12 Giugno 2024

Clausole di mediazione e compromissorie negli atti notarili societari*

di Massimo Saraceno

1 Premessa – 2. Il requisito della disponibilità dei diritti – 3. Mediabilità e compromettibilità delle controversie societarie – 4. Comunanza strutturale e tratti distintivi delle clausole di mediazione e compromissorie societarie – 5. Le clausole di mediazione societarie – 6. Le clausole compromissorie societarie – 7. Le clausole compromissorie societarie attributive agli arbitri del potere di concedere misure cautelari – 8. Conclusioni

1. Premessa

La materia societaria costituisce un terreno particolarmente fertile per l’esplicazione dell’autonomia contrattuale e, segnatamente, di quella statutaria in ordine all’approntamento di strumenti negoziali idonei a indirizzare le parti verso la risoluzione stragiudiziale delle controversie.

E ciò sia per i rapporti endosocietari, quelli cioè relativi rapporti sociali, o fra soci e organi sociali, che trovano la propria genesi nello statuto sociale, che per quelli esosocietari[1], afferenti alle controversie che non attengono propriamente al rapporto sociale, suscettibili di intercorrere fra soci o fra soci e terzi, la cui fonte è costituita da atti diversi dall’atto costitutivo o dallo statuto, quali una cessione di quote o i patti parasociali.

Che le controversie societarie abbiano tradizionalmente costituito materia d’elezione per l’utilizzo degli strumenti ADR (alternative dispute resolution) è testimoniato non solo, per l’arbitrato, dalla compiuta disciplina dell’arbitrato societario già contenuta negli artt.34 ss. D.lgs. 5/2003 e ora trasfusa, con alcuni importanti interventi additivi, negli artt.838 bis ss c.p.c. a opera della legge c.d. Cartabia[2], ma anche, sul terreno della mediazione civile e commerciale, dal preciso riferimento di cui all’abrogato art.40 del detto D.lgs.5/2003[3]; disposizione costituente un vero e proprio antesignano normativo della disciplina della mediazione concordata (cioè la mediazione da contratto o da statuto), ora generalizzata nell’art.5 sexies del D.lgs.28/2010, come novellato dalla predetta legge c.d. Cartabia. Nella stessa prospettiva si colloca, altresì, la previsione contenuta nell’attuale art.5 comma 1 del medesimo D.lgs 28/2010, il quale ricomprende le controversie relative a società di persone fra quelle per le quali l’esperimento del procedimento di mediazione si atteggia a condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

2. Il requisito della disponibilità dei diritti

Prima di passare ad analizzare i problemi interpretativi posti dalla nuova disciplina in materia di mediazione concordata su clausola statutaria e di quella sulle clausole compromissorie societarie, conviene prendere le mosse dall’analisi di un nucleo comune di disciplina che si riscontra sia in materia di mediazione che di arbitrato, da considerarsi quale necessario substrato di ogni controversia mediabile o arbitrabile, cioè il requisito della disponibilità dei diritti su cui essa deve necessariamente vertere, previsto sia dall’art.2 D.lgs. 28/2010 (per la mediazione) che dagli art.806 c.p.c. (per l’arbitrato in generale) e 838 bis c.p.c. (per l’arbitrato societario in particolare).

Occorrerà, poi, verificare come il requisito della disponibilità dei diritti sia da declinare nelle controversie societarie; il che costituirà una sorta di bussola per il notaio chiamato a confezionare clausole di mediazione e compromissorie per capire se una determinata controversia possa essere pattiziamente indirizzata verso forme alternative alla giustizia ordinaria. Fermo restando che, ovviamente, la clausola potrà essere costruita in termini generali attraverso il richiamo a tutte le controversie relative a diritti disponibili che ineriscano a un determinato rapporto giuridico che trovi la propria fonte in un contratto o in uno statuto societario[4], spettando in questi casi al mediatore o all’arbitro affermare o declinare la propria competenza in relazione alla disponibilità o indisponibilità dei diritti e degli interessi per cui è controversia, non può mancare nel bagaglio culturale del notaio la conoscenza dei limiti e degli indici di mediabilità o compromettibilità di una controversia, destinati – in particolare – a trovare concreta applicazione nei casi in cui le parti non intendano postergare il ricorso alla giustizia ordinaria per tutte le controversie suscettibili di insorgere fra le stesse, ma solo per alcune di esse, sempre ove connesse a quel determinato rapporto.

In una prima accezione più restrittiva[5], aderente a una concezione sostanzialistica della disponibilitàdei diritti, sarebbe disponibile qualsiasi diritto suscettibile di essere traslato da un soggetto ad un altro ovvero di essere rinunciato con un atto di autonomia privata[6]. L’area della disponibilità dei diritti, in linea con il tenore letterale dell’art.1966 c.c., finirebbe per coincidere con quella della transigibilità[7].

Qualsiasi tentativo di ricostruzione dogmatica di tale categoria finalizzato a tratteggiare i tratti comuni e indefettibili di ogni diritto considerato indisponibile finisce per essere inutilmente condotto atteso che, in ogni caso, occorre riguardare la specifica disciplina positiva del singolo diritto soggettivo preso in esame. Così, anche se si aderisse alla ricostruzione[8] secondo la quale la nozione di indisponibilità deve essere legata alla posizione del titolare del diritto, il quale lo esercita anche nell’interesse di soggetti terzi e, nel contempo, non può dismetterlo dal proprio patrimonio, ciò non consentirebbe di ricomprendervi i diritti della persona e le situazioni patrimoniali che non riguardano i terzi, come il diritto agli alimenti o il divieto di rinunce o transazioni del lavoratore ex art.2113 c.c.

Per rimanere in ambito patrimoniale, inoltre, non sempre alcuni limiti di disposizione rappresentano una totale indisponibilità del diritto: l’incedibilità dei diritti di uso e abitazione non comporta né la loro irrinunciabilità (desumibile dai nn.4 e 5 dell’art.2643 c.c.) né la loro imprescrittibilità (ricavabile dall’art.1014 n.1 e 1026 c.c.) e, pertanto, appare difficile la riconduzione di tale diritto nella non specificamente delineata categoria dei diritti indisponibili[9]. Per converso, l’assoluta indisponibilità del diritto agli alimenti viene ricavata dalla rigidità della relativa disciplina (art.447 c.c.)[10], mentre in altri casi essa si evince dall’inerenza dei diritti alla persona umana (art.2 Cost.), come il diritto al nome e il diritto morale d’autore, ovvero in altri casi ancora costituisce una conseguenza dell’eccedenza dell’interesse tutelato da una certa disciplina rispetto a quello individuale delle parti in conflitto, qual è quello dei creditori sociali e dei terzi in ordine alla verità del bilancio sociale.

Secondo un diverso orientamento[11], l’eliminazione del riferimento, contenuto nel vecchio testo dell’art.806 c.p.c. prima della riforma del 2006, alle “controversie che non possono formare oggetto di transazione” consentirebbe di evitare qualsiasi confusione fra l’indisponibilità del diritto, che costituisce un limite del patto compromissorio, e l’inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico controverso, che costituisce invece un limite per il giudizio degli arbitri.

Quindi, il lodo potrebbe accertare la nullità di un contratto per violazione del carattere indisponibile del diritto, in quanto dalla natura inderogabile delle norme violate non discende la non arbitrabilità della controversia.

Neanche costituirebbe un limite al potere cognitivo degli arbitri[12] il richiamo all’art. 1972 comma 1  c.c. per le liti relative a contratti la cui causa sia contraria a norme imperative, ordine pubblico o buon costume (art. 1343 c.c.), nonché a contratti stipulati per eludere norme imperative (art. 1344 c.c.) o per conseguire un motivo illecito comune alle parti che lo hanno concluso (art. 1345 c.c.), dal momento che, se si sottoponesse ad arbitrato l’accertamento dell’illiceità del contratto e tale illiceità risultasse poi sussistente, si raggiungerebbe proprio il risultato opposto a quello della transazione che, proprio per la sua inidoneità a rimuovere l’illiceità del contratto controverso, viene in queste ipotesi tacciata anch’essa con la sanzione della nullità[13]

Del resto, che un diritto sia indisponibile nel senso tecnico della sua incedibilità non esclude di per sé che sia inarbitrabile la conseguenza della violazione del divieto di cessione e, quindi, che siano suscettibili di essere devolute alla cognizione arbitrale le controversie inerenti all’interesse, perfettamente negoziabile, al risarcimento del danno[14]

Nella specifica prospettiva arbitrale secondo la quale – a differenza delle procedure non eteronome di risoluzione delle controversie – il giudizio è caratterizzato da un accertamento posto in essere da un privato imparziale a seguito di un processo in contraddittorio e con la garanzia dell’impugnativa per violazione di norme inderogabili, potrebbe enuclearsi, pertanto, un concetto autonomo di indisponibilità – incompromettibilità, espressione di un “ordine pubblico arbitrale”, di contenuto più ristretto di quello che ostacola altre forme di composizione negoziale delle controversie[15]. Se si accedesse a tale ricostruzione, potrebbero ascriversi all’area della indisponibiltà-incompromettibilità le situazioni sostanziali rispetto alle quali è preclusa all’autonomia privata la loro regolamentazione negoziale, con la conseguenza che, per converso, dovrebbero essere considerate disponibili e quindi compromettibili in arbitri tutte le situazioni giuridiche in cui l’ordinamento attribuisce rilievo all’autonomia privata, quali i rapporti giuridici di contenuto patrimoniale[16].

In materia di mediazione, invece, deve affermarsi come la declaratoria di nullità o annullabilità, patologie accomunate dalla presenza di un vizio che afferisce alla fase genetica di formazione del negozio, sia preclusa in sede di accertamento convenzionale contenuto nell’accordo di mediazione, essendo essa rimessa, sul terreno del diritto positivo, in via esclusiva al giudice o all’arbitro, sia pure con graduazioni diverse, a seconda dell’interesse protetto. La presenza di un vizio genetico implica un giudizio di disvalore sociale che, ex post, non può che essere rimesso all’autorità giudiziaria o arbitrale[17].

Il che, peraltro, non esclude che, fermo il limite dell’intransigibilità su contratto illecito (art.1972 comma 1 c.c.), il procedimento di mediazione esiti in un accordo contenente una transazione che consenta di comporre la controversia sull’esistenza di un vizio genetico del negozio e, in tali limiti, può dunque, anche in tal caso, affermarsi la disponibilità dei relativi diritti.

