Dalla previdenza alla provvidenza
a cura di Elena Peperoni
Qualche breve considerazione a margine della Prima Convention della Cassa Nazionale del Notariato in tema di Previdenza complementare e “giusto” compenso professionale (si noti, giusto, da ius, ovvero secondo diritto, e non “equo”), dove il concetto di giusto compenso dovrebbe portare quale conseguenza un maggior reddito disponibile, anche al fine del suo investimento nella previdenza complementare, appunto. Concetto, questo, ripreso, in chiusura della prima tavola rotonda di venerdì, dal Collega Giuseppe Mattera, che ben ha sottolineato come, in assenza di risorse disponibili, non si possa fare previdenza complementare, e nuovamente ribadito dal Presidente Vincenzo Pappa Monteforte in apertura dei lavori della seconda giornata, quando ha sottolineato la difficoltà a trovare le risorse per alimentare la previdenza complementare.
In linea generale, il programma è stato ricco di interessanti interventi nelle tre tavole rotonde che si sono susseguite a ritmi serrati, con relatori di spessore. Ciò che a mio parere è mancato, e che invece avrei gradito sentire, è qualche proposta in più in chiave prospettica, una maggiore “propositività”, in linea proprio con il concetto di previdenza, che, come ha ricordato nel suo saluto introduttivo il Presidente del Consiglio Nazionale Giulio Biino, evoca appunto il “pre-vedere”, ovvero il “vedere prima”.
Ma andiamo con ordine, partendo dai punti positivi per non scoraggiare subito il lettore…
Certamente da apprezzare la volontà del Presidente della Cassa Vincenzo Pappa Monteforte e del Consiglio tutto di continuare un (difficile) percorso formativo a beneficio della categoria nonché di cercare di offrire un contributo – come corpi intermedi dello Stato – ai decisori politici per una riforma della previdenza complementare, argomento di grande attualità.
Bene anche le “ampie” rassicurazioni che abbiamo ricevuto circa la buona gestione della Cassa ed il positivo risultato raggiunto (anche se su questa affermazione avremo modo di tornare in seguito…), nonché l’interesse e l’apprezzamento che tutti i discussant delle tavole rotonde hanno mostrato per il nostro Ente di previdenza e per i temi proposti: al riguardo, l’onorevole Daniela Dondi, Segretario della Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, ha espresso giudizio positivo sulle Casse di previdenza privatizzate, in primis la nostra, sottolineando come le stesse, mediamente, siano sane e rispettino i dettati normativi in tema di sostenibilità. Circostanza, questa, rimarcata anche da Alberto Oliveti, presidente AdEPP, che ha affermato – senza timore di smentita – come, a trent’anni dalla privatizzazione delle casse regolamentate delle professionistiche, nessuna Cassa non ha rispettato gli impegni con gli iscritti e nessuna Cassa è mai fallita sinora. Tutto ciò anche se, come è stato ampiamento sottolineato da tutti, bisognerà valutare quale sarà l’impatto del calo demografico sulle Casse di previdenza.
Da sottolineare, in positivo, anche l’ottimo panel dei partecipanti alle tre tavole rotonde ed il merito dei moderatori, i giornalisti Debora Rosciani e Mauro Meazza di Radio24, di aver reso più leggero, anzi “autorevoleggero”, come lo hanno definito loro stessi, l’argomento – per la verità piuttosto ostico – della previdenza complementare (e con questo aggettivo sono certa di essermi condannata, oltre che a tutta una serie di critiche, ad un impietoso post sulla rubrica Facebook “Chi parla male pensa male”!).
L’ultima nota positiva – last but not least (perdonatemi l’inglesismo, ma del resto siamo alla Convention!) – l’abbiamo avuta proprio quando ormai non ci speravamo più, alla chiusura dei lavori, che ha visto sul palco il Presidente della Cassa, svelare apertamente al pubblico, dopo i ringraziamenti di rito, in particolare al proprio Segretario (o Segretaria?), di non essere “misogino”, cosa di cui era stato tacciato dopo un (poco felice) intervento sulla femminilizzazione della professione durante l’ultimo Congresso Nazionale di Torino.
