Il contraddittorio preventivo e l’imposta di registro
a cura di Gabriele Fanti
1. Il principio del contraddittorio preventivo
Il D.Lgs 30 dicembre 2023 n. 219, in attuazione dell’articolo 4 della legge delega 09 agosto 2023 n 111, ha apportato rilevanti modifiche allo statuto del contribuente. Tra queste, di indubbio interesse, è l’introduzione dell’articolo 6-bis il quale ha generalizzato l’applicazione del principio del c.d. Contraddittorio preventivo. In particolare tale norma prevede che: “tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria” debbano essere preceduti, a pena di annullabilità (ma è da notare anzitutto che l’art 4, lett. F, della legge delega prevedeva la sanzione della nullità), da un “contraddittorio informato ed effettivo ai sensi del presente articolo”. Il principio del c.d. “contraddittorio preventivo”, caposaldo del diritto europeo ma già presente anche nel nostro ordinamento, principalmente grazie all’attività della giurisprudenza ma anche per alcuni sporadici interventi del legislatore, viene quindi esteso a tutti gli atti impositivi.
L’art. 6-bis, nel proseguio, dopo aver dettato i tassativi casi di esclusione dall’obbligo del contraddittorio preventivo, rinvia, per l’esatta individuazione delle singole fattispecie escluse, ad un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze che è stato emanato il 24 aprile 2024, pubblicato sulla GU Serie Generale n.100 del 30-04-2024.
Tale decreto contiene anche alcune previsioni relative alle imposte di registro, successione/donazione, ipotecaria e catastale, che, per una loro corretta interpretazione, meritano un adeguato approfondimento. Rappresenterebbe, infatti, un grave errore ritenere tali imposte esonerate in toto dall’obbligo di contraddittorio preventivo.
2. Breve storia del principio
L’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea riconosce “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”.
In forza di tale diritto “che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità [1]”.
Proprio da tale principio comunitario, nonché dagli artt. 24 e 97 Cost. e dai principi generali della legge 241/1990, partono le sezioni Unite della Cassazione, nelle pronunce gemelle n. 19667/14 e 19668/14 del 18 settembre 2014, per giungere a statuire che: “Da questo complesso di norme emerge chiaramente che la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o endo-procedimentale”, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.”.
Il principio trova poi un primo accoglimento normativo esplicito al comma 7 dell’art. 12 della Legge 212/2000 (statuto del contribuente) che prevedeva che: “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine”.
Tale previsione, tuttavia, non viene considerata espressione di un principio generale già immanente nel nostro ordinamento dalla Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 09/12/2015 n.24823[2] che lo ritiene direttamente applicabile soltanto per i tributi armonizzati (la cui disciplina generale sia dettata dal diritto comunitario) e, al di fuori di essi, nei soli casi in cui sia espressamente previsto.
Nel solco di tale decisione, la Cassazione con ordinanza n. 11841/22[3] ha escluso dall’ambito di applicazione dell’obbligatorietà del contraddittorio preventivo l’imposta di registro statuendo che: “In assenza di una specifica previsione di legge l’amministrazione finanziaria non ha alcun obbligo di instaurare un contraddittorio preventivo con il contribuente prima dell’emissione dell’avviso di liquidazione”.
Il legislatore, dal canto suo, ha dato prova di un sempre più crescente favor per il contraddittorio preventivo giungendo a generalizzarlo una prima volta con il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, che introduce nel decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 l’articolo 5-ter il quale prevede: che “L’ufficio, (….), prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l’invito a comparire di cui all’articolo 5 per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento”.
Le uniche eccezioni vengono poste per gli accertamenti parziali (automatizzati) ex artt. 41-bis dpr 600/73 (Irpef) e 54, terzo e quarto comma, D.p.r. 633/1972 (iva) nonché “In tutti i casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione”.
Vi è poi l’obbligo per l’ufficio di motivare specificamente in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio.
Il mancato rispetto della norma comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento, ma a condizione che il contribuente “dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato” (c.d. Prova di resistenza). Molti di tali elementi saranno ripresi dal nuovo articolo 6-bis L. 212/2000 il quale non richiede tuttavia più, per l’annullamento del provvedimento emesso in assenza di contradditorio, la prova di resistenza.
3. Il nuovo articolo 6 -bis L. 212/2000
La disposizione in commento esordisce individuando il suo ambito di applicazione il quale si estende a: “tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria” i quali debbono essere “preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo ai sensi del presente articolo”.
E’ quindi immediatamente evidente l’intenzione del legislatore di rendere il contraddittorio preventivo uno strumento generale di tutela del contribuente, come del resto specificamente imposto dalla legge delega la quale all’art. 4 lett f) vincolava il governo a: “prevedere una generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità”.
Si può pertanto già riconoscere che le fattispecie di esclusione dall’obbligo del contraddittorio preventivo, che verranno analizzate nel paragrafo che segue, rappresentano eccezioni alla norma di portata generale contenuta nel primo comma ed esigono pertanto un’interpretazione ed applicazione restrittiva.
Prova dell’importanza data dal legislatore al nuovo istituto è fornita altresì dal terzo comma dell’articolo in esame che disciplina con rigore le modalità di svolgimento del contradditorio prevedendo addirittura l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di comunicare al contribuente lo “schema” dell’atto impositivo che intende adottare, assegnando allo stesso un termine non inferiore a sessanta giorni per consentirgli di presentare le sue controdeduzioni ovvero accedere agli atti del fascicolo ed estrarne copia.
