Agevolazione prima casa: irrevocabile solo se già definito il rapporto tributario
a cura di Gabriele Fanti
1. Premessa
La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 24420, sez. V dell’11 settembre 2024, la quale ammette la rinuncia all’agevolazione “prima Casa” per il contribuente che si sia impegnato in seno al rogito a trasferire la propria residenza nel Comune ove è situato l’immobile acquistato entro 18 mesi e non intenda più onorare tale impegno (e contestualmente la nega in ipotesi di agevolazione già definita), offre lo spunto per ripercorrere le condizioni e i limiti che il nostro ordinamento tributario pone al contribuente che voglia “ritrattare” la propria scelta di avvalersi di un’agevolazione tributaria per un acquisto immobiliare.
2. I precedenti
Invero, nella prassi, non è infrequente il caso di un soggetto che, essendosi avvalso dell’agevolazione prima casa per un primo acquisto, e accingendosi a un secondo acquisto ben più oneroso del primo, troverebbe vantaggio nel revocare l’agevolazione richiesta per il primo rogito (versando le maggiori imposte che sarebbero state dovute per esso in assenza di agevolazione) al fine di poter utilizzare l’agevolazione per il nuovo acquisto.
La Corte di Cassazione, con una prima pronuncia già nel 2000 (Cassazione civile sez. trib., 28/06/2000, n.8784), ha negato tale possibilità al contribuente stabilendo che la richiesta per l’applicazione dell’agevolazione per la prima casa “una volta avanzata, si rende di per sé stessa come non revocabile“.
A tale Conclusione giunge anche l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 105/E del 31 ottobre 2011, in risposta a un interpello presentato da un contribuente intenzionato a revocare la richiesta agevolazione non potendo, per ragioni personali, adempiere all’obbligo di trasferire la propria residenza entro 18 mesi. L’amministrazione finanziaria osserva che: “nessuna disposizione normativa prevede la possibilità di rinunciare su base volontaria alle agevolazioni “prima casa”.
In linea generale, il rapporto giuridico-tributario che sorge a seguito della dichiarazione resa in atto dal soggetto acquirente e avente a oggetto il possesso dei requisiti prescritti dalla norma di cui alla Nota II-bis) deve ritenersi perfezionato laddove dette condizioni risultino effettivamente sussistenti.
Pertanto, conseguita l’agevolazione “prima casa” questa non sarà più revocabile dalla parte (v., tra le altre, Corte di Cassazione, sentenza del 28 giugno 2000 n. 8784)”.
Tuttavia, prosegue la risoluzione, “diverse considerazioni possono svolgersi, a parere della scrivente, laddove la dichiarazione resa in atto dal contribuente non attenga alla sussistenza delle condizioni necessarie per fruire dei benefici (impossidenza di una abitazione sita nel medesimo comune dell’immobile che si intende acquistare, novità nella fruizione dell’agevolazione e residenza nel comune in cui è sito l’immobile) ma sia, invece, riferita all’impegno che il contribuente assume di trasferire la propria residenza nel termine di diciotto mesi dalla data dell’atto.”
In tale ipotesi, infatti, ci si troverebbe di fronte a una fattispecie a formazione progressiva e il diritto all’agevolazione non sarebbe acquisito finquando il contribuente non adempia all’obbligo di trasferire la propria residenza. Stando così le cose il rapporto tributario non può ritenersi esaurito con la stipula dell’acquisto e la dichiarazione resa in atto ma è ancora aperto e pendente fino a ché non saranno integrati tutti i presupposti normativi.
In altre parole, secondo l’amministrazione finanziaria, poiché il godimento dell’agevolazione dipende “da un comportamento che il contribuente dovrà porre in essere in un momento successivo all’atto“, la richiesta della tassazione agevolata potrà essere revocata in ogni momento dal contribuente tramite “una apposita istanza all’ufficio presso il quale l’atto è stato registrato, con la quale revoca la dichiarazione d’intenti espressa in atto di volere trasferire la propria residenza nel comune nel termine di diciotto mesi dall’acquisto e richiede la riliquidazione dell’imposta assolta in sede di registrazione“.
Poiché il contribuente non è incorso in alcun mendacio l’ufficio non applicherà sanzioni ma riscuoterà solo la maggior imposta (aumentata degli interessi legali per il ritardato pagamento) che sarebbe scaturita dall’atto in assenza dell’agevolazione prima casa.
