17 Marzo 2023

Finanziamento soci: il pasticciaccio brutto delle enunciazioni

È noto a tutti i lettori di questa Rivista, avendone già trattato diffusamente[1], che la ripresa a tassazione da parte della Agenzia delle Entrate dei finanziamenti soci richiamati in verbali (ed atti) societari, costituisce vexata quaestio che, sin dalla fine della prima decade del 2000[2], ha ricevuto grande impulso, per non dire un avallo quasi totale, della giurisprudenza della Cassazione, al riguardo decisamente consolidata[3].

Anzi, negli ultimi anni, la Corte ha dato il proprio beneplacito al massivo utilizzo, da parte degli uffici fiscali, dell’istituto dell’enunciazione, consentendo un ampliamento a dismisura della sua portata soprattutto in campo societario e, più di recente, anche fuori dai verbali assembleari in atti di fusione, scissione e financo di trasformazione. Ciò avviene attraverso l’uso molto più che estensivo, per non scrivere al di fuori dei presupposti della norma, di un meccanismo – l’enunciazione, appunto – codificato, a parere di chi scrive e della miglior dottrina, a tutt’altri fini[4].

Di recente, tuttavia, da parte della giurisprudenza di legittimità, inizia a intravedersi, se non proprio un arresto, almeno un parziale revirement, attraverso un rilevante ridimensionamento del principio, fatto proprio dalla Agenzia, per cui ogni finanziamento enunciato (o anche semplicemente citato) in un atto o verbale successivo debba costituire materiale imponibile da sottoporre a tassazione al 3%.

A fronte del massivo utilizzo da parte della Agenzia, il campo della indiscriminata ripresa a tassazione al 3% dei finanziamenti enunciati é stato, un po’ alla volta, sgombrato da alcune fattispecie. Sono infatti state escluse diverse occorrenze. Mi riferisco ai variegati casi in cui il finanziamento enunciato é soggetto a IVA[5], o addirittura (!) ad imposta sostitutiva[6], a quelli in cui sono trascorsi i cinque anni dall’effettuazione del finanziamento, con conseguente decadenza della pretesa erariale[7] o ancora a quelli in cui difettano in misura macroscopica gli elementi dell’enunciazione[8], o, infine, alle ipotesi in cui una delle parti dell’atto enunciato é totalmente estranea all’atto enunciante[9]. Sono tutte fattispecie in cui è stato necessario l’intervento della Corte regolatrice per riportare l’utilizzo dell’istituto nei limiti della sua formulazione e del sistema, ma sembra che di recente la stessa Corte inizi a voler porre ulteriori freni all’uso di tale istituto da parte della Agenzia restringendone così la portata e il campo di utilizzo.

E proprio in questa direzione si è mossa la Corte di Cassazione, con le recenti Sentenze nn. 3839 (.PDF) e 2841 (.PDF) depositate l’8 febbraio 2023 che, seppur non definibili “gemelle” perché aventi ad oggetto diverse fattispecie, sono accumunabili nei principi[10] e vanno lette ed esaminate congiuntamente.

La Corte, per la prima volta in modo così radicale e sistematico, interviene sull’art. 22 TUR, e ciò tanto sui presupposti di operatività della norma quanto sulla sua concreta applicazione ai finanziamenti soci enunciati o, per meglio dire, movimentati in sede assembleare.

Su questo ultimo versante essa ha stabilito la non debenza dell’imposta nei casi di utilizzo di finanziamenti (conclusi verbalmente) a copertura perdite o a liberazione del capitale. Secondo la Corte ciò trova ragione nel fatto che l’utilizzo del finanziamento provocherebbe una carenza della condizione della permanenza degli effetti dell’atto enunciato, richiesta dall’art. 22 co. 2 TUR. Secondo i Giudici, accogliendo peraltro quanto ripetutamente messo in luce dalla dottrina[11], il finanziamento ed in particolare il suo utilizzo, a copertura perdite o a liberazione dell’aumento, cessa i suoi effetti proprio a seguito della rinuncia dei soci al credito avente ad oggetto la restituzione di quanto versato. In tal modo, prosegue la Corte, la definitiva imputazione a capitale della somma versata dal socio alla società muta l’originaria causa del versamento, determinando l’estinzione dell’obbligo restitutorio “se non anteriormente quantomeno contestualmente o in esecuzione dell’atto enunciante”.