E questa è, forse, la nota maggiormente consolante che porto a casa con me dalla Convention, oltre ovviamente al sempre splendido panorama ed ai meravigliosi colori offerti dalla città di Napoli.
Per il resto, il panorama è tutt’altro che roseo e si può sintetizzare in questa affermazione dello stesso Presidente Pappa Monteforte, in apertura dei lavori, anticipando anche le conclusioni: il costo della previdenza di primo pilastro è importante, significativo, ma “purtroppo il sistema è orientato in una direzione rispetto alla quale ci si rende conto che abbiamo necessità di ricorrere ad una previdenza complementare”, che “sostenga” la prima.
Veniamo dunque ai lati negativi.
Innanzitutto, la partecipazione. Il Presidente ha espresso soddisfazione per il numero di iscritti alla Convention (pare 300 circa), ma guardandosi attorno in sala si aveva la sensazione che molti dei partecipanti fossero per lo più Consiglieri o delegati all’assemblea della Cassa; quindi, in un certo senso, i maggiormente addetti ai lavori. Ed anche l’età media dei presenti non si attestava per certo su livelli bassissimi (a un certo punto, alla domanda del Presidente di quanti fossero in sala gli under 40, si sono viste non oltre cinque o sei mani alzate).
Ciò a dimostrare che – come evidenziato anche dalle slide che non sono mancate in questa occasione come in altre – i soggetti maggiormente interessati al tema della previdenza, anche complementare, sono i meno giovani, mentre è stato ampiamente dimostrato in questa due giorni che sarebbe oltremodo opportuno pensare ad una previdenza integrativa sin dall’inizio della professione (si pensi che oggi risulta iscritto a forme di previdenza complementare solo il 23% dei lavoratori autonomi e che la percentuale di iscritti alla previdenza complementare è molto minore nella fascia degli under 34 rispetto alla fascia dai 35 ai 54 anni (il 19% circa nel primo caso, il 48% circa nel secondo).
Ed allora la domanda sorge spontanea, e mi pare rappresenti proprio il nocciolo della questione: la previdenza complementare – ci dicono – va fatta sin dal momento dell’ingresso nel mondo del lavoro; ma come fanno i giovani, percettori di redditi minori rispetto ai colleghi “più anziani” e già sottoposti ad un notevole “prelievo” ad opera della Cassa per la previdenza di primo pilastro, ad accantonare una somma ulteriore per tale finalità?
La situazione generale delle Casse di previdenza, tra l’altro, è destinata senz’altro a peggiorare nei prossimi anni – lo abbiamo sentito ripetere numerose volte in questi due giorni, in primis dall’Attuario Micaela Gelera durante la prima tavola rotonda – anche in considerazione del pensionamento, di qui a pochi anni, dei c.d. baby-boomers, la generazione dei nati negli anni ‘60, la più numerosa di sempre.
Nel nostro Paese, infatti, il sistema pensionistico delle Casse privatizzate, così come quello pubblico, è strutturato secondo il criterio della ripartizione: i contributi versati da lavoratori e aziende vengono utilizzati per pagare le pensioni di coloro che hanno lasciato l’attività lavorativa; per far fronte al pagamento delle pensioni future, dunque, non è previsto alcun accumulo di riserve finanziarie.
È evidente che in un sistema così organizzato, il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi) deve, in linea di principio, essere in equilibrio nel tempo con l’ammontare delle uscite (le pensioni pagate). Se ciò non accade e si verifica uno squilibrio, il deficit ricade sul bilancio delle Casse e, in ultima analisi, dello Stato: il tema demografico, pertanto, condizionerà sempre più il nostro futuro, anche pensionistico.