Da altra angolazione, la disponibilità dei diritti potrebbe piuttosto dirsi ancorata alla disponibilità dell’azione, nel senso che sarebbe disponibile, e quindi mediabile e arbitrabile, qualsiasi posizione giuridica suscettibile di essere giudizialmente azionata, e correlativamente rinunciata in favore della giustizia privata, di guisa che il campo della indisponibilità resterebbe circoscritto agli ambiti nei quali le parti non abbiano la libera disponibilità dell’azione, dovendo sottostare all’iniziativa del pubblico ministero, sia in via azione che di intervento obbligatorio. Si potrebbe, dunque, affermare che – in linea con la disposizione di cui all’art.70 c.p.c. – non sarebbero mediabili e arbitrabili le controversie nelle quali è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero e, in effetti, dell’obbligatorietà dell’intervento del pubblico ministero quale limite all’arbitrabilità della controversia vi è traccia proprio nell’art.838 bis c.p.c. ove si prevede, testualmente, che “non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge prevede l’intervento obbligatorio del pubblico ministero”.

3. Mediabilità e compromettibilità delle controversie societarie

In linea generale, le questioni relative alla validità delle delibere assembleari sono mediabili e compromettibili in arbitri, come si ricava agevolmente dal tenore dell’art.838 ter comma 4 c.p.c. (potere degli arbitri di disporre la sospensione dell’efficacia delle delibere nelle controversie relative alla validità delle delibere assembleari) e dall’art.838 quater c.p.c. (dovere degli arbitri di decidere secondo diritto, anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri ad agire secondo equità quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari).

In ambito societario il discrimen fra l’area della compromettibilità e quella della non compromettibilità è stato variamente inteso in giurisprudenza[18] ma tendenzialmente fa leva sul carattere individuale o generale degli interessi sottesi alla controversia, nel senso che non sono compromettibili quelle controversie che in realtà coinvolgono interessi ultraindividuali e, cioè, interessi di terzi ovvero che abbiano un rilievo pubblicistico. Questo criterio è stato ritenuto intersecarsi con la derogabilità o l’inderogabilità delle norme che si assumono violate e, con riferimento alle impugnative delle delibere assembleari, con quello del tipo di invalidità che si assume discendere da tale violazione, distinguendosi così in alcuni casi fra controversie non arbitrabili per l’asserita nullità della deliberazione e controversie arbitrabili per le ipotesi di nullità sanabile o di annullabilità.

Il tradizionale criterio discretivo fondato sulla distinzione fra nullità e annullabilità della deliberazione per affermare rispettivamente la mediabilità (o la compromettibilità) o non mediabilità (o la non compromettibilità) ha, peraltro, subito un notevole ridimensionamento, in conseguenza della riforma del diritto societario del 2003, per effetto di una sorta di avvicinamento fra i vizi delle delibere societarie di talché, lasciando da parte solo il caso più grave delle delibere che  modifichino l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili[19], tutte le volte in cui il vizio della delibera può essere eliminato con una nuova delibera è difficile sostenere che la norma la cui violazione ha dato origine al vizio stesso sia posta a tutela di diritti indisponibili.

La specialità della nullità delle delibere assembleari rispetto alla disciplina della nullità contrattuale ex art.1418 c.c. e la sua contiguità[20] con la disciplina dell’annullabilità ha indotto la dottrina[21] e la giurisprudenza[22] ad ammettere che la possibilità riconosciuta all’autonomia privata di sterilizzare i vizi invalidanti della delibera e di precluderne la pronuncia di nullità o di annullabilità mediante i rimedi rispettivamente previsti dall’art.2377 comma 8 c.c. (sostituzione della delibera annullabile con altra delibera presa in conformità della legge e dello statuto), dall’art.2379 bis c.c. (sanatoria della nullità) e dall’art.2379 ter c.c (preclusione dell’impugnativa dell’aumento di capitale, della riduzione del capitale o dell’emissione di obbligazioni decorso un certo termine dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese) comporti una significativa dilatazione dell’area della piena (mediabilità e) arbitrabilità delle controversie concernenti l’invalidità delle delibere.  La stessa disciplina della prescrizione dell’azione di nullità delle delibere assembleari, compendiata nelle regole risultanti dai primi due commi dell’art.2379 c.c., sembra evidenziare come l’unica fattispecie di delibera non compromettibile in arbitrato possa ritenersi, come detto, quella modificativa dell’oggetto sociale con la previsione di attività illecite o impossibili, atteso che soltanto in questa ipotesi la reazione dell’ordinamento è svincolata dal decorso del tempo e dall’iniziativa di parte.

Anche in materia di delibere di approvazione del bilancio, parte della dottrina[23] ha ritenuto, alla luce del vigente art.2434 bis c.c.[24], che il diritto alla chiarezza e precisione del bilancio abbia carattere disponibile in quanto privo delle caratteristiche di imprescrittibilità, impossibilità di dismissione o rinuncia che si è soliti attribuire ai diritti indisponibili con conseguente mediabilità e compromettibilità delle relative controversie.

Senonché, nonostante il mutato quadro normativo, la giurisprudenza della Cassazione, molto copiosa in materia, non ha ritenuto di modificare il proprio orientamento, continuando ad escludere che siano compromettibili in arbitri le controversie relative all’impugnazione del bilancio di esercizio quando l’impugnazione si fondi sulla violazione dei criteri pubblicistici di precisione, chiarezza e verità del bilancio in quanto vengono in rilievo gli interessi e l’affidamento di tutti i terzi che si trovino ad avere contatti con la società[25] o, per gli stessi motivi, quelle relative all’impugnazione delle delibere di riduzione del capitale al di sotto del limite legale di cui all’art.2447 c.c. quando la stessa sia fondata sulla violazione delle regole pubblicistiche alle quali avrebbe dovuto informarsi la redazione della situazione patrimoniale[26]; mentre sono state ritenute compromettibili le controversie le questioni inerenti il rendiconto annuale nelle società di persone, che risponde a esigenze di tutela dei soci[27].

Di particolare significatività è la recente ordinanza della Cassazione in data 5 aprile 2023 n. 9434[28], secondo la quale “L’impugnazione di delibere societarie aventi ad oggetto operazioni sul capitale sociale, per aumento o riduzione, è compromettibile in arbitri allorquando, in ragione della prospettazione offerta dalle parti, la corrispondente controversia non investa, in modo diretto e non semplicemente mediato, gli interessi – dei soci, della società o di terzi ad essa estranei – protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, diversamente finendosi per devolvere agli arbitri diritti (sostanziali) inderogabili protetti da una specifica norma che li regola.

Detta pronuncia ribadisce che l’area della indisponibilità, nella materia societaria, è più ristretta di quella degli interessi genericamente “superindividuali” e, pertanto, la natura “sociale” o ”collettiva” dell’interesse non può valere ad escludere la deferibilità della controversia al giudizio arbitrabile, così come il limite della compromettibilità delle controversie non è l’inderogabilità delle norme che gli arbitri devono applicare per risolvere la controversia, ma la circostanza che la reazione dell’ordinamento alla violazione delle stesse sia svincolata da ogni iniziativa di parte.

Alla luce di questo criterio, nonostante una giurisprudenza di segno contrario[29], potrebbero ritenersi (mediabili e) compromettibili anche le controversie relative alle delibere di revoca o le azioni di responsabilità degli amministratori ovvero quelle relative la trasformazione di una società di persone in società di capitali[30].

Più cautela va adottata per la valutazione della mediabilità e compromettibilità delle controversie relative allo scioglimento delle società. In linea logica, l’applicazione del medesimo criterio testè considerato dovrebbe far propendere per l’ammissibilità[31], ma non può trascurarsi l’orientamento negativo assolutamente prevalente fondato  sul presupposto che, in tale ipotesi, assume rilievo l’interesse generale e di natura collettiva della società alla realizzazione di un’attività economica comune[32].

4. Comunanza strutturale e tratti distintivi delle clausole di mediazione e compromissorie

Altra caratteristica comune delle clausole di mediazione e compromissorie è, sul piano strutturale, la loro autonomia rispetto al contratto cui ineriscono, con la conseguenza che l’eventuale invalidità del contratto principale non si estende all’invalidità della clausola.

Quanto più specificamente alle clausole di mediazione, se si ritenesse di accostarle a quelle compromissorie per arbitrato irrituale potrebbe, prima facie, trarsi la conclusione[33] che si tratti di un semplice patto che trae la sua origine nel negozio nel quale è inserito e che non può sopravvivere alle cause di invalidità del medesimo, che fanno venir meno la legittimazione del mediatore ad occuparsi della controversia.

Se, peraltro, si pone mente alla circostanza che sia nella mediazione “facilitativa” che in quella “valutativa” la funzione del mediatore è sostanzialmente diversa sia da quella dell’arbitratore che da quella dell’arbitro nell’arbitrato irrituale, non avendo lo stesso alcun mandato di integrare la volontà delle parti, limitandosi ad espletare un ruolo di ausilio nella ricerca di un accordo, che rimane espressione della libertà di autodeterminazione delle parti, è agevole constatare come la stessa clausola sia autonoma rispetto al contratto o allo statuto cui accede in quanto avente causa e funzione diverse rispetto a questi ultimi.

Questa è la posizione che si riscontra nella dottrina processualcivilistica[34], la quale rivendica l’autonomia della clausole di mediazione e compromissorie rispetto al negozio principale cui ineriscono (e in genere di tutti gli strumenti ADR) in ragione dell’autonomia causale degli stessi, che fa leva sull’interesse delle parti a devolvere la cognizione delle controversie a un soggetto diverso dall’autorità giurisdizionale ordinaria, che è interesse diverso – ancorché collegato[35] – dall’interesse in cui sostanzia la causa del negozio principale. Del resto, il principio di autonomia della clausola c.d. ADR è codificato, in materia di arbitrato, all’art.808 comma 2 c.p.c., con norma che disapplica il precetto generale di cui all’art.1419 comma 2 c.c., dal quale discende la propagazione della nullità di singole clausole all’intero regolamento contrattuale solo ove il giudizio prognostico volto a valutare se i contraenti avrebbero voluto l’intero negozio anche senza quella parte del suo contenuto abbia esito negativo; e non v’è ragione, attesa l’identità funzionale, per negare l’applicabilità del medesimo principio anche alle clausole di mediazione.

Se, in linea generale, la clausola compromissoria, nonostante la denominazione, costituisce un patto autonomo rispetto al contratto cui inerisce[36], suscettibile di essere contenuta in atto separato, solitamente coevo o successivo rispetto al contratto stesso[37], l’affermazione dell’autonomia della clausola compromissoria societaria atta a instaurare il procedimento arbitrale governato dalle regole speciali di cui agli artt.838 ss. c.p.c. non può indurre a ritenere che essa possa essere collocata in un atto diverso dallo statuto, dal momento che il patto compromissorio affidato alla regolamentazione, ad esempio, dei patti parasociali aprirà inevitabilmente la strada all’arbitrato di diritto comune[38].