Si tratta di uno tra i diversi argomenti critici all’utilizzo, quasi indiscriminato, dell’istituto in commento da parte degli uffici fiscali, ravvisandosi, ad opinione della dottrina, anche altri argomenti, ben più forti e pregnanti, per affermare di essere fuori, in tali casi, da una enunciazione in senso tecnico. Il primo che dovrebbe rilevare è quello della necessaria presenza del requisito soggettivo dell’identità delle parti. Per la verbalizzazione assembleare, infatti, è ormai ius receptum che essa costituisca, in senso tecnico – giuridico, constatazione del verbalizzante e, in quanto tale, atto senza parti. Non è infatti un caso che i verbali sono suscettibili, nella maggior parte dei casi, di essere sottoscritti dal solo notaio che, evidentemente, è tutt’altro che parte! Tuttavia la Corte, con motivazione articolata, per quanto criticabile, non si è spinta a fare propria questa condivisibile ricostruzione, come meglio si vedrà in seguito.

Restano quindi ancora imponibili, e fuori dal perimetro di tale orientamento, in primo luogo, i finanziamenti enunciati in atti di scissione e fusione, perché non si esauriscono col loro utilizzo, trasmigrando, per così dire, alla società subentrante in forza dell’operazione. Ne restano fuori anche tutti quelli che emergono in innumerevoli fattispecie nelle quali essi vengono semplicemente citati o costituiscono presupposto, senza peraltro ricadere nel disposto dell’art. 22 TUR che richiede, come è noto, particolari condizioni al fine della sua operatività. A tale ultimo proposito i casi di asserita enunciazione sono molteplici[12]. Tra i molti, anche al di fuori del campo societario, vale la pena richiamare una recente decisione della Cassazione[13] che ha reputato corretta l’applicazione dell’imposta di registro del 3% sul finanziamento soci menzionato nell’atto di acquisto di un immobile a compensazione del prezzo di acquisto. Si tratta di ipotesi che potrebbe risultare ricorrente (e destare preoccupazione negli operatori) in diversi casi di assegnazione agevolata di immobili estranei all’attività di impresa, che saranno frequenti nel corso del corrente anno, visto che i termini sono stati riaperti dalla Legge di Bilancio 2023[14]. Ipotesi come queste andrebbero ripensate alla luce del nuovo orientamento di legittimità, in quanto sembrano ricadere e dovrebbero sottostare al nuovo principio espresso dalla Corte: non operatività, quindi, dell’enunciazione quando per i finanziamenti movimentati – posti in essere solo per accordo verbale – gli effetti dell’atto enunciato cessano proprio in virtù di quanto pattuito in quello enunciante.

Restano fuori dall’esenzione prevista dal comma 2 dell’art. 22 TUR, e così dal principio indicato dalla Corte, come dalla stessa fatto intendere, i finanziamenti perfezionati in forma scritta, ma anche quelli per i quali é prevista registrazione in caso d’uso, come vedremo nel prosieguo, e quindi quelli conclusi con la comune procedura del c.d. scambio di corrispondenza.

Le pronunce segnano tuttavia un interessante approdo giurisprudenziale che dovrebbe trovare applicazione in tutti quei casi in cui il finanziamento soci, il cui obbligo restitutorio venga rinunciato in assemblea dal socio creditore o altrimenti utilizzato, anche in atti negoziali diversi dai verbali assembleari, tragga la propria origine da un contratto verbale.

