Il big bang dei passaggi generazionali
Qualche giorno fa, più precisamente il 26 settembre, con l’articolo “Più vetrina per la competenza dei notai”, la redazione di Federnotizie richiamava l’attenzione dei notai sull’articolo “Passaggi generazionali: l’alibi (debole) del fisco” a firma di Ferruccio de Bortoli, pubblicato sul supplemento Economia del Corriere della Sera di lunedì 23 settembre.
L’ex direttore del Corriere, nel suo intervento, richiama l’attenzione dei lettori sul colossale evento di liquidità che caratterizzerà l’economia nei prossimi 15 anni.
Oggi la gran parte della ricchezza del pianeta, e in particolare quella dei Paesi sviluppati a bassa crescita demografica, è concentrata nelle mani dei cosiddetti boomers (nati tra gli anni 50 e gli anni 60) ed è destinata a passare tra non molto tempo alle generazioni più giovani, ridistribuendosi anche in maniera più equa tra i due sessi.
Nel mondo si prevede il passaggio per successione di circa 90 mila miliardi di dollari nel prossimo ventennio.
In Italia le stime prevedono che nei prossimi 15 anni vi sarà un passaggio generazionale per circa duemila miliardi, equivalenti, più o meno, a due terzi del debito pubblico.
Stiamo parlando di una vera e propria rivoluzione in un settore, quello del diritto di famiglia e delle successioni, in cui il Notariato è direttamente e intensamente coinvolto e che richiede attente riflessioni.
Partiamo dal fisco per premettere che affronteremo il tema in modo pilatesco.
Non è certo compito del Notariato come categoria (ciascuno di noi avrà sicuramente le sue convinzioni) entrare nello scottante dibattito sull’ammontare dell’imposta di successione.
Molto semplicisticamente, fatto 100 il fabbisogno dello Stato, sarà la politica a decidere quale percentuale di detto fabbisogno debba pervenire da chi fa (imposta sui redditi), da chi ha (imposta patrimoniale), da chi consuma (IVA) o da chi eredita (imposta di successione). Ma chi consiglia le famiglie nell’organizzazione dei passaggi generazionali non può ignorare che chi governa un Paese dall’alto debito pubblico e dall’alta tassazione sul lavoro, possa essere invogliato, in un prossimo futuro, a trarre risorse da un così imponente trasferimento di ricchezza quale quello di cui si sta trattando, adeguandosi alle scelte di altri Paesi sia dentro sia fuori l’Unione Europea.
Ciò che deve essere, invece, centrale nelle riflessioni della categoria è che le dimensioni di questo fenomeno determineranno una grande crescita della domanda di servizi professionali, non soltanto nella gestione delle pratiche successorie e nella composizione degli interessi familiari post mortem, ma anche nel wealth planning.
È questo un mercato in cui la presenza del Notariato è stata storicamente centrale. Non sfuggirà come anche altri soggetti siano interessati a offrire servizi e consulenze. Società di consulenza, private bankers, family office, fiduciarie sono sempre più presenti nell’organizzazione di seminari, incontri di studio, giornate di formazione. È evidente come questi soggetti abbiano percepito la possibilità di aggiungere profitti alla loro attività principale, entrando così in concorrenza col Notariato.
Il Notariato rischia di, e non deve, farsi superare. La materia delle successioni, nella sua fase preliminare di organizzazione, e nella fase della successiva gestione, è sempre stata considerata territorio notarile.
Le famiglie italiane riconoscono ogni giorno questa nostra competenza. Il legislatore ha recentemente confermato la sua fiducia nel Notariato, attribuendogli la competenza esclusiva a rilasciare il Certificato Successorio Europeo.
Il Notariato tutto (non bisogna qui trincerarsi dietro le solite richieste di fare, di attivarsi, di farsi promotore indirizzate al Consiglio Nazionale con i voti congressuali), in tutte le sue componenti istituzionali o associative, deve rafforzare il suo impegno scientifico sulla materia, rendere efficiente la sua comunicazione, presidiare il dibattito sui media, dialogare con le imprese, far percepire insomma che, se si parla di successioni, si deve parlare col notaio, che il notaio è l’interlocutore privilegiato delle famiglie quando si parla di ciò.
E c’è, infine, l’interlocuzione con il legislatore, perché chi presidia la materia delle successioni sa quanto sia urgente porre mano a una riforma di alcune parti del libro secondo del Codice civile.