Il problema non si pone, ovviamente, per le clausole di mediazione, per le quali l’unitarietà della relativa disciplina rende indifferente la collocazione della clausola nello statuto o in eventuali patti parasociali al fine di rendere, in via pattizia, l’esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità. Non pare vi siano neanche controindicazioni ad ammettere una convenzione autonoma di mediazione, sia prima dell’insorgere della lite che a lite già sorta (una sorta di compromesso per mediazione)[39].

Altra caratteristica comune delle clausole di mediazione e compromissorie è la possibilità che esse siano, in via pattizia, costruite come unilaterali, cioè tali da consentire ad una parte predeterminata, ovvero a chi per primo agisca, di optare per il procedimento di mediazione (o per la via arbitrale) ovvero per il giudice ordinario[40].

Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, le clausole di mediazione e compromissorie riguarderanno tutte, o parte, delle controversie (a seconda di come siano strutturate) relative ai rapporti fra i soci e fra i soci e la società.

Quindi, non è dubbio che la società sia vincolata al rispetto della clausola ADR, sia in ordine all’obbligatorietà di partecipazione ai relativi procedimenti (di mediazione e arbitrale) che, per l’arbitrato, al rispetto delle statuizioni del lodo.

Ma anche i soci sono tenuti al loro rispetto: ovviamente ciò vale, de plano, in primo luogo per i fondatori, i quali hanno sottoscritto la clausola e sono stati parte formale dell’atto costitutivo, e per i nuovi soci delle società di persone per i quali vi è un analogo momento negoziale di adesione ai patti sociali, ma vale anche per i cessionari delle quote di società di capitali a prescindere dalla manifestazione di un consenso ad hoc, ossia diverso e ulteriore rispetto a quello necessario per l’acquisto della quota.

Per usare una fortunata espressione di Rosario Nicolò, si tratta di una “posizione contrattuale complessa”[41] di cui anche l’impegno a (mediare e) compromettere è parte integrante e inscindibile al momento della sua circolazione.

Si tratta, infatti, di un accessorio necessario rispetto al rapporto sociale al cui rispetto il cessionario è comunque tenuto, nel senso che il cessionario subentra necessariamente nella stessa posizione giuridica che faceva capo al cedente in ordine all’opponibilità di tutte le clausole statutarie giacchè lo status di socio è indefettibilmente connesso alla necessaria osservanza di tutte le regole di governo societarie.

Non trovano, dunque, applicazione i principi espressi dalla Cassazione in ordine alla circolazione della clausola compromissoria quando muti un contraente, con le distinzioni tipiche a seconda che si tratti di cessione del contratto (ove, per la circolazione della clausola compromissoria, sarebbe necessario il consenso del contraente ceduto ex art.1406 c.c.) ovvero di cessione d’azienda in cui tale consenso non sarebbe necessario ex art.2558 c.c. (trattandosi di un rapporto giuridico non a rilevanza personale suscettibile di circolare insieme all’azienda) fino alla presa di posizione in materia di cessione del credito con una sentenza della Cassazione a sezioni unite[42] poi ripresa da altra sentenza di segno conforme del 2003[43], secondo cui “Il cessionario di credito nascente da contratto nel quale sia inserita una clausola compromissoria non subentra nella titolarità del distinto e autonomo negozio compromissorio e non può pertanto invocare detta clausola nei confronti del debitore ceduto, tuttavia quest’ultimo può avvalersi della clausola compromissoria nei confronti del cessionario, atteso che il debitore ceduto si vedrebbe altrimenti privato del diritto di far decidere ad arbitri le controversie sul credito in forza di un accordo tra cedente e cessionario al quale egli è rimasto estraneo”.

In senso contrario, è stato sostenuto[44] che, in virtù dell’autonomia del patto conciliativo o compromissorio e del diritto di azione costituzionalmente garantito, la cessione della partecipazione societaria non importi automaticamente il subentro nella posizione contrattuale relativa alla clausola ADR.

In questa prospettiva, potrebbe essere comunque opportuno inserire, nell’atto di cessione di partecipazione sociale, una clausola con la quale il cessionario prenda atto e accetti – attraverso una relatio formale – il contenuto dello statuto e, di esso, la clausola di mediazione e/o la clausola compromissoria.

Non è dubbio che in caso di successione mortis causa a titolo universale della partecipazione societaria, l’erede sarà tenuto, subentrando a pieno titolo nel rapporto societario in luogo del de cuius, al rispetto delle clausole di mediazione e/o compromissorie. Molto più delicato è stabilire se gli eredi che non subentrino nella titolarità della partecipazione sociale e vantino solo un diritto di credito alla liquidazione del valore della quota, ad esempio nelle ipotesi di mancata continuazione fra i soci superstiti e gli eredi del socio defunto ex art.2284 c.c., siano vincolati alle clausole di mediazione o al patto compromissorio statutario[45].

Si può inoltre discutere, sempre in ordine all’ambito soggettivo, se anche per le clausole di mediazione valga l’estensione anche alle controversie promosse da o nei confronti amministratori e sindaci, quando ciò sia previsto nella clausola, per il solo fatto dell’accettazione dell’incarico, come previsto dall’art.838 bis comma 4 c.p.c. per le clausole compromissorie ovvero, se in mancanza di una norma espressa, sia necessaria un’espressa accettazione della clausola di mediazione all’atto di conferimento dell’incarico.

5. Le clausole di mediazione

Così delimitato il perimetro delle controversie dipendenti da clausole di mediazione o compromissorie secondo il criterio della disponibilità dei diritti ed evidenziata la comunanza strutturale delle une e delle altre, passiamo ad esaminare più in dettaglio le clausole di mediazione societarie, che possono essere inserite nello statuto e riguardare i rapporti endosocietari ma anche in cessioni di quote o in patti parasociali e riguardare tutte le possibili controversie fra soci o fra soci e terzi, indipendentemente dalla loro attinenza al rapporto sociale.

La disciplina della loro incidenza sul processo è ora contenuta nell’art.5 sexies D.lgs. 28/2010 secondo cui “ Quando il contratto, lo statuto o l’atto costitutivo dell’ente pubblico o privato prevedono una clausola di mediazione, l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Se il tentativo di conciliazione non risulta esperito, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte entro la prima udienza, provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 2. Si applica l’articolo 5, commi 4, 5 e 6.”.

Al di là della specifica ipotesi prevista dall’art. 40 D.lgs. 5/2003, che addirittura disponeva la sospensione del processo fino a quando non fosse esperito il tentativo di conciliazione, prima del 2003 le clausole di mediazione non avevano alcuna rilevanza processuale, nel senso che si riteneva esorbitasse dal potere delle parti la modifica delle regole processuali dell’azione in giudizio e che, pertanto, la violazione degli obblighi stabiliti in una clausola di conciliazione avesse quale effetto esclusivamente il risarcimento del danno (danno del quale era comunque difficile dare la prova)[46].

Nella formulazione originaria dell’art.5 D.lgs. 5/2003, la clausola di mediazione aveva un’incidenza sul processo “controllata” dalle stesse parti, le quali rimanevano libere di accordarsi successivamente per il non esperimento del procedimento di mediazione, anche in forma tacita mediante la mancata proposizione delle relativa eccezione ovvero, una volta sospeso il processo, mediante il mancato esperimento del procedimento di mediazione stesso, dimostrando così la volontà di proseguire il processo senza altri impedimenti. Si riteneva, cioè, che volontà delle parti assumesse un rilievo, sia pure per facta concludentia [47] , in termini di sopravvenuto disinteresse alla mediazione, non potendosi ritenere in questa ipotesi non integrato un presupposto processuale.

Con il nuovo art.5 sexies D.lgs. 28/2010, viene portata a compimento la rilevanza processuale delle clausole di mediazione[48].

Il mancato esperimento del procedimento di mediazione concordata rimane, nella fase iniziale, nella disponibilità delle parti (su eccezione di parte non oltre la prima udienza), ma una volta sollevata l’eccezione esso esce dalla disponibilità delle parti in quanto il giudice – senza sospendere il processo – fissa l’udienza successiva oltre il termine di durata della mediazione e, qualora il procedimento di mediazione non sia stato esperito, dichiara l’improcedibilità della domanda.

Si è già detto che nelle controversie relative alle società di persone l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità.

Nondimeno, anche in questa materia può essere opportuno inserire nei patti sociali una clausola di mediazione per meglio delimitare il perimetro della mediabilità ovvero per renderlo condizione di procedibilità del procedimento arbitrale ove essa si accompagni a una clausola compromissoria, secondo la tecnica c.d. multistep.

Le clausole di mediazione possono, poi risultare utili, anche per le controversie relative a società di persone, per disciplinare in via pattizia aspetti accessori del procedimento, individuando l’organismo e/o il mediatore ovvero dettando i criteri per la loro designazione (senza i limiti soggettivi previsti dall’art.838 bis c.p.c.: ad esempio di può prevedere che l’organismo debba essere individuato di comune accordo o, in mancanza di accordo, da parte di un terzo, non necessariamente estraneo alla società), e anche derogando alla competenza territoriale prevista dall’art.4[49] (secondo cui la domanda di mediazione si presenta al giudice territorialmente competente per la controversia).

Nella clausola di mediazione, infine, potrebbero essere inserite regole per disciplinare taluni aspetti procedimentali della mediazione[50], ad esempio i) escludendo la possibilità di svolgimento dell’intera procedura, o di uno o più incontri, da remoto,  della mediazione in modalità telematica e/o di svolgere uno o più incontri da remoto; ii) stabilendo una ripartizione delle spese relative alla mediazione diversa da quella legale; iii) prevedendo direttamente l’obbligo del mediatore, quando l’accordo non sia raggiunto, di formulare la proposta ovvero iv) pattuendo delle penali a carico chi non partecipi al procedimento di mediazione.

Quanto all’ultimo contenuto accidentale testé considerato, cioè l’apponibilità di una penale nelle clausole di mediazione, deve ritenersi che la clausola penale possa assistere, e sanzionare[51], la mancata partecipazione in mediazione di una delle parti, mentre più problematico è stabilire se possa assistere anche la mancata accettazione della proposta proveniente dal mediatore ex art.11 D.lgs.28/2010[52].

6. Le clausole compromissorie societarie

Quanto alle clausole compromissorie, si è già detto dell’intervenuta abrogazione degli artt.34 ss. ad opera del D.lgs.149/2022 e della trasfusione della relativa disciplina negli artt.838 bis c.p.c. con un’importante novità, costituita dalla possibilità che le parti prevedano, nella clausola compromissoria, il potere degli arbitri di adottare misure cautelari.