Durante questo periodo di “riflessione”, concesso al contribuente per valutare la propria posizione ed eventualmente aderire spontaneamente alla posizione dell’agenzia delle entrate ovvero presentare argomentazioni e documentazione a suo sostegno, l’ufficio non può tassativamente emettere l’atto.
Chiaramente un tale periodo di sospensione della potestà impositiva dell’ufficio, se non correttamente “sterilizzato”, potrebbe essere di grave pregiudizio alle ragioni dell’erario nonché paralizzare tutte quelle attività che prevedono per l’ufficio termini decadenziali incompatibili con tale lasso temporale. Il correttivo adottato dal legislatore è stato quello della proroga di tali termini decadenziali.
Infatti, se la scadenza del termine di sessanta giorni offerto al contribuente per il contraddittorio è successiva a quella del termine di decadenza per l’adozione dell’atto conclusivo ovvero se fra la scadenza del termine assegnato per l’esercizio del contraddittorio e il predetto termine di decadenza decorrono meno di centoventi giorni, tale ultimo termine è posticipato al centoventesimo giorno successivo alla data di scadenza del termine di esercizio del contraddittorio.
Infine, l’ultimo comma dell’articolo, ribadisce l’obbligatorietà della c.d. Motivazione rafforzata, ossia l’obbligo per l’ufficio, qualora emetta ugualmente il provvedimento, di tener conto (a pena di invalidità dell’atto) degli argomenti e delle obbiezioni sollevate dal contribuente e argomentare in risposta ad essi. Si tratta di un aspetto di non secondaria importanza. Infatti laddove l’ufficio trascuri di motivare in risposta alle obbiezioni mosse dal contribuente, ovvero la relativa motivazione risulti non persuasiva o contraddittoria, il provvedimento potrà essere censurato dalla giustizia tributaria.
3- bis. Modalità di svolgimento del contraddittorio preventivo
Il termine “contaddittorio” chiarisce già di per sé la natura dell’attività che l’ufficio dell’amministrazione finanziaria è tenuto a porre in essere. Se “contraddittorio” significa dibattito, discussione, confronto di tesi avverse, allora è chiaro che ciò che deve accadere è che da un lato l’ufficio deve esporre al contribuente la propria tesi nel modo più chiaro ed esaustivo possibile e, dall’altro, deve mettere in condizione il contribuente di esporre le proprie controdeduzioni e, soprattutto, di “ascoltarlo”, tenendone conto, come già detto, in sede di adozione del provvedimento. Alla prima di tali attività (la comunicazione) può essere riferito il termine “informato”, utilizzato dall’art. 6-bis, mentre alla seconda di tali attività (l’ascolto) può certamente essere riferito il secondo termine utilizzato dalla norma: “effettivo”.
Il primo atto di impulso al contraddittorio preventivo deve provenire, pertanto, dall’amministrazione finanziaria la quale ritenendo che, in esito all’attività istruttoria già espletata, ricorrano i presupposti per l’adozione di un atto, deve sospenderne l’emissione ed inviare al contribuente l’invito al contraddittorio ossia una comunicazione formale che contenga tutti gli elementi dell’emanando atto ed informi il contribuente sulle modalità con cui far pervenire all’ufficio la proprie deduzioni avvertendolo altresì che in mancanza, decorso il termine di 60 giorni, il provvedimento (che dovrà essere allegato in bozza all’invito) potrà essere emanato in suo danno.
Per l’individuazione dell’esatto contenuto di tale comunicazione, al fine di consentire di definire il contraddittorio “informato” ai sensi dell’art. 6-bis Sdc, può soccorrere il disposto dell’art. 7 dello statuto del contribuente rubricato “chiarezza e motivazione degli atti”. Tale disposizione sancisce l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di motivare a pena di nullità i propri atti indicando specificamente:
presupposti;
mezzi di prova;
ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione.
Ecco che è quindi già possibile concludere che nel caso in cui l’invito al contraddittorio (o meglio la bozza dell’atto ad esso allegato) sia privo di tali indicazioni il contraddittorio non potrà più dirsi “informato”. Il vizio dell’atto di invito al contraddittorio, conseguentemente, si comunicherà quindi al provvedimento eventualmente emesso dall’ufficio il quale risulterà quindi annullabile ex art. 6-bis s.d.c. , poiché non preceduto da un contraddittorio informato.
E’ possibile per l’ufficio motivare per relationem ma in tal caso dovrà essere allegato l’atto richiamato. E’ importante rilevare sin da subito che i fatti e i mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente integrati o sostituti (Cfr. comma 1-bis art. 7 sdc).
Pertanto se in un secondo momento l’ufficio riterrà di adottare il provvedimento per ragioni diverse da quelle originariamente rappresentante al contribuente, dovrà inviare un nuovo invito al contraddittorio integrato delle nuove motivazioni (se è ancora nei termini) il quale però non potrà ovviamente usufruire di una nuova sospensione dei termini ex art. 6-bis, comma 3, s.d.c. perché altrimenti si consentirebbe all’ufficio di dilatare sine die il termine di decadenza per l’adozione dell’atto.