Le due decisioni delle Corte, al di là del caso concreto e da un punto di vista più generale, meritano interesse e sono da salutare con una certa soddisfazione da parte degli operatori. Esse, infatti, sembrano voler mettere un po’ di ordine interpretando e cristallizzando i requisiti affinché si possa parlare tecnicamente di enunciazione. Premesso che l’art. 22 TUR fissa determinate condizioni affinché operi la tassazione per estensione, la Cassazione si sofferma su ciascuna delle tre condizioni necessarie per applicare l’imposta di registro, oltre all’atto enunciante, anche all’atto enunciato. Deve così sussistere: a) la concreta menzione, in un altro atto da registrare, di un atto non registrato; b) i due atti devono intervenire tra le medesime parti; c) per quanto attiene ai contratti verbali (enunciati), gli effetti delle disposizioni enunciate non devono essere già cessati o non devono cessare in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione.

Applicando le condizioni richieste dalla legge al finanziamento soci, purché “verbale” o comunque non consacrato in tutti i suoi elementi in forma scritta, citato nella delibera assembleare (di aumento di capitale o di ripianamento perdite), la Corte ribadisce quindi la necessità, oltre che a una “compiuta enunciazione”[15], dell’identità delle parti nonché, nel caso concreto al suo esame, della “permanenza degli effetti dell’atto enunciato”.

A detta della Corte nel caso soggetto al proprio sindacato faceva difetto la condizione della “permanenza degli effetti del contratto enunciato” che, per espresso disposto di legge, opera solo per i contratti verbali. Era pacifico, infatti, che il finanziamento soci fosse stato stipulato verbalmente e che non fosse tra quelli soggetti a registrazione in termine fisso.

Per la tassazione dei contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso, l’art. 22 comma 2 TUR pone uno specifico limite, stabilendo che l’enunciazione di tali contratti “non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione”. E l’utilizzo, a copertura perdite o a liberazione di un aumento di capitale, a prescindere dalle modalità, anche diverse dalla rinuncia, con cui avviene, non può che configurare la testuale ipotesi di cessazione degli effetti dell’atto enunciato, proprio in virtù della movimentazione del finanziamento in forza dell’atto enunciante.

Sembrerebbero peraltro restare fuori da quanto statuito dalla Corte anche tutte le frequenti ipotesi in cui l’utilizzo del finanziamento, come spesso avviene, non sia integrale, essendo difficile, se non impossibile, valersi della interpretazione di legittimità per sostenere in tali casi la inoperatività dell’art. 22 per la cessazione degli effetti delle disposizioni enunciate.

Come sopra già anticipato, non ritengo che tale esenzione possa trovare applicazione invocando il nuovo corso giurisprudenziale anche ai finanziamenti, soggetti a registrazione (solo) in caso d’uso, visto che la giurisprudenza della Corte ha sempre espresso al proposito un orientamento tale da ricomprenderli nel meccanismo della enunciazione[16]. Al tal riguardo, come avevo già segnalato in un precedente scritto[17], la questione dell’enunciazione di atti soggetti a registrazione in caso d’uso trova in contrasto dottrina e giurisprudenza. Per la prima essi non dovrebbero essere ripresi a tassazione se non dopo il loro uso e cioè solo nell’ipotesi in cui il caso d’uso si sia precedentemente realizzato. Tuttavia tale argomento, per quanto sorretto da un solido fondamento sistematico, secondo cui l’enunciazione non concreta certo caso d’uso, viene vanificato dalla giurisprudenza sulla base di un altro argomento, molto più debole: considerando che l’ultima parte dell’art. 22, co. 1, TUR stabilisce che (solo) “Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69.” Da tale formulazione si vuole desumere che se gli atti da registrare in caso d’uso fossero esclusi dal perimetro dell’enunciazione sarebbe stato superfluo specificare che solo per gli altri atti (i.e. quelli soggetti a registrazione in termine fisso) è dovuta, oltre all’imposta, anche la pena pecuniaria[18].

