Inshallah a Boy. La successione mortis causa nei paesi islamici: dalla fiction alla pratica
Inshallah A Boy è il vibrante debutto cinematografico del regista giordano Amjad Al Rasheed, nel quale una donna e sua figlia affrontano la rovina dopo la improvvisa scomparsa del marito, a meno che lei non riesca a dare alla luce un figlio.
La narrazione prende avvio quando Nawal (Hawa) si trova di fronte alla rovina dopo la improvvisa scomparsa del marito. In assenza di un accordo formale sull’eredità, il cognato di Nawal, Rifqi (Hitham Omari), è pronto a intervenire sotto gli auspici delle attuali leggi sull’eredità per esercitare il suo diritto non solo sull’appartamento della coppia, ma anche sulla tutela della giovane figlia di Nawal, Nora (Seleena Rababah). L’unico modo per evitare lo sfratto apparentemente inevitabile è che Nawal riesca a dare alla luce un figlio, un obiettivo disperato che la costringe in una serie di situazioni avventate che mettono alla prova non solo la sua fede, ma anche i limiti della sua forza.
Contenuto e al tempo stesso silenziosamente caleidoscopico, il film Inshallah A Boy offre una panoramica culturale dell’Amman contemporanea, dalle case dei cristiani benestanti dove Nawal lavora e dove entra in contatto con una donna che sta vivendo una crisi personale che potrebbe aiutarla, agli uffici legali angusti e alle cliniche di periferia.
Con uno sguardo lucido, Al Rasheed cattura efficacemente la crescente claustrofobia di Nawal, mentre familiari, vicini di casa e persino un topo che ha invaso la sua cucina la costringono in uno spazio sempre più ristretto. Ma è nei momenti profondi di solidarietà della storia che Al Rasheed offre sprazzi di speranza e possibilità.
Così il sito The Wom racconta la trama di Inshallah A Boy, bellissimo film giordano da poco (e probabilmente per poco) nelle sale la cui recensione merita il massimo dei voti e che, per un giurista, ha motivazioni supplementari che ne consigliano la visione.
La vicenda, ai nostri fini, merita di essere raccontata con una maggior precisione in diritto.
Nawal resta vedova fin dalle primissime battute del film. Pur essendo alla ricerca di un secondo figlio, l’unica discendente è una figlia femmina.
Secondo le regole del diritto islamico così come narrate nel film, si apre una successione legittima nella quale concorrono per metà moglie e figlia e per metà la famiglia di origine del marito (gli agnati). Ciò che non sarebbe avvenuto se la discendenza fosse stata di un figlio maschio.
In questo specifico caso quindi le regole che deve affrontare Nawal portano a un risultato palesemente contrastante col principio di uguaglianza tra sessi costituzionalmente garantito nel nostro ordinamento, né allo stesso risultato si sarebbe potuti arrivare con un testamento che avesse lasciato la disponibile agli agnati.
Il giurista spettatore si chiede, quindi, se ci si trovi di fronte o meno a una violazione delle regole di ordine pubblico internazionale e si ricorda del convegno organizzato da questa rivista nell’autunno 2022 “Famiglia, Successioni e Ordine Pubblico Internazionale” i cui atti possono essere acquistati sullo shop online di Federnotizie.
In particolare, il giurista spettatore dovrebbe, meglio prima ma anche dopo la visione, rileggersi l’interessantissima relazione della professoressa Roberta Aluffi “Profili critici del diritto successorio islamico”, che magistralmente illustra i principi del diritto alla base del racconto del film giordano.
Scoprendo così che “i profili di criticità sono fondamentalmente tre: l’uguaglianza di genere, la discriminazione religiosa e il tema della filiazione”. Tutti con potenziali impatti sull’ordine pubblico internazionale.
Partendo dal problema dell’uguaglianza di genere, cntrale nel racconto del film, il maschio ha diritti doppi rispetto alla femmina nella successione (“Riguardo ai vostri figli Iddio vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine”: Corano, IV, 11).[1]
Ci spiega la professoressa Aluffi che “il marito che sopravvive alla moglie ha diritto, in presenza di figli, a 1/4 dei beni della moglie, mentre, se non vi sono figli, a 1/2 del patrimonio della moglie. La moglie che sopravvive al marito ha invece diritto, se vi sono figli, a 1/8 dell’eredità, mentre, in assenza di figli, a 1/4 dell’eredità; se poi le mogli sono più d’una, la quota di 1/4 o quella di 1/8 vengono divise tra le mogli.