Inoltre, poiché ai sensi del citato articolo 7, gli atti dell’amministrazione finanziaria devono indicare: “l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete ed il responsabile del procedimento” tale indicazione dovrà essere presente anche nell’invito al contraddittorio. In aggiunta dovrà essere indicato l’ufficio presso il quale poter ottenere copia della documentazione inerente l’atto e le modalità per il suo ottenimento (ai sensi dell’art. 6-bis comma 3 sdc).
Se quanto detto attiene alle modalità di comunicazione dall’ufficio verso il contribuente affinché il contraddittorio sia “informato”, meno indicazioni fornisce la norma sulle modalità di svolgimento della comunicazione nel senso opposto, dal contribuente all’ufficio.
L’unico indice per la valutazione dell’effettività del contraddittorio è dato dall’ultimo comma dell’art. 6-bis il quale prevede che il provvedimento adottato: “tiene conto delle osservazioni del contribuente ed è motivato con riferimento a quelle che l’Amministrazione ritiene di non accogliere”.
Da tale disposizione è tuttavia possibile già desumere qualche principio. Innanzitutto, affinché sia possibile il successivo vaglio da parte della giustizia tributaria circa la completezza e la correttezza della motivazione dell’atto adottato dall’A.f., rispetto alle osservazioni del contribuente, è necessario che di tali osservazioni resti prova scritta.
Ciò significa che potranno essere sicuramente inoltrate all’ufficio tramite posta raccomandata, pec o, se reso disponibile dall’ufficio, tramite il canale “civis”. Tuttavia ciò non comporta necessariamente che le stesse non potranno essere rese oralmente dal contribuente.
Sopperisce, infatti, in tal senso, il comma 4 dell’art. 12 dello statuto del Contribuente, il quale prevede che: “delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica”. Pertanto il contribuente potrà esternare le proprie osservazioni verbalmente, le stesse potranno poi essere oggetto di verbalizzazione da parte del responsabile del procedimento ed il verbale fatto proprio dal contribuente tramite la sua sottoscrizione.
Anzi, è auspicabile che sia consentita al contribuente la possibilità di recarsi fisicamente in ufficio ed interloquire direttamente con il responsabile poiché solo in tal caso il contraddittorio potrà dirsi effettivo per tutti quei contribuenti che, magari anche sprovvisti dall’assistenza di un professionista, intendano avere un colloquio rapido, diretto ed esaustivo con l’ufficio.
Per quanto riguarda il contenuto delle comunicazioni provenienti dal contribuente e dirette all’ufficio esse possono consistere indubbiamente in “osservazioni e rilievi”, ossia argomentazioni giuridiche e fattuali atte a contrastare le argomentazioni addotte dall’ufficio, ma può trattarsi anche di documentazione volta a comprovare l’infondatezza della pretesa erariale (ad esempio perizie; estratti di bilancio; documentazione contabile e fiscale; estratti dai registri degli atti civili).
Tuttavia un possibile contenuto della risposta del contribuente al fisco può anche consistere in “richieste” dallo stesso avanzate all’ufficio, come desumibile dal testo dell’abrogato comma 7 dell’art. 12 s.d.c., già citato[4]. E a tal riguardo si potrebbe pensare alla richiesta all’ufficio di fornire un determinato dato in suo possesso o di acquisire informazioni dall’anagrafe tributaria che potrebbero comportare una diversa qualificazione della fattispecie. La richiesta, tuttavia, potrebbe anche semplicemente riguardare la possibilità di essere ricevuto personalmente al fine di poter rappresentare oralmente le proprie ragioni.
E’ lecito presumere che nell’intervallo di tempo di 60 giorni concesso dal legislatore al contribuente lo stesso possa presentare anche più di una risposta all’invito al contraddittorio non essendoci alcuna ragione per ritenere che si tratti di una facoltà che si esaurisca al suo primo esercizio.
Come già detto, il provvedimento emanato dall’ufficio sarà impugnabile ove lo stesso sia stato emesso prima del decorso del termine di 60 giorni dall’intervenuta notifica, ai sensi di legge, dell’invito al contraddittorio. Lo stesso sarà parimenti annullabile ove non abbia tenuto conto delle osservazioni, della documentazione e delle richieste avanzate dal contribuente argomentando persuasivamente i motivi per cui le stesse sono state disattese.
4. Le eccezioni al contraddittorio preventivo
Venendo all’analisi delle eccezioni all’obbligo del contraddittorio preventivo contenute nel medesimo art. 6-bis L. 212/2000 esse in sintesi concernono:
gli atti “automatizzati”;
gli atti “sostanzialmente automatizzati”;
gli atti di controllo formale delle dichiarazioni;
gli atti di “ pronta liquidazione”;
Viene infine confermata l’esenzione dall’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti quei casi “motivati di fondato pericolo per la riscossione”, espressione invero un po’ vaga che meriterebbe forse di essere più analiticamente definitiva.
Il secondo comma dell’art. 6-bis, tuttavia, non si limita ad elencare tali esclusioni ma, come già detto, demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze l’individuazione dei singoli atti rientranti nelle sopraesposte categorie al fine di fornire agli uffici ed ai contribuenti una nomenclatura esaustiva e chiara (obiettivo solo in parte reggiunto) degli atti esclusi dal contraddittorio preventivo. Prima di passare all’analisi delle singole previsioni di esclusione dettate dal DM in relazione alle imposte che qui ci interessano, è opportuno analizzare brevemente le sopra esposte categorie generali di atti esentati.