La ricchezza che si trasferirà nei prossimi anni in questo colossale passaggio generazionale non può rimanere congelata dai contenziosi ereditari.
Le vicende successorie, di anno in anno, si vanno sempre più complicando. Molti sono coloro che muoiono senza discendenti. Le unioni civili, ancor oggi, purtroppo, lasciano strascichi contenziosi con le famiglie di origine degli uniti. Moltissimi sono coloro che muoiono lasciando discendenti procreati da diversi secondi genitori. Le famiglie allargate sono sempre più spesso fonti di dissidi che di solidarietà. La pratica della pur proibita gestazione per altri apre scenari ancora tutti da esplorare.
Tutto ciò porta e porterà a un esponenziale aumento della conflittualità delle vicende successorie.
Ormai da anni è nella penna del legislatore la modifica dell’articolo 563 c.c. A volte si è sperato in un’abolizione dell’azione di restituzione a volte in una sua modifica. È chiaro che, se si vuole evitare che parte della ricchezza trasferita fatichi a circolare, causando con ciò un danno all’economia la scelta deve essere radicale. L’azione di restituzione non deve più poter essere proposta.
E ciò non è ancora abbastanza.
Nei Paesi di Common Law la legittima non esiste o ha una funzione esclusiva di tutela dei legittimari “deboli”. Nei Paesi di legislazione germanica il diritto dei legittimari è un diritto di credito e non un diritto ai beni caduti in successione. Anche nei Paesi di tradizione giuridica vicina alla nostra la porzione di legittima è assai più ridotta e quindi al testatore è lasciata più libertà di manovra.
Il fondamento della successione legittima è in qualche modo superato.
L’attribuzione necessaria di una quota dell’eredità al coniuge e ai discendenti trova la sua ragione storica in una società ora profondamente trasformata. Fino a qualche decennio fa era doveroso tutelare il lavoro casalingo del coniuge che contribuiva col lavoro domestico alla ricchezza della famiglia. Era doveroso tutelare il lavoro dei figli nei campi, nel piccolo commercio, nella bottega artigiana, figli che aiutavano a tempo pieno e fin da giovanissima età il capofamiglia che tratteneva per sé il reddito del lavoro, lasciando ai figli poco più che vitto e alloggio. La famiglia era una comunità di produzione e sarebbe stato beffardo che alla morte del capo famiglia, coniuge e figli fossero esclusi dalla ricchezza che avevano contribuito a creare. E la successione necessaria tutelava ciò.
Oggi la famiglia si è trasformata da comunità di produzione a comunità di consumo.
Fortunatamente l’età dell’obbligo scolastico è stata elevata e gli abbandoni sono più rari. I nostri figli consumano ora la loro legittima con il mantenimento fino al raggiungimento (che avvien sempre in età più matura) dell’indipendenza economica. Chi ha la fortuna di essere genitore ben conosce l’onere economico di portare un figlio fino al completamento del ciclo di studi e all’ingresso nel mondo del lavoro (spesso con stipendi che non garantiscono una piena indipendenza).
Non c’è una ragione residua per garantire ai discendenti un ulteriore beneficio “necessario” all’apertura della successione.
Una riflessione, di cui il Notariato deve farsi promotore e protagonista, sia con un’adeguata comunicazione, sia con la sua indubbia competenza scientifica, sia dialogando con il legislatore, si rende necessaria.
L’attuale impianto del diritto delle successioni e, in particolare, le rigidissime regole della successione necessaria, che limitano in modo intollerabile la libertà di disporre per testamento della ricchezza che un individuo ha prodotto, sono anacronistiche, mal percepite dal comune sentire e, soprattutto, foriere di un contenzioso che la nostra economia non può permettersi.
Ciascuno di noi ha in mente, nella propria città, un bel palazzo fatiscente che, si spiega agli amici, “è ridotto così perché gli eredi litigano e non si mettono d’accordo”.
Ciascuno di noi ricorda gli utili che generava quella società che “morto l’imprenditore, gli eredi hanno iniziato a litigare e ora stanno portando i libri in tribunale”.
Sono questi casi destinati inevitabilmente a moltiplicarsi. Nessuno potrà impedire che accadano, ma è compito del legislatore riformare il sistema per consentire un passaggio generazionale più “libero” e che anteponga l’interesse generale dell’economia alle piccolezze delle liti familiari.
Ed è compito di chi conosce e presidia la materia guidare il legislatore nella giusta direzione.
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