Proseguiamo con le cattive notizie: nel suo saluto in apertura dei lavori della seconda giornata, la Giudice della Corte Costituzionale Maria Rosaria San Giorgio ha spiegato come i concetti di adeguatezza e proporzionalità delle prestazioni pensionistiche siano sempre più sostituiti da un criterio di “ragionevolezza” (i cui contorni paiono ancor più sfumati rispetto ad adeguatezza e proporzionalità); e le cattive notizie ci sono anche per i nostri pensionati, i quali da tempo chiedono a gran voce un adeguamento delle pensioni: al riguardo, l’Avvocato generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli ha ricordato, nella prima tavola rotonda della seconda giornata dal titolo “Previdenza complementare. Quali risorse?” come si sia passati da una forma rigida ad una forma meno rigida di tutela del diritto quesito, con conseguente progressiva erosione nel tempo di detta tutela, sempre più da rapportare alla sostenibilità economica complessiva del sistema di cui all’articolo 81 della carta costituzionale. In un certo senso, si tratta anche qui di solidarietà intergenerazionale…
Le cattive notizie, purtroppo, non sono ancora finite: il tasso di sostituzione – ovvero la misura, l’indicatore chiaro e diretto, in termini percentuali, del passaggio dal reddito da lavoro a quello che si percepirà dopo il pensionamento – per la categoria dei notai, senz’altro tra i più fortunati nel panorama dei lavoratori autonomi si attesta al 49,60%; ciò significa che, una volta raggiunta la pensione, dovremo rinunciare a circa la metà del nostro reddito: l’integrazione diventa dunque necessaria per il mantenimento della propria qualità di vita dopo la pensione.
La conclusione, dunque, emersa senza se e senza ma in questa due giorni è che, chi può, deve accumulare nella previdenza complementare: lo ha detto chiaramente anche Mauro Marè, presidente del Mefop, rimarcando come un sistema a ripartizione come il nostro, infatti, funzioni quando c’è una natalità molto forte, mentre noi stiamo andando incontro ad un inverno demografico (per tacere poi anche del calo di vocazioni nella nostra professione, che avrà anch’esso un notevole impatto sulla previdenza).
Ma come fare per incentivare il ricorso alla previdenza complementare, rendendola maggiormente attrattiva, con quella che è stata definita “una spinta gentile”, non potendo ovviamente la previdenza complementare configurarsi come obbligatoria? Perché è questo il fulcro del discorso.
Servono sicuramente incentivi di carattere fiscale maggiori rispetto agli attuali, che siano però sostenibili a livello di economia generale (la deducibilità oggi ha un tetto massimo di 5.164,57 euro annui, cifra corrispondente ai vecchi dieci milioni di Lire, del tutto scoordinata da qualunque elemento “sensato” in riferimento alla situazione attuale); si è anche giunti ad auspicare (in particolar modo da parte del Prof. Stefano Fiorentino, Ordinario di Diritto Tributario) uno spostamento dal sistema di tassazione della previdenza complementare secondo il modello ETT praticato dall’Italia (ovvero esenzione, tassazione, tassazione, per cui vengono assoggettati ad imposizione fiscale sia i rendimenti nel momento in cui vengono realizzati sia le prestazioni nel momento della erogazione; i contributi sono esenti nella fase del versamento ma vengono tassati al momento dell’erogazione della prestazione pensionistica), verso un modello EET verso il quale si stanno orientando la maggior parte degli Stati membri europei (esenzione, esenzione, tassazione, ovvero un sistema che individua il momento della tassazione solo nella fase dell’erogazione della prestazione, mentre i contributi ed i rendimenti sono esenti da tassazione nella prima e nella seconda fase e vengono tassati al momento dell’erogazione della prestazione).
Servono anche maggiori elementi di flessibilità per poter disinvestire o comunque recuperare le somme impiegate nella previdenza integrativa (ad esempio, avrebbe sicuramente maggior appeal l’erogazione di un capitale ad un determinato momento o di volta in volta negli anni piuttosto che il meccanismo più rigido della rendita vitalizia).