4.1 Gli atti automatizzati e “Sostanzialmente automatizzati”
Per quanto riguarda gli atti automatizzati, verrebbe naturale individuare tale categoria in tutti quegli atti emanati dall’amministrazione finanziaria ad esito di una procedura interamente informatizzata o per meglio dire: che può anche svolgersi in modo totalmente informatico ma che non necessariamente prescinde dall’intervento di un operatore fisico.
Esempi sarebbero rinvenibili negli avvisi ex artt. 36-bis[5] d.p.r. 600/1973, per le imposte sui redditi, e 54-bis[6] Dpr 633/1972. Si tratta dei recuperi inviati dall’amministrazione finanziaria al contribuente in esito alla liquidazione e al controllo dei versamenti delle imposte dovute sulla base di quanto esposto dal contribuente nelle dichiarazioni fiscali. Tali controlli, effettuati in prima battuta dai software forniti da SOGEI, ma sottoposti, ove occorrente, a revisione da parte dei funzionari preposti, sono volti principalmente alla correzione degli errori materiali e di calcolo effettuati dai contribuenti nonché nella verifica della tempestività e corrispondenza agli importi dichiarati dei versamenti di imposta effettuati dal contribuente.
Pur trattandosi di controlli certamente automatizzati, tuttavia, come vedremo nel proseguio, la scelta del legislatore è stata nel senso di non ricondurre queste fattispecie agli atti di controllo automatizzato bensì agli atti di “pronta liquidazione”, con importanti conseguenze.
Più sfuggente è la categoria degli atti “sostanzialmente” automatizzati, potendosi forse individuare tale tipologia di atti in tutti quegli atti formati tramite liste automaticamente predisposte in modo informatico dai software di analisi dell’anagrafe tributaria ma inviate al contribuente in seguito all’attività manuale del funzionario preposto di conferma dell’esito informatico.
Un esempio può essere rinvenuto nel c.d. Campione unico. Ossia nelle liste, formate con procedura automatizzata informatica, di possibili contribuenti decaduti da agevolazioni fiscali richieste per l’imposta di registro. Tali elenchi vengono predisposti tramite l’incrocio di dati dal sistema informatico e sottoposte per la conferma all’attenzione del funzionario preposto. Il funzionario addetto al servizio verificherà se nella specifica ipotesi ricorra o meno la fattispecie a cui le norme riconducono la decadenza dall’agevolazione richiesta ed in tale caso confermerà l’avviso di liquidazione[7].
4.2 Gli atti di controllo Formale
Si tratta di controlli fondati esclusivamente sul controllo della documentazione formale a sostegno dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali[8].
In tale ipotesi l’esclusione dal contraddittorio preventivo si fonda, da un lato, sul fatto che il controllo formale si limita semplicemente alla verifica della presenza di un dato documento e la sua corrispondenza al parametro legale, senza pertanto che sia svolta una attività di accertamento di base imponibile o di liquidazione di imposta in senso stretto, e, dall’altro lato, sulla circostanza che le specifiche norme dettate in materia prevedono già ab origine un coinvolgimento del contribuente il quale, prima dell’emissione dell’atto, è chiamato a presentare tutta la documentazione in suo possesso e, con essa, è facoltizzato a presentare relazioni di accompagnamento nonché a presentare le proprie osservazioni a mezzo pec o tramite il canale Civis
4.3 Gli atti di pronta liquidazione
Di più difficile individuazione è il perimetro degli atti di “pronta liquidazione”.
Innanzitutto occorre chiarire che per “liquidazione” si intende l’attività di determinazione dell’imposta dovuta applicando alla base imponibile, ossia all’indice di capacità contributiva individuato dal legislatore, l’aliquota fissata dalla legge. Trattandosi di attività meramente matematica essa non può che essere sempre di “pronta” effettuazione ogni qual volta sia ben individuabile la base imponibile e certa l’aliquota applicabile. Ove così non fosse, la liquidazione presupporrebbe attività di accertamento della base imponibile o di determinazione dell’aliquota.
Pertanto gli atti di pronta liquidazione sarebbero tutti quegli atti che consentano, con immediatezza e senza necessità di una preventiva attività instruttoria, l’individuazione dell’imposta dovuta tramite applicazione alla base imponibile della corretta aliquota senza che possano esservi dubbi né sulla prima né sulla seconda.
Resterebbero pertanto esclusi tutti gli atti che per la determinazione dell’imposta richiedano l’acquisizione di ulteriore documentazione o informazioni ma anche parimenti tutti gli atti che richiedano il compimento di attività di deduzione logico-giuridica, di analisi e qualificazione giuridica eccedente l’ordinario.
Infatti, la ratio dell’esclusione dal contraddittorio preventivo non può che individuarsi nella convinzione del legislatore che esso sia superfluo, o comunque non essenziale, nelle ipotesi in cui il tributo sia calcolabile con ridotto margine di errore in quanto risulti evidente il presupposto di imposta, la base imponibile e l’aliquota. Il concetto di pronta liquidazione, pertanto, non può che essere inteso sia nel senso di “rapida” liquidazione che nel senso di “certa” liquidazione.
5. Il decreto del MEF 24 Aprile 2024
Venendo all’analisi delle ipotesi di esclusione del contraddittorio preventivo dettagliatamente individuate dal decreto Ministeriale del Ministero dell’economia e finanze del 24 aprile 2024, pubblicato sulla GU Serie Generale n.100 del 30-04-2024, può anzitutto osservarsi che la strada scelta dal legislatore è stata quella di dettare dapprima una definizione generale ai primi commi degli artt. 2 (per gli atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati) e 3 (per gli atti di pronta liquidazione), nonché all’art. 4 per i controlli formali ex art. 36 ter dpr 600/1973, per poi procedere, nei successivi commi, ad una elencazioni dettagliata di atti da riconsiderarsi compresi nell’esclusione, ai sensi del comma precedente, che non può che avere natura tassativa.