Può dirsi senz’altro superata l’incertezza iniziale registrata successivamente all’entrata in vigore del D.lgs.5/2003; periodo di incertezza durante il quale parte della dottrina e della giurisprudenza di merito sostenevano la tesi del c.d. doppio binario[53], cioè l’alternatività dell’arbitrato di diritto comune disciplinato dal codice di procedura civile rispetto a quello speciale societario e, quindi, la validità della clausole compromissorie che non fossero conformi al dettato dell’art.34 in ordine alla nomina dell’arbitro o del Collegio arbitrale da parte di soggetti estranei alla società (come ad esempio le clausole compromissorie ove si prevede che i Collegi Arbitrali vengono composti da arbitri nominati uno da ciascuna delle parti e il terzo dai primi due o da organo terzo) .

La Cassazione si è, infatti, ormai attestata, a partire dalle sentenze n.24867 del 9 dicembre 2010 e n.15892 del 20 luglio 2011, su una posizione in virtù della quale – come ribadito a chiare lettere nella sentenza n.21202 del 13 ottobre 2011  proprio nell’ambito e a conclusione di un procedimento disciplinare a carico di un notaio – la nullità della clausola compromissoria che non deferisca a un terzo la nomina dell’arbitro è da intendersi “inequivoca” nell’accezione di cui all’art. 28 della legge notarile e deve conseguentemente condurre ad affermare la responsabilità disciplinare a partire dal 1 settembre 2011, cioè dal momento in cui può dirsi consolidata tale prospettiva ermeneutica per aver ricevuto le dette sentenze sufficiente diffusione fra gli operatori giuridici.

E ciò nonostante qualche precedente giurisprudenziale isolato[54] ipotizzi l’applicabilità in via analogica dell’art.815 n.1 c.p.c. secondo cui l’arbitro può essere soltanto ricusato se ha non ha le qualifiche espressamente convenute tra le parti.

Non mi soffermerò oltre quindi su questo dato, che possiamo dare per acquisito, anche a seguito di ulteriori pronunce di legittimità[55] che hanno confermato il carattere cogente della prescrizione ora contenuta nel primo comma dell’art.838 bis c.p.c., se non per sottolineare il carattere assoluto della nullità, anche se parziale, e dell’applicabilità anche all’arbitrato societario della regola ermeneutica contenuta nell’art.808 comma 2 c.p.c., cioè il principio di autonomia della clausola compromissoria rispetto al contratto cui inerisce, che – come già detto – disapplica il precetto generale di cui all’art.1419 comma 2 c.c., norma che legittima la propagazione della nullità di singole clausole all’intero regolamento contrattuale ove il giudizio prognostico volto a valutare se i contraenti avrebbero voluto l’intero negozio anche senza quella parte del suo contenuto abbia esito negativo.

Quindi si tratta di una nullità assoluta (non relativa, cioé azionabile ad istanza di parte), ma necessariamente parziale, nel senso indicato e, comunque, atta a determinare l’insorgenza della responsabilità notarile pur rimanendo per il resto valido il contratto cui essa acceda.

Le critiche mosse da parte della dottrina notarile, pur autorevole[56], in ordine a un’eccessiva dilatazione della portata dell’art.28 della legge notarile anche alle nullità parziali, non hanno trovato, come detto, il conforto della giurisprudenza di legittimità, attestata su posizioni rigide delle quali il notaio deve necessariamente conto nella confezione della clausola compromissoria.

E’ chiaro, lo dico solo per completezza, che la responsabilità notarile si atteggerà diversamente a seconda che la clausola compromissoria nulla venga inserita nello statuto di una società in sede di costituzione (o, il che è equivalente, nella modifica dei patti sociali di una società  di persone), in quanto in questi casi opera pienamente l’art.28 della legge notarile per il solo fatto di aver ricevuto l’atto (e quindi il notaio dovrebbe e potrebbe legittimamente rifiutare il proprio ministero), ovvero venga inserita nello statuto di una società di capitali in sede di modifica statutaria, giacchè in tale ipotesi la responsabilità è connessa non al ricevimento dell’atto ma all’iscrizione della delibera modificativa nel registro delle imprese ex art.138 bis della legge notarile (e quindi l’esenzione da responsabilità è in questo caso subordinata non al mancato ricevimento dell’atto, ma solo all’osservanza del procedimento di cui all’art.2436 c.c. di comunicazione agli amministratori della ritenuta insussistenza delle condizioni di legge)[57]. Nei casi di verbalizzazione di un’assemblea di società di capitali di modifica statutaria mercé l’introduzione o la soppressione di una clausola compromissoria in assenza del quorum rafforzato di 2/3 del capitale sociale, ipotesi nella quale si profila la meno rigida sanzione dell’annullabilità in quanto si tratta di una delibera assunta non in conformità alla legge ex art.2377 c.c., si dovrà parimenti ritenere applicabile l’art.138 bis della legge notarile laddove si aderisca al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, in particolare Cassazione 19 luglio 2016 n.14766, secondo cui “Incorre nella responsabilità disciplinare ex artt. 28, comma 1, n. 1, e 138 bis, comma 1, della l. notarile il notaio che richieda l’iscrizione di una delibera societaria affetta da invalidità “manifesta”, cioè inequivoca, anche ove si tratti di mera annullabilità e non di nullità, giacché il controllo notarile sulle delibere sociali è finalizzato ad assicurare la certezza dei traffici mediante una verifica di conformità al modello legale che prescinde dalla tradizionale distinzione dei vizi negoziali. (Rigetta, App. Napoli, 24/08/2015)”.

E’ appena il caso di aggiungere che: i) anche le clausole compromissorie c.d. di diritto comune contenute negli statuti di società costituite anteriormente all’entrata in vigore al D.lgs.5/2003 sono affette da nullità sopravvenuta, senza che peraltro operi alcuna sostituzione automatica con la disciplina dell’art.34; ii) si ritiene[58] che il quorum rafforzato, che non era richiesto per gli adeguamenti posti in essere fino al 30 settembre 2004 in virtù dell’art.41 D.lgs. 5/2003, non sia necessario neanche per gli adeguamenti successivi al 1 ottobre 2004 in quanto non si tratta né di introduzione né di soppressione ma solo di modifica della clausola.

Di qui l’importanza di prestare la massima attenzione nella confezione della clausola compromissoria, in primo luogo osservando il precetto già contenuto nell’art.34 D.lgs. 5/2003, ora trasfuso nell’art.838 bis comma 2 c.p.c., in ordine all’estraneità del soggetto che deve procedere alla nomina degli arbitri.

Ovviamente si sta parlando soltanto delle clausole compromissorie statutarie, cioè di quelle soggette alla disciplina speciale dell’arbitrato societario, in quanto afferenti rapporti endosocietari, rimanendo quindi escluse quelle – soggette alla disciplina dell’arbitrato comune – contenute in cessioni di quote o in patti parasociali suscettibili di ingenerare controversie fra soci, le quali però non rientrano nell’ambito di applicabilità della disciplina speciale.

Come si è detto, il primo tratto distintivo di tale disciplina speciale (disciplina, quindi, speciale, ma non esclusiva, quindi di per sé non autosufficiente per la regolamentazione di tutti quelli aspetti dell’arbitrato societari non espressamente regolati dagli art.838 bis ss. c.p.c. per i quali riprenderà vigore la disciplina generale dell’arbitrato comune di cui agli artt.806 c.p.c.) è costituito dalla necessità che il designatore dell’arbitro o del Collegio Arbitrale sia un soggetto estraneo alla società.

Sotto questo profilo, laddove s’intenda far riferimento nella clausola compromissoria ai regolamenti di Camere Arbitrali, occorre prestare attenzione e che i regolamenti non prevedano che la nomina dell’arbitro o del Collegio Arbitrale debba avvenire “sentite le parti” o “d’accordo fra le parti” e avendo, viceversa, cura che i regolamenti rimettano la decisione definitiva di nomina alla Camera stessa escludendo qualsiasi interferenza delle parti.

Così come si può fortemente dubitare della validità della clausola quando sia individuato come designatore il Presidente di un’associazione di categoria o sindacale cui la società aderisca (come accade, di frequente, per le cooperative che aderiscono ad associazioni di categoria a livello regionale o nazionale) o, a maggior ragione, quando i soci o gli organi sociali facciano parte del direttivo di tali associazioni.

Il rispetto della norma imperativa in ordine all’individuazione del soggetto estraneo deputato alla nomina dell’arbitro non esaurisce, ovviamente, il fondamentale apporto del notaio, il quale dovrà cura di confezionare la clausola con il maggior tecnicismo possibile per evitare possibili interpretazioni difformi sull’ambito di applicazione della clausola medesima.

Non v’è dubbio, come si è già detto, che anche una clausola generica, che sostanzialmente riproduca il dettato normativo di cui all’art.838 bis comma 1 c.p.c. (come ad esempio una clausola con la quale si preveda genericamente la devoluzione in arbitri di tutte la controversie promosse da o nei confronti degli organi sociali individuando il soggetto designatore estraneo alla società), sia lecita e ammissibile[59], in quanto sarà l’arbitro o il Collegio Arbitrale in sede di attivazione della clausola (ovvero il giudice laddove sorga controversia sul punto) a definire l’ambito delle controversie compromettibili e a declinare la propria competenza ove le controversie concretamente insorte non lo siano, ma non v’è dubbio che nel bagaglio culturale del notaio che predispone la clausola devono necessariamente esserci quelle conoscenze idonee ad orientare le parti nella conformazione del giudizio arbitrale nel caso concreto (sia pure futuro ed eventuale).

In primo luogo, può ritenersi acquisito che la disciplina speciale si applichi anche alle società di persone[60], anche se il complesso delle disposizioni normative induce a circoscriverne l’applicabilità a      quelle commerciali, ivi comprese le cooperative (per la delimitazione in tal senso dell’ambito di applicazione dell’arbitrato societario operata dalla legge delega n.366 del 2001), con esclusione quindi della società semplice, ma anche della società irregolare[61], alla quale non può attagliarsi la particolare forma di pubblicità commerciale prevista dall’art.838 ter comma 1 c.p.c., che prescrive il deposito della domanda introduttiva del giudizio arbitrale al registro delle imprese.

A maggior ragione rimangono escluse le società di fatto ove manca uno statuto o dei patti sociali nei quali inserire la clausola.

Rimangono, inoltre, escluse, per previsione espressa, le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

La ratio di questa esclusione è discussa.