Sfortunatamente però, e ciò non potrà che suscitare ulteriori critiche della migliore dottrina[19], la Corte non ha voluto assecondare le autorevoli e diffuse indicazioni sulla mancanza, ben più rilevante, del requisito della identità delle parti in casi come questo e in diversi altri. Relativamente a tale presupposto, la decisione in commento, dopo aver preso atto delle diffuse perplessità sull’impossibilità di individuare delle vere e proprie “parti contrattuali” nel verbale assembleare, ha rilevato che la stessa Corte, in una recente ordinanza interlocutoria[20] ha evidenziato la difficoltà di adattare al verbale assembleare la nozione di parti. Il Collegio però, in entrambe le decisioni in commento, non ha volto spingersi, come invece sarebbe stato auspicabile, a sviluppare tale concetto, avendo affermato, seppure come obiter dictum, che non è necessario fare riferimento alla nozione civilistica di “parti contrattuali”, visto che la ratio dell’art. 22 TUR sembra richiedere piuttosto la sussistenza di una “interrelazione tra quelle intervenute nei due atti”. In particolare, essendo il verbale assembleare un resoconto di quanto accaduto in assemblea, esso ha la funzione di documentare l’intervento dei soci all’operazione soggetta a tassazione. Pertanto, conclude la Corte, a integrare il requisito dell’identità di parti basta il fatto che il verbale assembleare abbia la funzione di far constare “la partecipazione dei soggetti intervenuti in assemblea, tra cui i soci e la società” che sono stati parti in senso tecnico del contratto di finanziamento enunciato.

Tuttavia dal combinato disposto delle due decisioni in commento assieme alle altre citate in senso favorevole al contribuente, emerge che, come ormai da tempo auspicato da operatori e studiosi del diritto tributario, anche la Corte di Cassazione sembra essersi avveduta dell’uso talvolta distorto fatto dalla Agenzia delle Entrate di questo istituto: non risulta infatti sempre avallata l’operazione ermeneutica volta ad ampliare i presupposti, per legge stringenti, per corrispondentemente estendere il campo di ricerca di materiale imponibile attraverso atti soggetti a successiva registrazione.

Il passo della Corte regolatrice avrebbe dovuto essere, a parere di chi scrive, più lungo ed incisivo e avrebbe dovuto, in particolare, considerare nella giusta prospettiva tecnico-giuridica il presupposto dell’”identità di parti”, come la miglior dottrina tributaria mai si stancherà di sottolineare.

In senso più generale, la lettura delle due decisioni, anche se non del tutto appagante per l’operatore e per lo studioso, sembra comunque rivelare un primo cambio di prospettiva nella giurisprudenza di legittimità ed in particolare della Quinta sezione civile che tanto affanno e preoccupazione ha creato e tuttora crea negli operatori: essi si vedono spesso costretti a veri e propri voli pindarici per confezionare verbali e negozi giuridici senza far emergere atti “enunciati” costituenti materia senz’altro (ma ingiustificatamente) imponibile.

Non resta che concludere con l’auspicio che le decisioni in commento, con le altre più recenti della Corte, possano inaugurare un nuovo corso volto a riportare la norma sull’enunciazione nei suoi corretti confini, peraltro già ben definiti dallo stesso legislatore del D.P.R. 131/1986. Forse – e ciò sarebbe ancora più auspicabile – la attesa decisione delle Sezioni Unite sulla portata dell’art. 57 TUR, riguardante la responsabilità solidale del notaio per gli atti enunciati[21], potrebbe essere l’occasione e la sede più idonea per portare a compimento, con un autorevole overruling, il ripensamento di un orientamento di legittimità sin troppo permissivo verso diffuse prassi amministrative non giustificate, quanto all’utilizzo massivo e distorto della enunciazione, neppure da ragioni di giustizia sostanziale e da un’effettiva capacità contributiva.

