Il Concorso è davvero il problema?
Le idee di Lorenzo Biagini (notaio di prossima nomina)
In coda agli interessantissimi contributi espressi nelle scorse settimane, riporto qui di seguito le considerazioni di chi, come me, si accinge a ricevere il tanto agognato “Repertorio n.1”.
Inutile nascondersi: il tema dell’accesso risveglia dentro ciascuno di noi quel viscerale senso di inquietudine che, più o meno a lungo, tutti abbiamo provato prima di vedere il nostro nome nella lista degli idonei alle prove scritte. La tentazione, soprattutto per chi, come me, ancora ha fresco il ricordo del periodo del Concorso, sarebbe quella di aderire al famigerato proverbio che recita “passata la festa, gabbato lo santo”… e invece no.
Non sarebbe giusto far finta che tutto quel che è stato, non sia esistito. E men che meno si deve ridurre il tutto al ricordo di quei meravigliosi e indimenticabili cinque secondi in cui vedi il tuo nome sulla famigerata lista.
Ritengo sia responsabilità di ognuno di noi quella di partecipare al dialogo che il Congresso alle porte si appresta ad affrontare. E dunque, vincendo l’istinto di rimozione verso quel che è stato, provo a dire la mia dal basso della mia inesperienza professionale, ma dall’alto della mia fresca esperienza concorsuale.
Parto con una provocazione: il Notariato, a mio parere, deve essere per tutti e allo stesso tempo per pochi.
1. Per tutti, nel senso che a tutti deve esser data la possibilità di perseguire quello che è stato (e continua ad essere) il nostro sogno. Quindi ben venga la promozione della nostra professionalità nelle scuole e soprattutto nelle università, ben venga l’istituzione di borse di studio a favore di giovani laureati al fine di sostenerli negli anni di studio intenso per preparare il Concorso (magari finanziate dalla Cassa stessa o da altre importanti espressioni di categoria come ad esempio Notartel o dai singoli Consigli Notarili Distrettuali), ben venga l’istituzione di una Scuola Nazionale del Notariato (a condizione che sia in grado di offrire l’organizzazione, la qualità e la continuità didattica che oggi solo le Scuole private riescono ad offrire).
Mi si conceda una piccola digressione su quest’ultimo aspetto: troppo spesso sento puntare il dito contro le Scuole private accusandole di ridurre la scelta del nostro percorso professionale a beneficio dei soli studenti sostenuti da famiglie benestanti (falso), di promuovere un metodo casistico a discapito di un approccio sistematico (falso), di dissuadere da un approccio pratico e distaccato dalla realtà dei nostri studi (di nuovo, falso).
Purtroppo, è stato grazie alle Scuole se il Notariato ha mantenuto negli anni appeal nei confronti di giovani e volenterosi neolaureati, avendo fatto conoscere (sì, sicuramente anche per alimentare il loro business) la nostra professione in tutta la sua bellezza a chi non la conosceva o nemmeno la valutava, sfatando spesso e volentieri i fastidiosi miti e leggende che incomprensibilmente ancora aleggiano intorno alla figura del Notaio. La sfida che la Scuola Nazionale dei Notariato dovrà vincere, sarà dunque quella di non appiattirsi a replicare su scala nazionale i fallimenti della maggioranza delle Scuola Distrettuali, che hanno mancato nel loro intento didattico non certo per la qualità dell’insegnamento, ma per mancanza di organizzazione e di continuità didattica (è passato il tempo della lezione frontale dove arriva il singolo Notaio a parlare monograficamente, una tantum, di un argomento per poi tornare al proprio lavoro di studio non curandosi del supporto quotidiano agli studenti). In poche parole, che il modello delle Scuole private sia d’ispirazione per la Scuola Istituzionale.