Le fattispecie ricomprese negli artt. 2 e 3 meritano una separata analisi mentre l’ipotesi contemplata dall’art. 4 non può trovare applicazione per l’imposta di registro.
5.1 Gli atti Automatizzati e sostanzialmente automatizzati
L’art. 2, comma 1, definisce gli atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati come “tutti quegli atti emessi dall’amministrazione finanziaria e riguardanti esclusivamente violazioni rilevate dall’incrocio di elementi contenuti in banche dati nella disponibilità della stessa amministrazione”.
Tra essi, per quanto riguarda l’imposta di registro, il successivo comma annovera:
f) gli avvisi di liquidazione per decadenza delle agevolazioni fiscali, ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali;
g) gli avvisi di liquidazione per recupero delle imposte di registro, ipotecarie e catastali a seguito di rettifica ai sensi dell’art. 12 del decreto-legge del 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154.
Si è già visto, al paragrafo 4.1., come gli atti di cui alla lettera f) sono agevolmente qualificabili come sostanzialmente automatizzati. Indubbiamente automatizzati sono anche gli atti di cui alla lettera “g”, ossia i recuperi delle imposte di registro, ipotecarie e catastali per tutti quegli atti che abbiano usufruito della tassazione sul valore catastale del bene immobile trasferito, iscritto in catasto con rendita proposta, in seguito alla rettifica di tale rendita. E’ chiaro che in questo caso il recupero discende automaticamente dall’intervenuta rettifica della rendita catastale e l’intervento del contribuente in una fase precedente all’emissione del recupero poco potrebbe apportare al procedimento di formazione dell’atto amministrativo.
A tal riguardo, tuttavia, è utile sottolineare come tale facoltà sia già stata offerta al contribuente che, destinatario di un avviso catastale di rettifica di rendita, è messo in condizione di opporsi alla stessa presentando istanze, documentazione e osservazioni ovvero di proporre impugnazione giudiziale.
5.2 Gli atti di pronta liquidazione
Maggiori problemi pone la categoria degli atti di “pronta liquidazione” definiti dal comma 1 dell’art. 3 come: “ogni atto emesso dall’amministrazione finanziaria a seguito di controlli effettuati sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai dati in possesso della stessa amministrazione”.
Tra questi, con disposizione piuttosto laconica, il comma secondo include:
c) gli avvisi di liquidazione dell’imposta, nonché di irrogazione delle sanzioni, per i casi di omesso, insufficiente o tardivo versamento, omessa o tardiva registrazione degli atti e tardiva presentazione delle relative dichiarazioni, dei seguenti tributi:
imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131;
imposte ipotecaria e catastale e tasse ipotecarie di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347;
imposta sulle successioni e donazioni di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346.
Prima di analizzare tale disposizione può tuttavia essere utile soffermarsi brevemente sulle ipotesi di esclusione contemplate dalle precedenti lettere a) e b) dell’art. 3, poiché dalle stesse è possibile desumere importanti criteri ermeneutici per la lettura dei punti successivi.
Il provvedimento in oggetto ha infatti ritenuto di ascrivere tra gli atti di pronta liquidazione e non tra gli atti automatizzati o sostanzialmente automatizzati le comunicazioni degli esiti del controllo di cui all’art. 36-bis del D.pr. 600/1973 e dell’art. 54-bis D.p.r. 633/1972, di cui si è già parlato, ancorché tali controlli siano espressamente qualificati come “automatizzati” dalle rispettive norme.
La scelta del legislatore non va tuttavia degradata a mera svista o imprecisione ma è sintomatica di una evidente intenzione di definire gli atti di pronta liquidazione come quegli atti aventi a oggetto mere operazioni di elaborazione matematica del dato presentato dal contribuente (anche effettuabili in modalità automatica).
In altri termini: se di pronta liquidazione è l’avviso che recupera un versamento dell’acconto Irpef effettuato in misura inferiore a quanto dallo stesso contribuente dichiarato in dichiarazione allora è chiara l’intenzione del legislatore di riferire la “pronta liquidazione” alla mera operazione matematica di determinazione dell’imposta tramite l’applicazione dell’aliquota (dichiarata dal contribuente) alla base imponibile (dichiarata dal contribuente) e non all’attività di determinazione/rettifica della base imponibile e/o dell’aliquota indicata dal contribuente.
Chiarito quanto sopra può trarsi la chiave di lettura per una corretta interpretazione della lettera C) dell’art. 3. Le ipotesi sottratte dal legislatore al contraddittorio preventivo non concernano ogni atto e recupero inerente le imposte di registro, ipotecarie, catastali, di successione e donazione e tasse ipotecarie ma solo le tre categorie di recuperi espressamente previsti come eccezione alla regola generale ossia:
l’insufficiente o tardivo versamento;
Omessa o tardiva registrazione;
tardiva presentazione delle relative dichiarazioni.
Mentre l’ipotesi di omessa o tardiva registrazione è chiara e non richiede altri approfondimenti, le altre due fattispecie richiedono un’approfondita analisi.