Per quanto riguarda i figli, già nel diritto preislamico i maschi erano considerati agnati, per cui non hanno avuto bisogno del riconoscimento come eredi nel Corano; mentre le figlie femmine, che nel diritto preislamico non avevano diritti successori verso i genitori, sono state riconosciute come eredi nel Coranico, in forza del quale succedono al genitore in ragione di 1/2 (se la figlia è unica) o di 2/3 (se le figlie sono più d’una).
Immaginiamo che un genitore muoia lasciando solo una figlia o due, e nessun altro erede. In tal caso, le quote che il Corano riserva alle figlie non esauriscono l’asse, con la conseguenza che il residuo patrimonio ereditario va a coloro che il diritto preislamico qualifica come agnati, i quali possono essere dei parenti (maschi) estremamente lontani.”
E da questo ultimo caso parte l’avvincente narrazione del film.
Concluso il quale il giurista spettatore non può non riappropriarsi delle vesti professionali e dopo aver ringraziato il destino di non averlo posto nelle condizioni del giudice giordano, chiamato a decidere su una vicenda integralmente domestica, si ferma invece a ragionare sull’ipotesi in cui il defunto avesse avuto residenza abituale in Italia e la casa di famiglia caduta in successione si trovasse in Giordania, nonché su quella contraria in cui il defunto fosse stabilmente ritornato a risiedere in Giordania mantenendo la proprietà dell’immobile in Italia.
Nel primo caso, secondo quanto prevede il Regolamento UE 650/2012, la successione (a meno di un’esercitata optio legis a favore della legge giordana) sarebbe integralmente regolata dalla legge Italiana con conseguente devoluzione dell’eredità alla protagonista del film ed alla sua piccola figlia, per quota di metà ciascuna. Semplice in teoria, ma in pratica assai complessa poiché la Giordania non è membro UE e non aderisce al regolamento europeo. Difficile sarà quindi trovare un giudice giordano che applichi il regolamento ed è questo un punto su cui il Notariato Latino dovrebbe concentrarsi per trovare un meccanismo di funzionamento.
Nel secondo caso, sempre secondo quanto previsto dal regolamento UE, la successione sarebbe di default regolata dalla legge giordana e quindi l’operatore di diritto italiano si troverebbe ad applicare le norme così ben descritte nel film. Trovandosi però a fare i conti con i principi di ordine pubblico internazionale che impediscono di dar cittadinanza nel nostro ordinamento ad una norma che discrimini in modo così netto la situazione di una madre che resti vedova con un figlio maschio rispetto a quella che resti vedova con una figlia femmina.
Entrambe le situazioni sono diventate ormai frequentissime in ragione dei flussi migratori di questo scorcio di storia.
In entrambi i casi la soluzione migliore è affrontare per tempo il problema programmando in vita la propria successione.
Come ci ricorda ancora la professoressa Aluffi il sistema successorio islamico, pur lasciando poco spazio all’autonomia testamentaria, è assolutamente privo del concetto di legittima, conferendo ai privati la più grande libertà nel disporre del proprio patrimonio prima della morte: l’importante è che le regole divine si applichino al relictum. Lasciando così spazio ad una sistemazione in vita che escluda dai beni trasferiti la famiglia di origine e quindi a una donazione retta dal diritto italiano che resisterebbe senza dubbio ad una petizione di eredità retta da norme contrarie all’ordine pubblico internazionale consolidando “l’intestazione in capo ai donatari”.
I musulmani in Italia sono circa 2,7 milioni. Quasi il 5 per cento della popolazione. Molti di essi hanno mantenuto proprietà nel paese d’origine, molti tornano a risiedere nel loro paese dopo aver acquistato (e tenuto a reddito) in Italia un immobile.
Farsi trovare preparati ad affrontare i complessi problemi che derivano dal dialogo tra i due sistemi un dovere.
Ce lo ricorda anche il cinema.
Note
[1] Scandalizzarsi non serve, visto che San Paolo, scrivendo ai Corinti, ammonisce le donne a tacere nelle assemblee perché non è loro permesso di parlare (Corinzi 14: 34-35).
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