2. Per pochi, nel senso che il Notariato non deve commettere l’errore commesso, per esempio, dalla classe forense (della quale mi permetto di parlare soltanto perché ne ho fatto parte fino a pochi mesi fa), che per far fronte a problematiche di sostenibilità previdenziale ha ancora una volta (e tristemente) sacrificato parte del proprio prestigio cedendo ad una modalità di accesso del tutto disinteressata alla selezione di qualità (doppio esame orale, cha ha portato all’accesso in alcuni Distretti di Corti d’Appello a oltre il 75% dei candidati), per poi correggere parzialmente il tiro ripristinando una sola prima prova scritta, che chiaramente non consente di comprendere la reale preparazione del giovane praticante.
Va poi ricordato che il Concorso, per come è attualmente, fa parte della nostra identità: con tutte le sue criticità (legate prevalentemente alle sue tempistiche) consente una selezione (mediamente) di alta qualità, dove vengono testate non soltanto le conoscenze giuridiche del candidato, ma anche la sua resilienza e la sua capacità di ragionare sotto pressione: se il Notariato ha mantenuto negli anni quasi inalterato il proprio prestigio è anche grazie alla sua (mi si passi il termine) “leggendaria” selezione.
È poi senz’altro vero che non sempre il candidato meritevole e preparato riesce (subito) a spuntarla, ma questo è un problema insito nel concetto di “selezione”, che in ogni ambito risente dell’umanità di chi è chiamato a valutare.
Mi colpì molto, al Congresso tenutosi a Roma lo scorso autunno, un passaggio del nostro Presidente Giulio Biino, il quale, sottolineando la centralità del nostro ruolo, ci ha ammonito dal non ridurci a meri certificatori: perché ciò non si verifichi è essenziale che il Concorso continui a pretendere da parte dei suoi candidati un altissimo livello di conoscenza teorico-giuridica. Al contrario dei nostri lontani cugini d’oltre oceano (i public notaries), infatti, noi siamo e dobbiamo continuare ad essere professionisti di riferimento per la soluzione dei problemi più complessi.
Ritengo dunque profondamente sbagliato criticare il Concorso per il suo distacco dalla realtà: è vero che a quasi nessuno di noi verrà mai richiesto di ricevere un conferimento di aspettativa o un legato con il quale si delega ad un terzo l’adempimento di un’obbligazione naturale o ancora la vendita di una casa mobile posata su un terreno percorso dal fuoco, ma saper ragionare su concetti complessi consente di far emergere la profondità della preparazione di ciascun candidato.
Allo stesso tempo, condivido, che il Concorso debba testare (come da qualche anno ha cominciato in parte a fare) il contatto del candidato con il diritto vivente dei nostri Studi. E dunque non è possibile né giusto che, ad esempio, superi le prove scritte il candidato che renda la menzione della conformità catastale su un’area urbana (e sì, a Scuola notarile lo insegnano il perché non si fa). Ma per fare ciò, più che fornire visure catastali fittizie (la cui lettura si impara dopo due settimane che si bazzica in Studio), sarebbe più che altro opportuno, come già sottolineato da altri Colleghi, inserire problematiche fiscali già agli scritti o questioni di antiriciclaggio alle prove orali.
Mi auguro, infine, che il doveroso dialogo che si terrà a Torino tra pochi giorni, non si riduca alla critica a noi giovani Notai, additati come inadeguati a ricoprire il ruolo che, tutto sommato, anche noi ci siamo sudati.
Avendone a lungo discusso con colleghi di più lungo corso, temo che alla base di questo facile capro espiatorio, si annidino frustrazioni derivanti da problematiche diverse, che la categoria dovrebbe affrontare con rinnovata decisione: mi riferisco alla necessità di ripristinare la tariffa (a tutela soprattutto della qualità del nostro servizio), alla promiscuità che si genera tra alcuni noi (pochi per fortuna) e altre figure al solo fine di assicurarsi un soddisfacente giro d’affari o infine alla gravità delle sanzioni che vengono comminate ad alcuni de nostri colleghi a fronte di incolpevoli mancate segnalazioni antiriciclaggio.
Infine ai nostri colleghi boomers (in senso affettuoso, chiaramente) ricordo che anche loro come me, tra mille paure ed incertezze, ad un certo punto della loro vita si sono trovati ad apporre il loro sigillo in calce al loro “Repertorio n.1”.
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