Viceversa, prosegue l’Agenzia delle entrate, successivamente allo spirare del termine di 18 mesi non sarà più possibile per il contribuente revocare l’agevolazione richiesta. Ciò deriva del fatto che, spirato detto termine, risultano ormai definitivamente realizzati i presupposti per la decadenza del contribuente dall’agevolazione goduta con obbligo dell’ufficio di procedere a irrogare la sanzione prevista. Resta salva, tuttavia, la facoltà del contribuente di ricorrere all’istituto del ravvedimento operoso, a condizione che si attivi per il versamento prima dell’intervenuto accertamento della decadanza da parte dell’ufficio.
Le medesime considerazione giuridiche sono poi state estese dall’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 112/E del 27 dicembre 2012, per la diversa ma similare ipotesi di rivendita dell’immobile agevolato entro il quinquennio dall’acquisto con rinuncia al riacquisto entro un anno dalla vendita.
Secondo l’amministrazione Finanziaria, anche in tale ipotesi “la mancata decadenza del beneficio di cui all’ultimo periodo del comma 4, dipende da un comportamento che il contribuente dovrà porre in essere in un momento successivo all’atto.
Proprio in considerazione della peculiarità di tale condizione, il cui verificarsi dipende da un comportamento del contribuente, si ritiene che laddove sia ancora pendente il termine dei dodici mesi per l’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale, il soggetto che si trovi nelle condizioni di non poter ovvero di non voler rispettare l’impegno assunto, anche per motivi personali, può comunicare il proprio intendimento all’Amministrazione finanziaria.
A tal fine, il contribuente che non intende adempiere all’impegno di procedere all’acquisto di un nuovo immobile è tenuto a presentare una apposita istanza all’ufficio presso il quale è stato registrato l’atto di vendita dell’immobile acquistato con agevolazione “prima casa”; con tale dichiarazione il soggetto interessato manifesta espressamente la sua intenzione di non voler procedere all’acquisto di un nuovo immobile entro i dodici mesi e richiede la riliquidazione dell’imposta assolta in sede di registrazione“
3. Le ulteriori applicazioni nell’ambito dell’agevolazione prima casa
Se, come visto, la possibilità di rinunciare all’agevolazione goduta è da ammettersi nelle ipotesi in cui il perfezionamento del rapporto tributario resta pendente fino a una futura condotta del contribuente, è possibile ipotizzare l’estensione di detta facoltà a numerose ulteriori fattispecie non espressamente contemplate dai documenti di prassi e dalla giurisprudenza.
E’ il caso, per esempio, del contribuente che abbia acquistato un’abitazione impegnandosi ad alienare l’immobile preposseduto, acquistato usufruendo dell’agevolazione prima casa, entro un anno (ex nota 4-bis tf. pt. I DPR 131/86). E’ bene chiarire che, in tale ipotesi, il contribuente potrà indubbiamente rinunciare all’agevolazione richiesta per il secondo acquisto ma non all’agevolazione richiesta per il primo acquisto, trattandosi per questo (salvo quanto infra precisato per gli acquisti effettuati da meno di cinque anni) di rapporto tributario ormai definito.
Ulteriori fattispecie possono poi essere rinvenute nel contribuente che abbia chiesto l’agevolazione prima casa per l’acquisto di un fabbricato allo stato rustico impegnandosi a completare la sua edificazione entro tre anni dall’acquisto (circolare dell’Agenzia delle Entrate n 38/E del 12 agosto 2005). Anche in tale ipotesi dovrà riconoscersi al contribuente che non possa o non voglia completare in tale termine l’edificazione la facoltà di rinunciare all’agevolazione richiesta versando la differenza di imposta e i relativi interessi. Parimenti nel caso in cui si sia obbligato al cambio di destinazione d’uso dell’immobile.
Le medesime conclusioni possono poi essere raggiunte nel caso in cui il contribuente si sia impegnato a fondere l’unità immobiliare acquistata con l’adiacente abitazione preposseduta e acquistata usufruendo dell’agevolazione prima casa, oppure nel caso di acquisto congiunto di più unità immobiliari destinate a essere catastalmente fuse tra di loro e costituire un’unica abitazione.
Proprio queste ultime tre ipotesi (fabbricato allo stato rustico, cambio di destinazione d’uso, e fusione catastale) pongono un ulteriore interrogativo: è possibile per il contribuente rinunciare solo parzialmente all’agevolazione richiesta?
4. La rinuncia parziale
L’esigenza di una rinuncia parziale potrebbe sorgere nel caso, per esempio, di un acquirente che riesca a portare a completamento solo una porzione dell’immobile, lasciando una restante porzione allo stato rustico, ovvero ancora di chi abbia acquistato più unità immobiliari impegnandosi a fonderle tra loro ma poi abbia desistito dal suo intento e voglia comunque preservare l’agevolazione solo per una di esse.