Per quanto riguarda la tardiva presentazione delle relative dichiarazioni essa può essenzialmente essere riferita a tutti i casi in cui il contribuente è tenuto a presentare il c.d. Modello 2, ossia in tutti quei casi in cui è tenuto a dichiarare un accadimento o un atto che ha incidenza sull’imposta dovuta in relazione ad un atto già registrato (es. avveramento di condizione sospensiva, determinazione del corrispettivo in misura superiore al previsto, proroga di contratto). Ovviamente l’ipotesi ricorrerà anche nel caso di tardiva presentazione della dichiarazione di successione.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, per l’individuazione della fattispecie di insufficiente o tardivo versamento, può soccorrere il disposto dell’art. 13[9] del D.Lgs. 471/1997 il quale assoggetta alla sanzione del 30%: “Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione (….) anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile”. Il terzo comma, poi, contiene una norma di carattere generale che estende tale disciplina ad “ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”.
Ricorre quindi l’insufficiente o tardivo versamento ogni qual volta l’imposta dovuta sia versata in misura inferiore (o in ritardo) rispetto a quanto autoliquidato dal contribuente nella dichiarazione fiscale. Si tratta quindi esclusivamente del caso in cui una imposta già liquidata (ossia determinata tramite applicazione dell’aliquota alla base imponibile) non sia versata nei termini prescritti.
L’estensione poi effettuata dal terzo comma ad ogni imposta non muta in alcun modo l’ipotesi sanzionata che è, e resta, quella dell’omesso versamento di tributo già liquidato (sulla base dell’autoliquidazione o della liquidazione d’ufficio ove prevista). Viceversa specifiche sanzioni colpiscono l’insufficiente o infedele dichiarazione della base imponibile.
Occorre quindi interrogarsi su quali ipotesi integrino l’insufficiente o tardivo versamento dell’imposta di registro.
Indubbiamente tale ipotesi ricorre, ad esempio, nel caso di mancato versamento dell’imposta di registro per le annualità di un contratto di locazione di fabbricato successive alla prima. In tale ipotesi la liquidazione del tributo è già avvenuta e la misura del versamento dovuto alla scadenza è già “cristallizzata”.
Un’altra ipotesi ricorre indubbiamente nel caso in cui l’addebito sul conto corrente del dichiarante o dell’intermediario delle imposte ipotecarie e catastali (ed in futuro sembra anche di successione) e degli altri tributi autoliquidati con la dichiarazione di successione non vada a buon fine. In tale ipotesi nel caso in cui il contribuente non provveda tempestivamente al versamento con F24 andrà incontro alla sanzione per il tardivo versamento.
Ovviamente, infine, rappresenta un tardivo versamento anche il pagamento oltre i termini previsti dell’avviso di liquidazione notificato alle parti o al notaio (ex artt. 3-bis e 3-ter dlgs 463/1997) e divenuto definitivo per omessa impugnazione. Con la conseguenza che l’iscrizione a ruolo delle sanzioni ed interessi dovuti per il tardivo pagamento non comporterà necessità di contradditorio preventivo.
Viceversa non rientrano certamente nell’ipotesi di mero omesso o insufficiente versamento, e pertanto non sono esclusi dall’obbligo di contradditorio preventivo: gli avvisi di liquidazione discendenti da occultazione di corrispettivo (art. 72 TUR), “riqualificazione antielusiva” (art. 10-bis L. 212/2000), rettifica del valore dichiarato del bene commerciato (art. 52 TUR) ma più in generale per tutti gli avvisi di liquidazione per la riscossione della c.d. Imposta complementare (ossia tutti quegli avvisi che presuppongono un’attività istruttoria da parte dell’ufficio ulteriore rispetto alla mera lettura dell’atto sottoposto a registrazione, come nel caso di verifica delle condizioni per usufruire dell’agevolazione prima casa o di verifica della qualità dichiarata del bene).
Tutte queste fattispecie sono accomunate, oltre che dall’avere la propria specifica disciplina sanzionatoria, differente da quanto previsto in via residuale per il tardivo o omesso versamento dall’art. 13 del dlgs. 471/1997, dal presupporre un’attività di indagine fattuale o giuridica volta alla rettifica della base imponibile o dell’aliquota dichiarata dal contribuente.
Ciò distingue detti ipotesi dall’accertamento dell’omesso o tardivo versamento, il quale consiste nella mera attività di confronto tra il dato dichiarato e l’effettivo versamento, anche qualora, ai sensi del citato art. 13 d.lgs. 471/1997, tale confronto sia effettuato passando prima attraverso una “correzione di errore materiali o di calcolo” giacché anche tale attività non presuppone valutazioni di merito ma l’effettuazione di mere operazioni di calcolo.
La stessa analisi può essere trasportata nell’ambito degli avvisi di liquidazione per il recupero della c.d. Imposta principale postuma al fine di individuare gli avvisi sottratti all’obbligo del contradditorio preventivo non in base alla loro forma bensì in base al loro concreto contenuto. Infatti non si può in alcun modo ritenere che qualsiasi avviso di liquidazione dell’imposta di registro notificato alle parti o al notaio in seguito alla rettifica dell’ufficio all’autoliquidazione effettuata rappresenti di per sé una ipotesi di accertamento di tardivo o omesso versamento.
