onorari effettivi riscossi né determina il trattamento pensionistico riservato al singolo parametrandolo a quanto da lui versato (circostanza che altrimenti soggettivizzerebbe il costo riconducendolo al primo comma dell’articolo 54 TUIR e pertanto impedendone l’esclusione dal reddito in quanto si tratterebbe di contributi previdenziali e assistenziali non espressamente stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde) bensì è tale da consentire di qualificare il sistema di approvvigionamento della Cassa Nazionale del Notariato (e delle altre istituzioni notarili) un costo correlato allo svolgimento dell’attività notarile, ed in particolare alla stipula di un atto pubblico o all’autentica di una scrittura privata, equiparabile più a un tributo necessario per l’espletamento dell’incarico che a un accantonamento pensionistico.
Note
[1] Riscostruiti i contributi notarili come forma di Tributo, ed in particolare di “Contributo”, il loro presupposto di imposta sarebbe costituito dall’arricchimento che il novero dei cittadini che si rivolge al notaio ottiene dall’avere un ordinamento notarile efficiente e solido. Si ricorda che dal punto di vista tributario il “Contributo” è una particolare specie di Tributo, posta in via intermedia tra la tassa e l’imposta, condividendo con la prima la particolarità di essere sostenuto soltanto dai soggetti che si avvantaggiano di alcune specifiche prestazioni e con la seconda la natura di compartecipazione a una spese avente rilievo pubblico e finalizzata a finanziare un servizio posto a benessere della comunità.
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