Al termine dell’ultima tavola rotonda dal titolo “Interesse pubblico e previdenza complementare”, il Consigliere della Cassa Stefano Poeta – suggerendo una lettura costituzionalmente orientata (art. 38) del ruolo delle Casse e rimarcando i forti principi di solidarietà e l’altrettanto forte patto intergenerazionale che permea il nostro ente di previdenza – ha avanzato una proposta concreta (l’unica della Convention, per la verità), ovvero l’introduzione, all’interno della previdenza di primo pilastro, di una pensione modulare, sulla falsariga di quella prevista per esempio dall’Enpav (Ente di previdenza dei medici veterinari): si tratta di un’ulteriore somma, aggiunta alla pensione base, che si matura destinando volontariamente anno per anno una percentuale del reddito professionale ad un montante in cui confluiscono, appunto, i contributi modulari.
Si ipotizza quindi che ciascuno dei notai in esercizio, al fine di costruire singolarmente la propria pensione integrativa, versi alla Cassa, facoltativamente, somme aggiuntive: tali contributi sarebbero interamente deducibili, dato che si tratterebbe di una previdenza che va a finire comunque nel primo pilastro. Questa pensione integrativa verrebbe gestita dalla stessa Cassa, che diventerebbe quindi ente “programmatico” del futuro del singolo Collega.
E proprio qui, a mio parere, sta il limite della proposta, ben sottolineato nel suo intervento anche dal Presidente AdEPP Alberto Oliveti: la previdenza complementare ha caratteristiche diverse ed ulteriori (rispetto a quella di primo pilastro) e segue regole differenti da quest’ultima (anche per ciò che riguarda gli investimenti e la loro classe di rischio), ma se la previdenza modulare viene gestita dal medesimo Ente Cassa, rientrando dunque nel primo pilastro, essa seguirebbe le medesime regole (e conseguentemente presenterebbe sostanzialmente i medesimi limiti); risulterebbero così sviliti i vantaggi della previdenza integrativa, consistenti essenzialmente nella diversificazione del rischio e nella maggiore rilevanza della singola posizione individuale, data dalla possibilità di scegliere personalmente gli investimenti più adatti alla propria situazione. Siamo certi quindi che sia una buona idea che della previdenza complementare si occupi lo stesso Ente deputato alla previdenza di primo pilastro?
E ancora: se la nostra Cassa, in futuro e “sventuratamente” dovesse essere assorbita dall’INPS, come già avvenuto per la Cassa dei giornalisti, perderemmo anche questa quota di contributi versata in eccesso.
Mi avvio alla conclusione.
Come si ritorna a casa dopo questa trasferta? Sicuramente con più consapevolezza dei vantaggi e dei limiti della previdenza complementare e, in generale, con una maggiore cultura previdenziale, obiettivo (direi raggiunto, almeno personalmente) che si era prefissato il Presidente Pappa Monteforte, ma anche con un retropensiero piuttosto preoccupante: siamo certi che questo invito reiterato a far ricorso alla previdenza complementare, al di là della volontà di sensibilizzare la categoria su un tema di attualità, non tradisca un problema di lungo periodo sulla tenuta dell’intero nostro sistema previdenziale?
Siamo sicuri che l’invito a sottoscrivere pensioni integrative non equivalga, in un certo senso, a certificare il fallimento della Cassa, della sua funzione e dei suoi più alti scopi o, senza voler creare eccessivi allarmismi, sia quantomeno poco incoraggiante per noi iscritti?
Mi pare che questo sia il “sentiment” non solo mio ma di tanti Colleghi, consapevoli delle cifre che mensilmente versiamo alla Cassa. Per questo, su questi temi senza dubbio urgenti, Federnotai auspica un aperto e costruttivo confronto con la Cassa. Per chiudere, parafrasando l’intervento di Padre Francesco Piloni durante la prima tavola rotonda del primo giorno, dalla previdenza alla provvidenza il passo è breve: affidiamoci almeno a quella!
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