Infatti, a prescindere dal fatto che per tali avvisi la sanzione sia applicabile solo nel caso in cui il pagamento non intervenga decorso il termine di 15 o 60 giorni dalla notifica dell’avviso, circostanza che comproverebbe che l’errata autoliquidazione rettificata dall’ufficio non rappresenterebbe di per sé un omesso o tardivo versamento (poiché altrimenti soggiacerebbe già fin da subito alla sanzione prevista dall’art. 13 dlgs. 471/1997), ciò che rileva, lo si ribadisce, è il contenuto dell’avviso.
E’ infatti possibile ritenere che siano esentati dall’obbligo di contraddittorio preventivo tutti quegli avvisi che, di fatto, ancorché non oggetto di sanzione, riscontrino una mera ipotesi di insufficiente versamento, ossia un mero versamento dell’imposta in misura inferiore alle intenzioni dello stesso contribuente per mero errore di calcolo o materiale.
Esempi possono rinvenirsi in tutti quei casi in cui il versamento non corrisponda a quanto dichiarato dal contribuente nel modello Unico (o nel modello 69) o, nel caso di atto notarile, quanto dichiarato nell’atto. Possono addursi quali esempi le seguenti ipotesi:
Richiesta di tassazione con il metodo del c.d. Prezzo valore inserita nell’atto pubblico ma indicazione nel modello unico di un importo inferiore;
Specificazione in atto o nell’allegato c.d.u. della natura agricola del terreno di cui è trasferita la piena proprietà ma applicazione dell’aliquota nella misura del 9%;
Versamento di imposta in misura inferiore al minimo di euro 1.000;
versamento di imposta in misura non corrispondente all’aliquota e alla base imponibile dichiarata nel modello Unico (o in atto) per mero errore materiale;
imposta dichiarata ma non versata per incapienza del conto su cui è effettuato l’addebito;
imposte dichiarate e versate in modo erroneo per mero errore materiale o di calcolo (es. vendita di terreno non pertinenziale per la quale è applicata l’aliquota per la prima casa; imposta liquidata applicando la corretta aliquota ad una base imponibile diversa da quella indicata in atto; ogni altra ipotesi di discrepanza tra il modello unico e la tassazione espressamente richiesta dalle parti e dal notaio rogante in atto)
Sono, invece, certamente esclusi dall’esenzione, e quindi soggetti all’obbligo del preventivo contraddittorio ex art. 6-bis l. 212/200, tutti quegli avvisi di liquidazione, anche relativi alla cd. Imposta principale postuma, dipendenti dalle seguenti ipotesi:
disconoscimento della possibilità di applicare alla fattispecie l’agevolazione richiesta (ad esempio disconoscimento dell’agevolazione prima casa per l’acquisto di un lastrico solare) o della modalità di determinazione della base imponibile (disconoscimento della possibilità di ricorrere al c.d. Prezzo valore per l’acquisto di un terreno pertinenziale ad un fabbricato);
“Riqualificazione interpretativa” di cui all’art. 20 TUR . Trattasi degli avvisi di accertamento espressioni del potere dell’Amministrazione di “operare una “riqualificazione” in senso giuridico-sostanziale della fattispecie rispetto” alla “apparenza giuridico-formale (e cioè pretendere di applicare la tassazione non in base all’aspetto giuridico esteriore del documento sottoposto alla registrazione, ma alla sua effettiva sostanza “giuridica” e ai suoi reali effetti “Giuridici”[10]. In tali ipotesi, difatti, l’ufficio per sconfessare la liquidazione operata dalle parti, ossia l’imposta dagli stessi “dichiarata”, non si limita ad una mera correzione di errore materiale bensì ad una diversa determinazione della base imponibile rispetto alle parti);
“Accertamento di negozi plurimi” ex art. 21 TUR . Si tratta degli avvisi di liquidazione con cui l’amministrazione finanziaria ravvisa la sussistenza di più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, richiedendo per ciascuna di esse il versamento di autonome imposte. Non si tratta, infatti, di rettifica di errore materiale o di calcolo bensì di una ipotesi di attività giuridica espletata dall’ufficio che “qualifica” un dato letterale quale “disposizione”, ne sancisce l’autonomia giuridico-economica dalla altre disposizioni dichiarate dal contribuente e determina l’imposta applicabile liquidando il tributo);
“ Enunciazione di atti non registrati” di cui all’art. 22 TUR. Anche in tale ipotesi siamo in presenza di una integrazione da parte dell’ufficio della liquidazione effettuata dal contribuente non per mero errore materiale o di calcolo ma per sussunzione di un un dato letterale nella fattispecie indicata dall’art. 22 Tuir. L’attività dell’ufficio presuppone quindi l’accertamento che quella data dichiarazione resa in atto “enunci” un contratto, che tale contratto non sia stato registrato, che l’atto enunciato sia stato posto in essere tra le stesse parti del contratto, che le disposizioni enunciate non siano già cessate o non cessino in virtù dell’atto enunciate. E’ evidente che si tratta di un’attività complessa che esula dalla mera verifica della corrispondenza tra versamento e liquidazione dell’imposta).
La suddetta elencazione, tuttavia, è meramente esemplificativa. Si tratta, infatti, soltanto delle ipotesi di avvisi non correlati al mero tardivo o omesso versamento più ricorrenti nella pratica ma il principio è estendibile ad ogni ipotesi di recupero dell’imposta da parte dell’ufficio. Saranno pertanto soggetti all’obbligo di contraddittorio preventivo, ad esempio, gli avvisi che contestano l’applicazione ad un dato negozio dell’aliquota prevista da un articolo della tariffa allegata al D.p.r. Piuttosto che da un altro[11].