 

Note

[1] Si rimanda agli almeno tre scritti pubblicati negli ultimi anni su questa Rivista: Ruben Israel, 16 giugno 2021, Finanziamenti soci ed enunciazione: il punto, all’URL https://www.federnotizie.it/finanziamenti-soci-ed-enunciazione-il-punto/; dello stesso autore, 16 settembre 2022, Ricognizione di debito ed “enunciazione” di crediti postergati da finanziamenti, all’URL https://www.federnotizie.it/ricognizione-di-debito-ed-enunciazione-di-crediti-postergati-da-finanziamenti/ e Giovanni De Marchi e Alberto C. Magrì, 10 giugno 2020, La parola sconcia (a proposito della Cassazione in tema di finanziamento soci…) all’URL https://www.federnotizie.it/la-parola-sconcia-a-proposito-della-cassazione-in-tema-di-finanziamento-soci/

[2] Risale infatti al 2010 la notissima decisione (Cass., 30 giugno 2010, n. 15585) con cui la Cassazione ha aperto la porta all’applicazione dell’imposta di registro al 3% sul finanziamento soci enunciato nel verbale assembleare.

[3] Tra le numerose decisioni della Corte che hanno accolto quasi unanimemente il principio della piena tassazione dei finanziamenti soci enunciati in verbali assembleari si richiama, da ultimo, Cass., 21 aprile 2021, n.11276 che ha letteralmente consacrato l’orientamento.

[4] Al riguardo richiamo le considerazioni finali contenute nell’intervento su questa Rivista del 16 giugno 2021, sopra citato, ove già stigmatizzavo l’estensione oltremisura del perimetro della norma sulla enunciazione, che nasce e dovrebbe rispondere a sole finalità antievasive e antielusive. La prassi ministeriale e la giurisprudenza, soprattutto di legittimità, che la avalla, si pongano in controtendenza con i principi di politica economica, di cui si fa carico il Legislatore e spesso anche il Governo, volti a favorire lo sviluppo e l’integrazione delle imprese e ancora di più a non penalizzare quelle in sofferenza. Il radicamento, peraltro, dell’orientamento estensivo, per ricondurre la norma nei suoi giusti limiti richiederebbe, sempre ad avviso di chi scrive, un intervento di interpretazione autentica, essendo ormai quasi impossibile da scardinare quello fatto proprio dalla Cassazione. Il tutto nella valorizzazione del principio, di interesse pubblico e da tutelare anche da parte di Governo e Parlamento, di certezza della tassazione degli atti sottoposti a registrazione.

[5] Quando il finanziamento che “emerge” dal verbale, è stato posto in essere dalla controllante e viene da questa utilizzato per operare sul capitale, se trattasi di finanziamento effettuato nell’esercizio dell’attività imprenditoriale e pertanto rilevante alla luce del principio di alternatività I.V.A – Registro di cui all’art. 40 TUR è (quasi) sempre stato pacifico che la concessione (a titolo oneroso) del finanziamento enunciato da parte di soggetto agente nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, debba essere ricondotto in campo IVA, seppur esente dall’applicazione di detta imposta (art. 10, 1 co., n. 1), D.P.R. 633/1972). Esso sarà pertanto, da registrare con l’imposta fissa e solo in caso d’uso (art. 5, 2° comma, TUR; art. 40, 1 co. TUR; art. 1, 1 comma, lett. b), Tariffa, Parte Seconda, allegata al TUR). Non rientra, per contro, nel campo applicativo dell’IVA, rientrando agli effetti di cui sopra in quello dell’imposta di registro, il finanziamento soci “gratuito”, cioè senza corresponsione di interessi da parte della società finanziata.

[6] Come affermato dalla recentissima Cass., 22 febbraio 2023, n.5551, la quale ha correttamente statuito che “l’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, che disciplina la imposizione degli atti “enunciati” e non registrati, non riguarda la enunciazione di atti esenti, né, tanto meno, riguarda gli atti soggetti ad imposizione sostitutiva, i quali, avendo già scontato detta imposta non possono essere nuovamente assoggettati ad imposizione, in assenza di diverso ed autonomo presupposto di imposta.”.