In altri ordinamenti stranieri la scelta è stata in senso opposto, nel nostro ordinamento il fondamento dell’esclusione è quello di una presumibile non conoscenza da parte dei soci delle società quotate (meri investitori e/o speculatori) del contenuto dello statuto e, dunque, della clausola compromissoria.

E’ appena il caso di osservare che l’estensione della disciplina dell’arbitrato societario alle società di persone deve essere resa compatibile con particolare struttura delle stesse, a base appunto personale, e con il generale principio unanimistico che governa la modifica dei patti sociali.

Così, se da un lato in materia di società di capitali l’ultimo comma dell’art.838 bis c.p.c. prevede un rafforzamento del quorum di 2/3 per l’introduzione o la soppressione delle clausole compromissorie, giustificato dall’esigenza di intensificare la tutela del socio che vede sacrificato – almeno in parte – il proprio diritto di scegliere autonomamente e indipendentemente il soggetto o i soggetti ai quali affidare la risoluzione delle controversie sociali, dall’altro se alle società di persone trovasse applicazione la medesima regola, pur in assenza di alcuna deroga all’art.2252 c.c., la tutela del socio qui verrebbe addirittura indebolita, con un risultato assiologico paradossale.

Pertanto, l’introduzione o la soppressione di clausole compromissorie nei patti sociali di società di persone dovrà necessariamente avvenire all’unanimità, a meno che nei medesimi patti non sia già previsto che le modifiche possano essere approvate a maggioranza, nel quale ultimo caso potrà trovare applicazione il predetto rafforzamento dei quorum.

Sempre sul piano soggettivo, rientrano fra la controversie compromettibili in arbitri anche quelle che riguardino soci “la cui qualità è oggetto di discussione”.

Sicuramente vi rientrano quelle relative alla permanenza della qualità di socio in società, e quindi – in particolare – quelle scaturenti da una delibera di esclusione o dal recesso, mentre più discusso è se l’arbitrato societario riguardi le controversie avente ad oggetto lo stesso acquisto della qualità di socio, sia quando la qualità di socio costituisca il petitum (la contesa qualità di socio fra due soggetti) ovvero la causa petendi (cioè quanto la pretesa trovi la propria ragione giustificatrice nella qualità stessa di socio, ad esempio quando venga chiesta la distribuzione degli utili da parte di un non socio).

Il dubbio di fondo è in che limiti un soggetto la cui qualità di socio è in discussione possa essere tenuto all’osservanza della clausola compromissoria.

Sotto questo profilo può valutarsi, di fronte all’ampio tenore letterale dell’art.838 bis comma 3 c.p.c.,  l’opportunità di esplicitare nello statuto che “la clausola compromissoria si riferisce sia alle controversie relative alla permanenza della qualità di socio che a quelle che ineriscono all’acquisto della medesima qualità”.

Le clausole compromissorie non si estendono, invece, automaticamente, alle controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci o nei loro confronti dalla società o dai soci; di qui l’opportunità di disciplinare espressamente quest’aspetto nella redazione della clausola.

La vincolatività della clausola compromissoria nei confronti degli organi sociali (ai quali potrebbe equipararsi, a tali fini, il Direttore Generale ma non il Revisore, o la società di revisione, che non sono organi sociali in senso tecnico[62]) consegue automaticamente all’atto formale di accettazione della carica, senza che neanche per costoro (come per i cessionari delle quote sociali) sia necessario un atto di accettazione ad hoc della clausola, in quanto si tratta di soggetti che comunque hanno aderito al programma societario e che vi rimangono sottoposti fino al momento della cessazione della carica, fatti salvi i problemi connessi alla prorogatio fino alla sostituzione, periodo durante il quale può ritenersi che per le controversie insorte permanga l’assoggettamento all’arbitrato in forza della clausola compromissoria.

Può anche essere utile fissare la sede dell’arbitrato che, ai sensi dell’art.816 c.p.c. – nel silenzio del patto compromissorio – è nel Comune ove stata stipulata la convenzione arbitrale e, per prassi, coincide con l’ufficio dell’arbitro o con quello del Presidente arbitrale o, nel caso di arbitrato amministrato, con la sede della Camera Arbitrale.

L’utilità della fissazione della sede discende dalla circostanza che si evita che il terzo incaricato di designare gli arbitri scelga professionisti con domicilio diverso dalla Comune ove ha sede la società o dove, comunque, risiedono i soci, obbligando le parti in contesa a sopportare gli ulteriori costi delle trasferte.

E’, invece, inopportuno, che venga indicata la sede sociale come sede dell’arbitrato, che non assicurerebbe quelle necessarie garanzie di imparzialità, equidistanza e riservatezza dell’organo arbitrale.

Ulteriore questione attiene alla possibilità o meno di prevedere clausole compromissorie societarie per arbitrato irrituale.

Sotto la vigenza del vecchio testo dell’art.35 D.lgs. comma 5, pur in presenza di un riferimento esplicito all’arbitrato irrituale, il tema era discusso, ma il prevalente orientamento dottrinale[63] e giurisprudenziale[64] era favorevole alla sua ammissibilità.

La mancata riproduzione dell’inciso “anche non rituale” nel testo dell’art.838 ter comma 4 c.p.c. non induce a ritenere inammissibile la scelta per l’arbitrato irrituale, in quanto in ogni caso trova applicazione la regola generale contenuta nell’art.808 ter c.p.c (per la quale, solo in mancanza di espressa disposizione contenuta nella convenzione arbitrale, l’arbitrato è rituale).

Anche in questo caso, un importante indice interpretativo è costituito dalla legge delega (legge 206/2021) che aveva attribuito al Governo il compito di riordino della materia senza restringere ambiti di competenza arbitrale già risultanti dalla previgente disciplina.

Si tratta di prestare, quindi, la massima attenzione alla redazione della clausola compromissoria stabilendo se l’arbitrato debba essere rituale, cioè con efficacia finale di lodo, equiparabile a quella della sentenza, osservate le formalità dell’art.825 c.p.c., oppure irrituale, cioè destinato a concludersi con una decisione di natura contrattuale che concreta la volontà dei contendenti, i quali si impegnano con la clausola compromissoria a far propria la volontà degli arbitri e a considerarla reciprocamente vincolante alla stregua di un mandato che si esaurisce con la determinazione contrattuale che pone fine alla controversia.

Bisogna porre particolare attenzione al tecnicismo nella formulazione della clausola in quanto le espressioni equivoche possono condurre verso la strada dell’arbitrato rituale anche quando, in realtà, le parti avrebbe voluto optare per arbitrato irrituale (dall’art.808 ter c.p.c. è evidente il favor del legislatore per l’arbitrato rituale in quanto l’opzione per l’arbitrato irrituale costituisce una deroga, che deve essere espressa rispetto a quanto disposto dall’art.824 bis c.p.c., che disciplina il lodo arbitrale nell’arbitrato rituale).

Si tratta di un problema strettamente ermeneutico governato dai tradizionali criteri di interpretazione del contratto ex artt.1362 ss.c.c. per cui meno ambigua e quanto più formulata in termini tecnici è la clausola compromissoria tanto meno spazio vi sarà per interpretazioni che finiscano per fuorviare la reale intenzione delle parti.

Così, non è utile il ricorso alla frequente espressione di “amichevoli compositori” per escludere con certezza che si tratti arbitrato rituale, o ancora il riconoscimento del potere di decidere secondo equità o la previsione dell’inappellabilità del lodo, nonché la dispensa dall’osservanza di formalità della procedura, avuto riguardo alle previsioni di cui agli artt.816 bis e 822 c.p.c., mentre fa sicuramente optare per l’arbitrato irrituale la dispensa dall’obbligo di deposito del lodo[65].

Per maggior precisione, occorre mettere in rilievo che l’espressione “dispensa dall’obbligo di deposito del lodo” è un’espressione ormai desueta, che risente della formulazione del vecchio art.825 c.p.c., dal quale discendeva l’obbligo degli arbitri di deposito del lodo (obbligo non più vigente dal 1983, in quanto secondo l’attuale formulazione dell’art.825 c.p.c. il deposito presso il Tribunale è onere della parte che intenda far eseguire il lodo)[66].

Senz’altro l’espressione più corretta potrebbe essere proprio quella di far riferimento al termine di arbitrato irrituale o prevedere che le parti intendano deferire la risoluzione della controversia alla cognizione di un terzo, che deciderà con “determinazione contrattuale”.

Le parti hanno, poi, l’onere di stabilire se gli arbitri debbano decidere secondo diritto ovvero secondo equità; in mancanza di alcuna determinazione supplisce la norma dispositiva di cui all’art.822 c.p.c., secondo quale gli arbitri decidono secondo diritto.

Bisogna, infine, sottolineare che è stato anche aggiunto un secondo comma all’art.822 c.p.c. da parte della legge c.d. Cartabia secondo cui “Quando gli arbitri sono chiamati a decidere secondo le norme di diritto, le parti, nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale, possono indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia. In mancanza, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili”.

In materia di arbitrato societario sussiste, peraltro, una deroga espressa contenuta nell’art.838 quater c.p.c. a tenore del quale “Anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equita’ ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell’articolo 829, secondo comma, del codice di procedura civile quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili (cioé quando di questioni incidentali per la risoluzione della controversia che vertano su diritti indisponibili) ovvero quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validita’ di delibere assembleari”.

7. Le clausole compromissorie attributiva agli  arbitri del potere di concedere misure cautelari

La novità più rilevante apportata con il D.lgs.149/2022 in materia di arbitrato, con diretti riflessi sulle clausole compromissorie societarie, è costituita dal potere delle parti di prevedere, nella clausola compromissoria, la competenza degli arbitri a concedere misure cautelari.

Il novellato art.818 c.p.c., con disposizione di carattere generale valevole per tutti i tipi di arbitrato, dispone, infatti, Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva.

Prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669-quinquies”.

La tipologia di provvedimenti cautelari rimessi alla competenza arbitrale, anche in ambito societario, può essere molto varia, spaziando dal sequestro giudiziario o conservativo delle quote fino al compimento di qualsiasi atto di istruzione indispensabile in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, ivi compresi i provvedimenti d’urgenza ex art.700 c.p.c.[67]

La norma va, inoltre, correlata al nuovo art.838 ter quarto comma c.p.c., secondo cui “Salvo quanto previsto dall’articolo 818, in caso di devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari, agli arbitri compete il potere di disporre, con ordinanza reclamabile ai sensi dell’articolo 818-bis, la sospensione dell’efficacia della delibera”.

Il raccordo interpretativo tra le due disposizioni non è semplice e condiziona in modo significativo il contenuto della clausola compromissoria societaria.