6. Conclusioni
Completata questa rapida disamina dell’art. 6-bis SdC e del DM Mef del 24 aprile 2024 è possibile adesso giungere ad alcune conclusioni.
A parere di chi scrive, in sede di prima applicazione della norma, risulta particolarmente importante evitare di incappare nel possibile errore ermeneutico di ritenere che l’esenzione dal contraddittorio preventivo, contenuta nell’art. 3 lett. c) del Decreto, sia da intendersi riferita ad ogni avviso di liquidazione inerente le imposte di registro, di donazione, ipotecarie, catastali e la tassa ipotecaria.
Appare chiaro, infatti, che l’esenzione dall’obbligo del contraddittorio preventivo, come visto, è giustificata solo per tutte quelle ipotesi nelle quali l’accertamento dell’imposta dovuta è frutto di un mero procedimento di calcolo (effettuato anche a mezzo di sistemi informatici automatici) non esente certo da errori (ma l’esonero dal contraddittorio preventivo non significa che l’atto non resti comunque impugnabile se viziato) ma per il quale poca rilevanza, se non altro statistica, potrebbe avere il coinvolgimento del contribuente in un momento precedente l’emissione dell’atto.
Il legislatore quindi, nel suo prudente bilanciamento degli interessi coinvolti, ha ritenuto (correttamente) di preferire le ragioni erariali della speditezza ed efficienza del procedimento di recupero piuttosto che l’interesse del contribuente a essere coinvolto nel procedimento decisionale, per tutte quelle fattispecie per le quali l’alta probabilità di correttezza dell’operato dell’ufficio, o comunque la fortemente limitata discrezionalità all’interno del procedimento di formazione dell’atto, renderebbe il contraddittorio preventivo un inutile appesantimento.
E’ chiaro che ciò non può dirsi ricorrente per ogni avviso di liquidazione dell’imposta di registro emesso dall’ufficio. Come è noto, infatti, si tratta di imposta di non facile applicazione che presenta numerose incertezze applicative, è chiamata a confrontarsi con la mutevolezza degli affari giudirici ed è spesso anche oggetto di mutamenti interpretativi se non anche di interventi legislativi parziali e lacunosi.
All’opposto l’imposta di registro (e le imposte ipotecarie, catastali e di successione/donazione) rappresenta proprio il terreno più fecondo per l’applicazione del nuovo istituto trattandosi forse dell’imposta che più di tutte si fonda sulla corretta interpretazione giuridica della fattispecie analizzata.
Pertanto, dal 01 maggio 2024, ogni avviso di liquidazione inviato dai competenti uffici dell’agenzia delle entrate, al Notaio e alle parti, che non sia preceduto da un contradditorio informato ed effettivo ai sensi dell’art. 6-bis L 212/2000 sarà annullabile, salvo per le ipotesi di: decadenza delle agevolazioni fiscali, rettifica ai sensi dell’art. 12 del decreto-legge del 14 marzo 1988, n. 70, omesso, insufficiente o tardivo versamento (come sopra individuate), omessa o tardiva registrazione degli atti e tardiva presentazione delle relative dichiarazioni.
Note
[1] Corte di Giustizia 3 luglio 2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Wortdwide Logistics.
[2] la quale così recita: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto“.
[3] Riferita tuttavia ad un avviso di liquidazione relativo ad una sentenza depositata il 22 maggio 2013.
[4] Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
[5] “Avvalendosi di procedure automatizzate, l’amministrazione finanziaria procede, entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta” (art. 36-bis).
[6] Avvalendosi di procedure automatizzate l’amministrazione finanziaria procede, entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo, alla liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti (art. 54 -bis).
[7] Ciò accade, ad esempio, qualora per un contribuente che abbia richiesto l’agevolazione prima casa, impegnandosi a rivendere l’immobile pre-posseduto, non si rilevi nell’anagrafe tributaria la registrazione di atti di cessione da esso medesimo effettuati nell’anno successivo. Oppure ancora nel caso sempre di richiesta di agevolazione per la prima casa si rilevi nei cinque anni successivi all’acquisto l’intervenuta vendita di un fabbricato. Spetterà poi all’operatore verificare se si tratta del medesimo fabbricato e se sono scaduti i termini per il contribuente per riacquistare altra abitazione e questi non vi ha provveduto.
[8] E’ il caso, ad esempio, del controllo degli scontrini e ricevute attestanti le spese mediche sostenute, ovvero le certificazioni attestanti le ritenute subite oppure i bonifici comprovanti le spese per il recupero del patrimonio edilizio detratte dai redditi.
[9] Rubricato: “ Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione”.
[10] Angelo Busani “Imposta di Registro” Ipsoa Manuali, II Edizione 2018, p. 665.
[11] Si può ricordare ad esempio la vicenda relativa al riconoscimento di debito, ricondotto da taluni uffici agli atti aventi natura dichiarativa con applicazione dell’aliquota all’1%, da altri uffici agli altri atti a contenuto patrimoniale con aliquota al 3% per poi essere ricondotto, grazie all’intervento della Cassazione, tra gli atti a contenuto non patrimoniale che scontano imposta in misura fissa. O ancora l’applicazione dell’aliquota al 15% in luogo del 9% per gli atti costitutivi di diritto di superficie su terreni agricoli.
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