[7] Mi riferisco a Cass., 16 giugno 2021, n.17020, che ha escluso da tassazione il finanziamento enunciato dopo 5 anni dalla sua effettuazione o meglio dal termine per la sua registrazione. In particolare la Corte ha affermato testualmente che “pare allora ragionevole sostenere, secondo l’orientamento che sembra essere ormai seguito anche dall’amministrazione finanziaria (vedasi la risoluzione della Direzione Generale delle Tasse e delle Imposte Indirette sugli Affari n. 260069 del 17 luglio 1992), che, qualora le disposizioni enunciate (a suo tempo non registrate) abbiano data anteriore al termine quinquennale di decadenza stabilito dal D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, art. 76, comma 1, non sia possibile applicare l’imposta di registro, né la relativa sanzione pecuniaria.”.

[8] Il riferimento è a Cass., 2 settembre 2022 n.25942 oggetto di uno specifico commento pubblicato in questa Rivista il 16 settembre 2022 e sopra richiamato alla nota 1.

[9] Cass., 8 novembre 2022, n. 32910 che, richiamando due precedenti proprie decisioni ha affermato che “il richiamo effettuato da un decreto ingiuntivo ad un ricorso giudiziale nel quale si fa riferimento ad una cessione di crediti effettuata tra soggetti diversi dal debitore ingiunto evidenzia un’enunciazione indiretta di atti, ma esclude l’identità tra le parti dei distinti atti non presentati alla registrazione, escludendo conseguentemente la tassazione dell’atto di cessione di crediti precedentemente non sottoposto a registrazione al momento della presentazione del decreto ingiuntivo, per carenza delle condizioni di identità soggettiva. Di qui anche nel caso in esame, relativo a cessione di credito, effettuata mediante corrispondenza commerciale tra cedente e cessionario, ed enunciato nell’atto soggetto a registrazione di rinuncia al credito del cessionario nei confronti del debitore ceduto, l’infondatezza della pretesa dell’Ufficio, per la mancanza di identità delle parti intervenute nell’atto enunciante e in quello enunciato”.

[10] I due casi esaminati dalla Cassazione con le decisioni nn. 3839 e 3841 sono diversi nei dettagli, ma la questione giuridica coinvolta è la medesima e concerne la tassazione, ai fini dell’imposta di registro, di un contratto verbale di finanziamento operato dai soci, che risulta enunciato in un verbale di assemblea portante aumento del capitale o copertura perdite mediante la rinuncia dei soci finanziatori ad ottenere la restituzione della somma erogata.

[11] Per tutti, oltre all’articolo da primo citato, si vedano le esaustive considerazioni di Angelo Busani, L’imposta di Registro, Ipsoa, 2022, 442 e ss. che, nell’ambito generale dell’enunciazione ed in quello più particolare dell’emersione dei finanziamenti in sede societaria, costituisce la più completa e ragionata rassegna in materia.

[12] Si richiamano, per casistica sin troppo variegata, gli scritti indicati alla nota 1 e pubblicati su questa Rivista.

[13] Si tratta di Cass. 25 luglio 2022, n.3408.

[14] Legge 29 dicembre 2022 n. 197, commi da 100 a 105.

[15] E quindi una indicazione compiuta degli elementi dell’atto tali da rendere possibile una tassazione per estensione come se l’atto enunciato fosse sottoposto direttamente a tassazione.

[16] Si veda, infatti, per tutte, Cass., 30 ottobre 2015, n. 22243, secondo cui “sono assoggettati a tributo, ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. n. 131 del 1986, anche gli atti sottoposti a registrazione solo in caso d’uso ove enunciati in atti soggetti a registrazione, dovendosi individuare il soggetto obbligato, in tale evenienza, in base alle regole operanti per l’imposizione dell’atto enunciante e non di quello enunciato”.