Innanzitutto, il nuovo art.838 ter c.p.c., pur ricalcando il testo dell’art.35 del D.lgs. 5/2003, fa testualmente salvo l’art.818 c.p.c. e omette l’avverbio “sempre” contenuto nell’abrogato art.35[68].

La salvezza dell’art.818 c.p.c. (che attribuisce alle parti il potere di prevedere la competenza arbitrale in materia arbitrale) e l’omissione dell’avverbio “sempre” potrebbero, prima facie, essere intesi nel senso che anche il potere degli arbitri di sospendere l’efficacia delle delibere sia ora subordinata ad una espressa previsione in tal senso contenuta nella clausola compromissoria[69].

Ma se così fosse, risulterebbe surrettiziamente ristretta la competenza arbitrale in tema di sospensione dell’efficacia delle delibere che, da potere naturalmente spettante agli arbitri in presenza di una clausola compromissoria, diventerebbe una competenza attribuibile agli arbitri solo su base pattizia; e ciò non sarebbe sicuramente in linea, e quindi conforme, con lo spirito riformatore della legge delega 206/2021 finalizzata ad ampliare, e non ridurre, la competenza degli arbitri.

La salvezza dell’art.818 c.p.c. contenuta nel primo inciso dell’art.838 ter comma 4 c.p.c. va piuttosto interpretata nel senso che il richiamo sia al secondo comma del detto art.818 c.p.c. e, quindi, laddove il collegio arbitrale non si sia costituito o l’arbitro unico non abbia ancora accettato l’incarico, la competenza a concedere la misura cautelare in questione (i.e. la sospensione dell’efficacia delle delibere) vada richiesta al giudice competente.

Detto richiamo ha, anche, un significato più generale, che è quello di consentire alle parti, anche nelle controversie societarie, di attribuire agli arbitri il potere di disporre le altre misure cautelari (sequestri giudiziari e conservativi, e disporre altri mezzi anticipati di prova).

Si può aggiungere che se il nuovo art.838 ter comma 4 c.p.c. fosse interpretato nel senso qui avversato, cioè ritenendo che anche il potere arbitrale di sospendere l’efficacia delle delibere sia subordinato ad un’espressa previsione in tal senso nella clausola arbitrale, ciò porterebbe alla necessità di dover modificare tutte le clausole contenute negli statuti vigenti, che non riportano quel potere, il che sarebbe una conseguenza davvero paradossale[70]. Si è ritenuto anche possibile[71] che le parti, nella clausola compromissoria, limitino la competenza arbitrale solo ad alcuni provvedimenti cautelari (ad esempio il sequestro conservativo), mentre per il resto continuerà ad operare la generale competenza giudiziaria.

Ciò su cui le prime interpretazioni dottrinali risultano essere contrastanti è, invece, se sia possibile prevedere una competenza concorrente dell’arbitro e dell’autorità giudiziaria, il che potrebbe dar luogo a una serie di sovrapposizioni di competenza di non facile soluzione[72].

8. Conclusioni

Sarebbe senz’altro ultroneo rispetto agli scopi e al taglio del presente contributo, nonché probabilmente anche poco appropriato in questa sede, esprimere considerazioni di carattere politico sulla centralità del ruolo del notaio in materia di arbitrato[73].

Sia soltanto consentito richiamare il pensiero di due autorevoli notai che, a distanza di quasi cinquant’anni l’uno dall’altro, hanno posto all’attenzione della categoria – a testimonianza dell’impegno ancora da profondere – riflessioni sostanzialmente sovrapponibili sulle intrinseche potenzialità che la funzione notarile reca con sé nello sviluppo della cultura arbitrale.

Il primo intervento, datato 1974, svolto a margine del primo convegno sull’arbitrato sotto il patrocinio dell’A.N.C.A. e dell’Unione delle Camere di Commercio, è ascrivibile a Giuseppe Ramondelli[74] il quale, pur in assenza di precisi riferimenti normativi, poneva in luce, in primo luogo, l’importanza del ruolo del notaio nella fase di conclusione del contratto in cui, svolgendo funzioni tipicamente notarili, lo stesso procede in maniera non passiva all’adeguamento della volontà delle parti indirizzandole verso “la ricerca dello strumento, spesso non individuato, o sconosciuto alle parti, più idoneo alla realizzazione dei loro interessi” ai fini della più rapida ed economica attuazione dei propri diritti. Evidenziava, inoltre, con una notevole lungimiranza, l’utilità della figura del notaio come arbitro nella fase post-contrattuale; attività, quest’ultima, certamente non notarile, ma libero-professionale, nella quale il notaio apporta – sia come arbitro unico che quale componente di Collegio arbitrale – la sua specifica, “profonda ed a volte esclusiva preparazione professionale”.

La seconda presa di posizione, di Giancarlo Laurini[75], molto più recente, si colloca a valle dell’ultimo intervento riformatore di cui alla c.d. Legge Cartabia che, come accennato, potenziando e valorizzando l’istituto dell’arbitrato attraverso il riconoscimento della prevedibilità pattizia del potere cautelare in capo agli arbitri, suggerisce ai professionisti di area legale di accrescerne l’utilizzo così superando la situazione di sostanziale stallo in cui esso versa, se non fosse per il suo limitato impiego in aree geografiche molto limitate, grazie soprattutto alla presenza di Camere arbitrali efficienti e strutturate.

L’auspicio che viene formulato in tale ultimo contributo, assolutamente da condividere, è quello – una volta appurato che i tempi sono maturi anche dal punto vista normativo – che la qualità e la competenza specifica dell’arbitro/notaio venga maggiormente percepita e valorizzata innanzitutto dai notai e, a seguire, dai cittadini e dalle imprese interessate ad evitare le lungaggini del giudizio civile ordinario. Consapevolezza, questa, che deve spingere sempre più i notai a inserire nei propri atti, a partire da quelli societari[76], clausole arbitrali che non solo “sottraggano le dispute interpretative alla giustizia ordinaria, ma ne devolvano la decisione a un arbitro o collegio arbitrale fatto o almeno presieduto da un notaio”[77].

*Relazione svolta il 16 febbraio 2024 al convegno “Il diritto societario dopo vent’anni dall’entrata in vigore della riforma” organizzato dal Consiglio Notarile di Perugia e dalla Scuola di Notariato umbro-marchigiana, con la collaborazione dell’Associazione Notai Romani Asso.No.R.

Note

[1] M.N.IANNACCONE, Le clausole di mediazione societarie, in Rapporto sui conflitti e sulla conciliazione 2021, a cura dell’Osservatorio sui conflitti e sulla conciliazione 2021, Santarcangelo di Romagna, 2022, pp.101 ss.

[2] Si tratta del D.lgs. 10 ottobre 2022 n.149, in attuazione della legge delega 26 novembre 2021 n.206.

[3] L’art.40 D.lgs. 5/2003 disponeva che: “Qualora il contratto ovvero lo statuto della società prevedano una clausola di conciliazione e il tentativo non risulti esperito, il giudice, su istanza della parte interessata proposta nella prima difesa, dispone la sospensione del procedimento pendente davanti a lui fissando un termine di durata compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell’istanza di conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto. Il processo può essere riassunto dalla parte interessata se l’istanza di conciliazione non è depositata nel termine fissato. Se il tentativo non riesce, all’atto di riassunzione è allegato il verbale di cui al comma 2. In ogni caso, la causa di sospensione si intende cessata, a norma dell’ articolo 297, primo comma, del codice di procedura civile, decorsi sei mesi dal provvedimento di sospensione”.

[4] Non può, invece, affermarsi la validità delle clausole di mediazione o compromissorie che si riferiscano a tutte le controversie che potranno nascere tra le parti senza far riferimento a quello specifico contratto o quello specifico statuto, in quanto le stesse sarebbero inevitabilmente nulle per indeterminatezza dell’oggetto.

[5] G.VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2021, p.72.

[6] F.MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1959, I, p.144, secondo il quale sono diritti indisponibili “quelli che sono sottratti al potere dispositivo del soggetto e che, quindi, inutilmente il soggetto tenterebbe di trasferire ad altri, come inutilmente tenterebbe di rinunziare ad essi”. Nello stesso senso G.AZZARITI e G.SCARPELLO, Prescrizione e decadenza, in Comm.Scialoja e Branca, Bologna – Roma, 1964, p.205. Tradizionalmente il concetto di disponibilità di diritti o situazioni giuridiche rimanda a quello, quasi pregiuridico, di libertà e, in particolare, di libertà di azione o di esercizio, che si concreta – riprendendo le parola di Gino Gorla – nella “signoria, riconosciuta dall’ordinamento giuridico alla persona sul diritto stesso”; signoria che, di volta in volta, è stata descritta come potestà di alienare, in tutto o in parte, destinare inter vivos, rinunciare, estinguere, limitare, perdere, modificare una determinata situazione giuridica. In particolare cfr. G.GORLA, L’atto di disposizione dei diritti, Perugia, 1936, p.4.

[7] A.BARLETTA, La disponibilità dei diritti nel processo di cognizione e nell’arbitrato, in Riv.dir.proc., 2008, pp.979 ss.; F.DANOVI, L’arbitrato di famiglia in Italia, tra antitesi e possibili consonanze, in Riv.Arb., 2016, 1, p.55, secondo il quale il riferimento alla disponibilità dei diritti contenuto all’art.806 c.p.c. elimina la necessità, come avveniva in passato, di un inutile doppio passaggio interpretativo, evidenziando come la reale causa sottostante ostativa alla giustizia arbitrale sia rappresentata dalla indisponibilità del diritto (mentre la non transigibilità della controversia doveva ritenersi in ritenersi in sostanza un suo particolare effetto).

[8] F.NEGRO, Lineamenti di un trattato dell’indisponibilità giuridica, Padova, 1957, p.605.

[9] Così G.AZZARITI e G.SCARPELLO, op.cit., p.205; in senso contrario F.GITTI, L’oggetto della transazione, Milano, 1999,  p.263-264. Qualifica tale diritto come “parzialmente indisponibile o semidisponibile” A.CARRATTA, “Principio di non contestazione e limiti di applicazione nei processi su diritti indisponibili, in Fam.dir., 2010, p.575.

[10] Peraltro, come sopra accennato, anche il principio di indisponibilità del diritto agli alimenti è stato recentemente scalfito dall’art.6 D.L. 132/2014, convertito nella Legge 162/2014, come novellato dal D.lgs.149/2022, che ha consentito di estendere la pattuizioni contenuta nell’accordo di negoziazione assistita anche alla determinazione degli alimenti.