La risposta al quesito può apparire scontata, giacché come vi è la possibilità di una decadenza parziale dall’agevolazione prima casa (per esempio in caso di vendita di una porzione soltanto del bene o di un diritto reale minore) non vi sono motivi per non ammettere una rinuncia parziale.
Tuttavia, sul piano pratico, la questione diventa più complessa. Se infatti nell’atto di acquisto non vi sono indicazioni fiscali idonee a consentire un’esatta riliquidazione dell’imposta nel caso di rinuncia parziale all’agevolazione, come potrà procedere l’ufficio a ricalcolare l’imposta dovuta? In particolare la principale difficoltà sarebbe rinvenibile nell’incertezza nell’individuazione della base imponibile.
Nel caso di immobile acquistato allo stato rustico, per esempio, sarebbe necessario determinare quale quota dell’unica originaria base imponibile, data dal complessivo prezzo di acquisto del fabbricato, sarebbe da assoggettare all’ordinaria tassazione e quale quota, viceversa, possa conservare la tassazione agevolata.
A tal fine può forse ipotizzarsi un calcolo (certo non agevole) che, attraverso la suddivisione del complessivo prezzo di acquisto per la complessiva superficie del fabbricato, individui un prezzo di acquisto al metro quadrato che rapportato alla superficie rimasta incompleta determini la base imponibile a cui applicare l’aliquota al 9% (e per sottrazione quella da tassare al 2%).
Tuttavia è chiaro che nell’atto di acquisto potrà al massimo emergere la superficie complessiva del fabbricato allo stato rustico (e anche detto dato potrà difettare) ma certamente non sarà al suo interno individuabile il dato della superficie rimasta allo stato rustico dopo il parziale completamento dell’edificio. Non può esservi allora altra soluzione che quella che sia il contribuente stesso a indicare tali dati all’ufficio con la medesima istanza con cui richiederà la rinuncia parziale all’agevolazione. E’ poi certamente in facoltà dell’ufficio (ed è forse opportuno per il contribuente anticipare tale richiesta) allegare all’istanza una perizia tecnica che attesti nel dettaglio quanto dichiarato. Resta ovviamente impregiudicata la facoltà dell’ufficio di procedere a rettificare l’imposta qualora ravvisi delle dichiarazioni non corrispondenti alla realtà[1]
Viceversa, nel caso di acquisto congiunto di più unità immobiliari, la rinuncia parziale pone l’esigenza di individuare l’unità immobiliare (o le unità) per la quale il contribuente desidera mantenere il regime fiscale di favore. Di primo acchito potrebbe ritenersi che l’agenzia delle Entrate, tenuta ad agire secondo i principi della collaborazione e della buona fede (ex art. 10, comma 1, dlgs. 212/2020) sia tenuta a riliquidare l’imposta nel senso meno gravoso per il contribuente, applicando cioè l’agevolazione della prima casa all’unità immobiliare da cui scaturirebbe la maggiore imposta. Tuttavia, la scelta del contribuente potrebbe essere proprio motivata dalla sopraggiunta intenzione di alienare a terzi proprio tale unità immobiliare e pertanto tale iniziativa dell’amministrazione finanziaria, ancorché apparentemente a vantaggio del contribuente, si rivelerebbe per lui pregiudizievole. Anche in tale ipotesi, pertanto, l’amministrazione finanziaria altro non potrebbe fare che respingere l’istanza (rectius: chiederne l’integrazione) ove il contribuente non abbia al suo interno indicato in relazione a quale unità immobiliare intenda mantenere l’agevolazione.
5. L’applicazione del principio ad altre agevolazioni
Nessun ostacolo logico-giuridico può poi porsi all’interprete nell’estendere i principi fin qui acquisiti ad altre agevolazioni oltre alla prima casa.
E’ il caso per esempio dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina che impone l’obbligo all’acquirente non solo di non alienare il fondo ma anche di coltivarlo per i successivi cinque anni. Anche qui si è in presenza di un rapporto tributario non definitivo e di un futuro comportamento del contribuente necessario al perfezionamento della fattispecie. Non vi sarebbero ragioni ostative, quindi, per impedire al contribuente che intenda cessare la coltivazione del terreno (o addirittura venderlo prima del quinquennio) di rinunciare (anche parzialmente) all’agevolazione goduta in sede di acquisto.