[17] Mi riferisco, ancora una volta, a Finanziamenti soci ed enunciazione: il punto, sopra citato in nota 1.

[18] Molto eloquenti e tali da mettere in discussione l’opinione contraria sono al riguardo le parole di Angelo Busani, La “enunciazione” di atti scritti e di contratti verbali, in Diritto e pratica tributaria, 3/2019, 1379 e ss., il quale testualmente afferma, alla nota 50, che “E` questo il semplicistico ragionamento svolto da Cass., 14 marzo 2007, n. 5946, in Notariato, 2007, 4, 375; e in Fisco, 2007, 2390, secondo cui “se il legislatore ha specificato, nella parte finale del comma 1, che “Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69”, è evidente che ha inteso includere anche gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso e poiché l’enunciazione di tali ultimi atti non configura, ai sensi dello stesso art. 6, come innanzi rilevato, un “uso” deve concludersi per l’assoggettamento di tali atti all’imposta a prescindere dall’“uso” ex art. 6 citato dei medesimi e sulla base della sola enunciazione. In caso contrario invero, sarebbe da considerare inutiliter data la specificazione che assoggetta a pena pecuniaria solo gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, in quanto non concretando l’enunciazione un “uso”, sarebbero stati imponibili solo gli atti soggetti a registrazione a termine fisso enunciati nell’atto registrato e quindi sarebbe stato superfluo specificare che solo per tali atti è dovuta oltre all’imposta anche la pena pecuniaria.

[19] Si veda, al riguardo, Angelo Busani, L’imposta di Registro, cit., 446 ove anche i riferimenti della dottrina e della prassi notarile sulla natura del verbale assembleare.

[20] Cass., 6 aprile 2022, n. 11118 con cui è stata rimessa la causa al Primo Presidente per l’(eventuale) assegnazione alle Sezioni Unite Civili in merito alla questione, assai rilevante per il mondo notarile, di cui all’art. 57, comma 1, TUR, ai fini di dirimere il conflitto sulla natura principale o complementare dell’imposta dovuta per enunciazione. E’ infatti evidente che solo nel primo caso anche per il notaio sarebbe responsabile solidalmente almeno per gli avvisi di accertamento emessi entro i sessanta giorni dalla registrazione.

[21] Si tratta della già citata ordinanza n.11118 che ricorda l’arresto con cui si è affermato il principio di diritto secondo cui «l’imposta applicata alle disposizioni enunciate, in quanto da applicare in sede di registrazione dei contratto enunciante, deve perimenti ritenersi “imposta principale”, essendo tenuto, il notaio, quale responsabile di imposta, a corrispondere all’Erario quanto dovuto fronte della registrazione dell’atto effettuato per il suo tramite, considerato che l’imposta è la medesima che sarebbe stata dovuta in sede di registrazione dell’atto enunciato da parte del contribuente» (Cass. n. 18113/2021). Secondo tale interpretazione il notaio sarebbe responsabile d’imposta ex art. 57, comma 1, TUR tanto in relazione all’atto enunciante, quanto a quello all’atto enunciato. Tale assunto è contrastato dalla dottrina e da parte della giurisprudenza, ritenendosi invece che il notaio sia neutrale rispetto alla tassazione degli atti enunciati, giacché la sua responsabilità sarebbe limitata ai soli atti dagli stessi redatti, ricevuti o autenticati perché giustificata dal ruolo istituzionale di pubblico ufficiale rogante o autenticante. Tale contrasto è stato motivo di rimessione della vicenda alle Sezioni Unite con l’atteso compito, di fondamentale importanza per la categoria notarile, di dirimerlo. Per approfondire la questione, di grande rilevanza per la Categoria, si veda Susanna Cannizzaro, Consiglio Nazionale del Notariato, Sentenze annotate, Responsabilità del notaio per l’imposta d’enunciazione: si pronunceranno le Sezioni Unite ?, in CNN Notizie, 15 aprile 2022.

 

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