[11] E.MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano, Giuffré, 2009, pp.30 ss.

[12] G.F. RICCI, Dalla transigibilità alla disponibilità del diritto. I nuovi orizzonti dell’arbitrato, in Riv.arb., 2006, pp.256 ss.

[13] Nel senso di affermare il potere degli arbitri di accertare la violazione di norma imperativa, senza determinare con il lodo effetti vietati dalla legge, cfr.Cass.27 febbraio 2004 n.3975.

[14] G.SICCHIERO, La crisi della convivenza: autonomia privata e clausola arbitrale, in Riv.Dir.Priv., 2018, pp.498 ss.

[15] E.ZUCCONI GALLI FONSECA, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, in Le Nuove leggi civili commentate, Padova, 2010, p.10.

[16] A.MOTTO, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di BRIGUGLIO e CAPPONI, vol.III, tomo 2, Arbitrato. Entrata in vigore delle nuove discipline sul giudizio di Cassazione e sull’arbitrato, Padova, 2009, p.480.

[17] Sull’accertamento convenzionale delle patologie negoziali in mediazione sia consentito il rinvio a M.SARACENO, L’accertamento delle patologie negoziali in mediazione, in Diritto della mediazione civile e commerciale, a cura diM.MARINARO, 2023, Gruppo 24 Ore, pp.295 ss.

[18] Nonostante  tutta la giurisprudenza di merito e di legittimità si sia formata sulla distinzione fra compromettibilità e non compromettibilità delle controversie societarie, non è dubbio che gli stessi criteri debbano valere per la mediazione, essendo – come si è visto – il requisito della disponibilità dei diritti comune ad entrambi gli strumenti ADR.

[19] A detta ipotesi di nullità (rilevabile d’ufficio), testualmente prevista dall’art.2479 ter c.c., è equiparata quella derivante dall’assoluta mancanza di informazione, mentre sono compromettibili le controversie derivanti da delibere assunte in difetto di convocazione del socio in quanto le stesse sono soggette al regime di sanatoria ex art.2379 bis c.c., dal momento che, in tal caso, la nullità non può essere fatta valere da chi abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea (Cass.31 ottobre 2018 n.27736).

[20] Tale contiguità è dimostrata dalla prescrittibilità dell’azione di nullità ex art.2379 comma 1 c.c. e dalla sanabilità del vizio di nullità ex art.2379 bis, 2379 ter e 2434 bis c.c.

[21] S.IZZO, Disponibilità del diritto e limiti alla compromettibilità per arbitri della delibera di approvazione del bilancio, in Le società, 2010, p.1510; F.UNGARETTI DELL’IMMAGINE, Note su indisponibilità dei diritti, inderogabilità delle normativa ed impugnazione delle delibere assembleari, in Riv.Arb., 2009, 2, p.325.

[22] Tribunale Napoli 8 marzo 2010; Tribunale Arezzo 2 marzo 2004; Tribunale Prato 19 marzo 2009.

[23] S.A.CERRATO, La compromettibilità in arbitri dell’impugnativa di bilancio, in Riv.Arb., 2008, 2, p.197; L.SALVANESCHI, Dall’equazione impugnazione di bilancio mai compromettibile all’equazione impugnazione di bilancio sempre compromettibile, in Corr.Giur., 2011, 8, p.1137, la quale rileva che “i soci possono consolidare un bilancio ipoteticamente illegittimo semplicemente limitandosi a non agire tempestivamente in giudizio per farne dichiarare l’invalidità, circostanza quest’ultima che si riflette sulla natura del diritto oggetto dell’impugnazione nel senso della diponibilità, o meglio, per dirla con il giudici meneghini, nel senso di impedire l’affermazione che la materia sdia di per sè indisponibile”.

[24] La norma richiamata nel testo ha previsto la sanatoria della delibera (nulla) di approvazione del bilancio per omessa impugnazione in un termine ridotto, ossia entro l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo, al fine di assicurare certezza e stabilità degli atti societari.

[25] Cass. 10 giugno 2014 n.13031

[26] Cass. 29 maggio 2019 n.14665.

[27] Trib.Bari 7 febbraio 2007.

[28] La citata pronuncia conclude nel senso dell’arbitrabilità di una delibera di conversione dei finanziamenti soci in finanziamenti (rectius versamenti) in conto capitale in quanto vertente su diritti disponibili.

[29] Trib.Catania 19 dicembre 2003 e Cass.17 luglio 2012 n.12333. Per le persone giuridiche senza scopo di lucro le medesime controversie sono state ritenute compromettibili perché attinenti a diritti patrimoniali disponibili all’interno di un rapporto contrattuale senza coinvolgere gli interessi di terzi estranei (Cass.19 febbraio 2014 n.3887).

[30] Cass.31 marzo 2022 n.10433.

[31] In tal senso si è espressa la sentenza del Tribunale di Milano, 7 febbraio 2014, secondo cui “In sede di giudizio in merito all’esistenza di una causa di scioglimento di una società di persone, va respinta l’eccezione preliminare di compromesso in arbitri per l’indisponibilità della materia, dovendo reputarsi indisponibili le sole controversie che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi. L’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e precisione del bilancio di esercizio”.

[32] In questo senso: Trib. Milano,6 marzo 2003, in Giur. it., 2003, p.1411; Trib. Napoli, 26 marzo 2003, in Società 2003, p.1251. Sul punto, inoltre, Trib. Salerno, 12 aprile 2007, in Giur. comm, 2008, 4, p. 865, nota di F.Corsini, Società di persone, clausola compromissoria statutaria ed arbitrabilità delle controversie in materia di scioglimento del rapporto sociale; cfr. in merito anche la dottrina, tra cui T. GALLETTO, L’arbitrato nel diritto societario: cosa cambia con la riforma, in Foro pad., 2003, II, p.56; F.P.LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, p.713; M.BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, in Giust. civ., 2003, 483.

[33] E’ il principio espresso nella sentenza della Cass. civ., Sez. I, 16 giugno 2000, n. 8222, secondo cui “Il principio dell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al negozio di riferimento vale in relazione all’arbitrato rituale, che si attua, per volontà delle parti compromittenti, mediante l’esercizio di una potestà decisoria alternativa rispetto a quella del giudice istituzionale e si risolve in un lodo avente tra le parti la stessa efficacia di sentenza, ma non può essere invocato in relazione all’arbitrato irrituale, avente natura negoziale e consistente nell’adempimento del mandato, conferito dalle parti all’arbitro, di integrare la volontà delle parti stesse dando vita ad un negozio di secondo grado, il quale trae la sua ragione d’essere dal negozio nel quale la clausola è inserita e non può sopravvivere alle cause di nullità che facciano venir meno la fonte stessa del potere degli arbitri”, successivamente confermata nella sentenza della Cass. civ., Sez. I, 9 aprile 2008, n. 9230. In senso contrario si esprime la dottrina, in particolare G.VERDE, Diritto dell’arbitrato rituale, 2000, p.73; M. BIN, Il compromesso e la clausola compromissoria in arbitrato irrituale, in Riv. trim., 1991, p. 374 ss.; V.VIGORITI, Disciplina del processo dell’arbitrato, in Riv.Arb,1995, p.66;  E,GABELLINI, L’autonomia della clausola per compromissoria per arbitrato irrituale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, pp.1525 ss.

[34] C.CECCHELLA, L’arbitrato, a cura di Cecchella, Torino, 2005, p.66; V. FERRO, L’arbitrato. Profili sostanziali, rassegna coordinata da G.Alpa, vol.II, Torino, 1999, pp.619 ss.; T. GALLETTO, Il diritto dell’arbitrato. Disciplina comune e regimi speciali, VI ed., III, Padova, p.131 ss; C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, vol.I, Torino, 2010, p.655; L. SALVANESCHI, Legge 5 gennaio 1994 n.24, a cura di Tarzia, Luzzatto, Ricci, Padova, 1995, pp.31 ss.; G. VERDE, Diritto dell’arbitrato, a cura di Verde, III ed., Torino, 2005, pp.102 ss, Per l’autonomia delle clausole di mediazione cfr.M.BUZIO, La mediazione su clausola contrattuale o statutaria, in Diritto della mediazione civile e commerciale, a cura diM.MARINARO, 2023, Gruppo 24 Ore, p.84.

[35] Il collegamento negoziale fra la clausola ADR e il contratto principale (o lo statuto) mi sembra indubbio, anche se non sussiste fra gli stessi un nesso di interdipendenza tale che l’invalidità dell’uno possa propagarsi tout court all’altro.

[36] In particolare, è stato definito come un “contratto a contenuto obbligatorio con comunione di scopo” da E.ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004, p.50.

[37] Sul piano strutturale, pertanto, la clausola compromissoria è assimilabile al compromesso, dal quale si differenzia per il solo fatto che essa è pattuita prima dell’insorgere della lite, mentre quest’ultimo è stipulato a lite già sorta.

[38] F.CORSINI, La nullità della nuova clausola compromissoria statutaria e l’esclusività del nuovo arbitrato societario, in Giur. comm., 2005, 1, pp. 814 ss.; F.P.LUISO, Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, pp. 705 ss..

[39] M.BOVE., La mancata comparizione innanzi al mediatore, in Soc., 2010, 6, p. 760; nonché in www.judicium.it, 10.7.2010, § 1, nt. 1; G.MINELLI, Commento all’art. 5, in AA.VV., La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di M.Bove, Padova, 2011, pp. 201 ss.; A.G.DIANA, Clausola di mediazione e vincolo obbligatorio, in AA.VV., Manuale della nuova mediazione e conciliazione giudiziale, a cura di C.M.Ferri, Padova, 2014, p. 221; in senso contrario, v’è chi invece ritiene che un “compromesso per conciliazione” non sia utile perché «a) se c’è volontà delle parti nel tentare la via conciliativa, tale volontà può condurre subito all’apertura del procedimento (più che alla conclusione di un “compromesso”); b) se tale volontà non c’è, non vi è spazio per la mediazione (e tanto meno per il “compromesso”); R.TISCINI, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011, pp. 175 ss.

[40] S.A.CERRATO, Un problema cruciale per il buon andamento della giustizia societaria: la redazione della clausola compromissoria, in Le società, 2021, pp.987 ss., il quale rinvia a C.MARTINETTI, L’Arbitrato nella prassi: alcuni casi clinici, in AA.VV., Manuale sintetico dell’arbitrato, a cura di M.Giorgetti – G.Impagnatiello, Roma, 2017, pp. 329 ss.

[41] A tale espressione dell’illustre Autore si riferisce S.A.CERRATO, Il ruolo dell’autonomia privata nell’arbitrato societario, in L’autonomia negoziale nella giustizia arbitrale, Atti del X Convegno SIDiC, 14-16 maggio 2015, Napoli, 2015, pp.473 ss.