Analoga conclusione potrà poi raggiungersi per l’ipotesi di richiesta di agevolazione per la piccola proprietà contadina da parte di soggetto di età inferiore a 40 anni che si impegni a ottenere entro due anni l’iscrizione nell’apposita gestione previdenziale e assistenziale prevista per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali.
Un’altra ipotesi potrebbe poi essere individuata dall’art. 3 comma 4-bis del D.Lgs. 346/1990 che esonera dall’imposta di donazione le donazioni di aziende e partecipazioni sociali a condizione che il donatario si impegni a proseguire l’esercizio dell’attività d’impresa o a detenere il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento.
Infine, un’altra possibile applicazione del principio, potrebbe essere rinvenuta nell’agevolazione (oggi cessata) prevista dall’art. 7 del D.L. 34/2019, così come convertito in L. 25/2019, il quale, al fine di usufruire della tassazione in misura fissa, impegnava l’acquirente a procedere, entro dieci anni dall’acquisto, all’esecuzione sui fabbricati acquistati, degli interventi edilizi previsti dall’articolo 3, comma 1, lettere b), c) e d), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, conformemente alla normativa antisismica e con il conseguimento della classe energetica NZEB, A o B, anche con variazione volumetrica rispetto ai fabbricati preesistenti ove consentita dalle vigenti norme urbanistiche, nonché all’alienazione degli stessi
6. Possibile evoluzione
Enucleato il principio per cui i requisiti essenziali per consentire al contribuente la facoltà di rinunciare all’agevolazione richiesta consistono nella pendenza del rapporto tributario e nella necessità che la sua definizione dipenda da un futuro contegno del contribuente, è possibile esplorarne le ulteriori implicazioni.
Se, come visto, nel caso di vendita dell’immobile agevolato prima del decorso del quinquennio dall’acquisto è offerto al contribuente un lasso di tempo, pari a un anno, di fronte al quale esso si trova nella possibilità di mantenere l’agevolazione, acquistando un ulteriore fabbricato da destinare ad abitazione principale, ovvero rinunciare alla stessa, essendo il rapporto tributario ancora aperto ed essendo esso tenuto a un comportamento futuro, non vi sono ragioni per ritenere una tale facoltà preclusa al contribuente che ha acquistato l’abitazione usufruendo dell’agevolazione prima casa da meno di cinque anni anche in assenza di una vendita della stessa.
Entrambe le ipotesi, infatti, sono accomunate dalla presenza dei requisiti del rapporto tributario ancora pendente e della necessità che il contribuente ponga in essere una determinata condotta futura.
Anche precedentemente alla vendita dell’immobile agevolato, infatti, il rapporto tributario deve certamente ritenersi pendente, altrimenti non si comprenderebbe come un evento successivo alla sua ipotetica conclusione, come la vendita, potrebbe riaprire un rapporto già definito.
Ma anche il secondo requisito, della necessaria condotta futura del contribuente, già ricorre fin da subito in capo al contribuente acquirente di immobile agevolato, indipendentemente dall’alienazione dello stesso. Il mantenimento dell’agevolazione, infatti, postula un “facere” del contribuente, o meglio un “non facere”, ossia l’obbligo di astenersi dalla vendita dell’immobile (salvo riacquisto). Pertanto anche in tal caso il rapporto tributario non può dirsi esaurito finché l’amministrazione non abbia verificato la mancata vendita nel quinquennio.
Se si accolgono tali considerazioni si può concludere nel senso che resterebbe certamente preclusa al contribuente la facoltà di rinunciare all’agevolazione prima casa soltanto nei casi in cui l’immobile agevolato sia stato acquistato da più di cinque anni. In tale ipotesi, infatti, il rapporto tributario è indiscutibilmente concluso. Infatti, non essendo più possibile una decadenza dall’agevolazione richiesta, non sarebbe più possibile una riliquidazione dell’atto da parte dell’agenzia delle entrate, né permarrebbero in capo al contribuente specifici obblighi di condotta.
Note
[1] Ad avviso di chi scrive il termine triennale di decadenza per l’azione recuperatrice dell’Agenzia delle Entrate, in tale ipotesi, decorrerebbe non dalla data di registrazione dell’atto, bensì dalla data di presentazione dell’istanza di rinuncia all’agevolazione ai sensi dell’art. 76 lett. B) TUIR. Alla maggior imposta così liquidata, infatti, può riconoscersi natura di imposta complementare (cfr. art. 42 TUIR) e all’istanza di riliquidazione presentata dal contribuente può riconoscersi la stessa valenza della denuncia di eventi successivi che diano luogo a una ulteriore liquidazione di imposta ex art. 19 TUIR.
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