[42] Cass., sezioni unite, 17 dicembre 1998 n. 12616.

[43] Si tratta della sentenza della Cass.19 settembre 2003 n.13893, in Corr.Giur., 2003, pp. 1583 ss.

[44] M.BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, in Giust.Civ., 2003, pp.480 ss.. Le stesse perplessità potrebbero essere sollevate per la successione mortis causa a titolo particolare.

[45] In senso positivo S.A.CERRATO, op.ult.cit., p. 479, nota 15. In dottrina cfr. anche L.ROVELLI, L’arbitrato delle società, in AA.VV., L’arbitrato. Profili sostanziali, coordinato da G.Alpa, Torino, 1999, p. 826.

[46] F.P.LUISO., La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, V, p. 1210; nello stesso senso, R.TISCINI., La mediazione, cit., p. 173; in giurisprudenza, Cass. 3.12.1987, n. 8983, in Mass. Giur. it., 1987; Cass. 13 luglio 1992, n. 8476, in Giur. it., 1993, I, 1, p. 1518.

[47] M.MARINARO, Clausola di mediazione, in Clausole Negoziali, VI, a cura di M.CONFORTINI, Milano, 2017, pp.1209 ss.; V.RENNA, La mediazione «da clausola», in La nuova proc. civ., 2015, p. 1; TRISCARI G., Le forme della mediazione, in G.Triscari – A.Giovannoni, Manuale della mediazione, Milano, 2012, p. 230.

[48] Così M.BUZIO, op.cit., pp. 82 ss.

[49] Con il limite dell’inderogabilità della competenza territoriale, come nel caso del c.d. foro del consumatore, che – peraltro – nelle controversie societarie non viene in rilievo.

[50] Sul punto M.BUZIO, op.cit., pp. 82 ss.

[51] Si tratterebbe di una sanzione pecuniaria pattizia diversa da quella irrogabile dal giudice ex art. 12 bis comma 3 D.lgs. 28/2010

[52]  Sul punto sia consentito il rinvio a M.SARACENO, Conclusione, pubblicità ed esecuzione degli accordi di conciliazione, in questa rivista. 

[53] N.SOLDATI, Arbitrato societario: cassata la tesi del doppio binario, in Le società, 2012, 2, pp.211 ss.; A.RUOTOLO, Le clausole arbitrali e l’attività notarile, Studio CNN n.5856/I,  approvato dalla Commissione studi d’impresa del Consiglio Nazionale del Notariato il 15 luglio 2005; F.S.PERCHINUNNO, Le clausole compromissorie nelle società di capitali, in Atti del convegno su “Il contributo del Notariato alla degiurisdizionalizzazione: mediazione, negoziazione assistita e arbitrato”, tenutosi a Bari il 17 marzo 2017; S.A. CERRATO, Arbitrato societario e “doppio binario”: qualche riflessione alla luce della giurisprudenza più recente, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, p.340; R. GUIDOTTI, C’è davvero disordine normativo in tema di arbitrato di diritto comune in materia societaria?, in Giur. comm., 2009, II, p.1012; S.A. CERRATO, Arbitrato societario: nuove conferme per il “doppio binario”, in Giur. it., 2007, p.2240; S.A. CERRATO; Arbitrato societario e doppio binario: una svolta?ivi, 2007, p.907; R. GUIDOTTI, L’arbitrato di diritto comune dopo la riforma del diritto societario, in Notariato, 2005, p.261; S. RECCHIONI, L’arbitrato in materia societaria fra clausola compromissoria preesistente e ius superveniens, in Riv. arb., 2004, p.771.

[54] Tribunale Milano 18 luglio 2005.

[55] Cass.28 luglio 2015 n.15841; Cass.24 ottobre 2016 n.21422, e da ultimo Cass.12 ottobre 2018 n.25610, nella quale viene affermata addirittura la valenza di ordine pubblico del principio di imparzialità della decisione arbitrale sottesa alla scelta legislativa di rimettere a un terzo imparziale la nomina dell’arbitro.

[56] A.FUSARO, Sui confini della responsabilità disciplinare notarile: a proposito della clausola compromissoria statutaria e delle nullità relative, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2011, 9, pp.20408 ss. 

[57] Si ritiene, invece, che debba escludersi la responsabilità del notaio qualora lo stesso, chiamato a verbalizzare una qualsiasi altra modifica dello statuto di società di capitali, riscontri all’interno del medesimo una clausola compromissoria non conforme alla disciplina ex art.838 bis c.p.c. non essendo direttamente coinvolto né nella redazione, né nella verbalizzazione della clausola difforme. In tal senso G.LIOTTI, La convenzione di arbitrato: compromesso, clausole arbitrali e risvolti sull’attività notarile, in Notariato, 2013, 4, pp.410 ss.

[58] Massima del Comitato Notarile Triveneto n,1.H.4.

[59] In tal senso si sono espresse diverse sentenze di merito:.Tribunale di Prato 19 marzo 2009, Trib.Bari 3 giugno 2008 nonché una risposta a quesito CNN n.162-2009.

[60] In tal senso anche Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, massima del 7 febbraio 2011, Clausola compromissoria nelle società di persone: “L’art. 34 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, regola un modello di arbitrato che trova applicazione per tutte le società commerciali, ivi comprese le società di persone. È, altresì, da ritenere che la norma prevede un istituto che si aggiunge ma non si sostituisce a quello tradizionale regolamentato dal codice di procedura civile agli artt. 806 e segg., per cui è lasciato alle società, nell’esplicazione della propria autonomia contrattuale, di scegliere il tipo da adottare nella risoluzione delle controversie sociali. Pertanto nella redazione delle clausole compromissorie si ritiene opportuno che il Notaio, dopo aver indagato la volontà delle parti, faccia riferimento alle norme che sovrintendono alla tipologia di arbitrato scelto dalle parti“. In giurisprudenza: Trib. Trento 8 aprile 2004.

[61] A.RUOTOLO, op. cit., p.1331, nota 14.

[62] A.FERRUCCI-C.FERRENTINO, Società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici, I, II ed., Milano, 2012, p.89.

[63] E.FAZZALARI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Rivarb., 2002, p.225; M.BOVE, La giustizia privata, Milano, 2023, p.372; R.NOBILI, Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, Roma, 2003, p.58.

[64] Da ultimo cfr. Cass. 10 febbraio 2022 n.4335 e, prima ancora Cass. 28 luglio 29015 n.15841; Cass. 17 febbraio 2014 n.3665; contra Cass. 4 giugno 2010 n.13664.

[65] Cass.20 luglio 2006 n.16718, nella quale si legge che è da intendersi come clausola compromissorie per arbitrato irrituale la clausola in cui le parti “avevano dichiarato di accettare il lodo come espressione della loro stessa volontà e avevano attribuito agli arbitri il potere di giudicare senza equità e senza alcun vincolo formale di espressione del loro giudizio”.

[66] S.A.CERRATO, Un problema cruciale per il buon andamento della giustizia: la redazione della clausola compromissoria, cit. p.990.

[67]F. CORSINI, La riforma dell’arbitrato nell’ambito del D.lgs.n.149 del 2022, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 2023, p.122.

[68] R. RODORF, L’arbitrato societario dopo la “riforma Cartabia” (D.lgs.149/2022), in Le società, 2023, 11, pp.1285 ss.

[69] R. RODORF, op.cit., p.1286; nello stesso senso L. SALVANESCHI, Le nuove norme in materia di arbitrato, in Riv. Arb., 2023, p.781, la quale osserva che si tratterebbe un’involuzione dei poteri cautelari degli arbitri societari. Osserva O. CAGNASSO, L’arbitrato societario, in Trattato del diritto dell’arbitrato, diretto da D. Mantucci, Napoli, 2023, IX,  p.233, che la clausola compromissoria potrebbe ora anche escludere il potere cautelare di sospensione della delibera, riservandola al giudice ordinario. Questa conclusione è avversata da R. RODORF, op.cit., p.1287, secondo cui il tenore letterale (e la rubrica) dell’art.838 ter c.p.c., nonostante la salvezza dell’art.818 c.p.c., manifesta in modo alquanto perentorio la chiara intenzione del legislatore di attribuire agli arbitri quello specifico potere senza lasciare alcuno spazio ad un’eventuale volontà contraria delle parti.

[70] Così L. SALVANESCHI, op.cit., p.781.

[71] R. RODORF, op.cit., p.1287.

[72] In senso negativo R. RODORF, op.cit., p.1287. Conclude, invece, per la possibilità che le parti, nella clausola compromissoria, prevedano una competenza concorrente degli arbitri e dell’autorità giudiziaria A. CARLEVARIS, Competenza cautelare esclusiva degli arbitri e autonomia privata, in Riv.Arb., 2023, pp.90 ss. Secondo L. SALVANESCHI, op.cit., p.752 ss., qualora una delle parti si rivolga al giudice ordinario chiedendo l’emissione di un provvedimento d’urgenza, nonostante la competenza esclusiva attribuita agli arbitri in tale materia, senza che l’altra parte sollevi eccezione alcuna, il giudice adito ben possa provvedere. In senso contrario A. BRIGUGLIO, Il potere cautelare degli arbitri, introdotto dalla riforma del rito civile, e la inevitabile interferenza del giudice (“evviva il cautelare arbitrale!”, ma le cose non sono poi così semplici), in Riv.arb., 2023, pp.797-798, il quale fa leva sull’inderogabilità della competenza in materia cautelare ex art.28 c.p.c.

[73] Le stesse considerazioni e lo stesso auspicio di cui nel testo potrebbero essere riproposti per la mediazione, anche se per tale strumento ADR si sta iniziando a diffondere la consapevolezza della sua importanza, mentre per l’arbitrato si è ancora molto lontani dal coglierne le potenzialità per la categoria notarile.

[74] G. RAMONDELLI, Considerazioni a margine del convegno nazionale sull’arbitrato in relazione alla figura del notaio, in Riv. Not., 1974, pp.74 ss.

[75] G. LAURINI, L’arbitrato, la riforma Cartabia e il notariato, in Notariato, 2023, 4, p.377-378.

[76] Ma anche nei settori dei contratti, della famiglia e delle successioni.

[77] Notaio, che secondo alcuni, potrebbe essere addirittura lo stesso notaio rogante dell’atto per “interpretare se stesso”. Esprimo qualche perplessità sulla possibilità di tale coincidenza, ma mi sentirei di escludere decisamente la percorribilità di tale strada nei casi in cui si discuta della validità dell’atto medesimo.

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